05 gennaio 2013

MOSTRA BRUEGHEL A ROMA

Scuola di Bosch, Il ciarlatano



Una grande mostra a Roma documenta l'attività di una grande bottega artistica del Cinquecento

Cesare De Seta - I Brueghel

A partire dal Cinquecento l'arte fiamminga dilaga per l'Europa, sia perché molti pittori nati in queste terre basse l'attraversano in lungoe in largo, sia perché in Anversa, Bruxelles, Bruges, Gand sono attive botteghe di grande reputazione. Basti dire van Eyck. Brueghel è un paesino delle Fiandre e da esso prende nome una delle più prolifiche famiglie di pittori che ci sia in Europa. Il capostipite di questa famiglia - attiva per tre generazioni, con molteplici diramazioni nell'albero genealogico - è Pieter Brueghel, nato tra il 1526-30 e morto nel 1569 a Bruxelles. Poco o nulla si sa di lui, ma è certo che nel 1551 s'iscrive nella gilda di San Luca ad Anversa. L'anno seguente parte per l'Italia e vi resta tre anni, come molti artisti contemporanei delle sue terre. Infatti Karel van Mander, il Vasari dell'arte fiammingoolandese, nello Sckilder-Boeck ovvero Libro della pittura, Harlem, 1604, così scrive: «Nei suoi viaggi, l'artista eseguì molte vedute dal vero, per cui si diceva che, salito sulle Alpi, egli ne avesse inghiottito rocce e montagne, per risputarle poi, a casa, su tele e pannelli, ché egli era in grado d'emulare la Natura in tutti i suoi aspetti». Non so lo disegna le Alpi, ma dipinge su rame una splendida vedutina di Napoli, Galleria Doria Pamphilj a Roma, da essa si deduce che rimase affascinato dall'arcuata falce del porto di Messina, che traspone nella veduta di Napoli, dipinta dieci anni dopo in patria. Uno dei disegni della città siciliana fu tradotta in rame da Hieronymus Cock, a lungo attivo a Roma.

Brueghel prende le mosse da Hieronymus Bosch, un pittore visionario di grande talento che apre la mostra Brueghel. Meraviglie dell'arte fiamminga, a cura di Sergio Gaddi e Doron J. Lurie, al Chiostro del Bramante di Roma (fino al 2 giugno 2013, catalogo Silvana Editoriale). Bosch, nei Sette peccati capitali, 1500 c., un olio su tavola che entrerà nell'allestimento da metà gennaio, raffigura la terra, come squarciata con le minute raffigurazioni dei peccati: in cima alla sfera il Golgota col Cristo in croce e sotto l'Inferno. Nella Resurrezione, 1563, di Pieter e bottega non si sente l'onirica fantasia di Bosch, ma l'influenza della rinascenza italiana soprattutto nella parte superiore della tavola, mentre in basso s'afferma la cifra narrativa con armigeri attorno a un fuoco. Una delle caratteristiche dominanti dell'arte fiamminga è l'intenzionalità a rappresentare la vita quotidiana di contadini con feste di paese, danze, o illustrazioni simboliche di proverbi figurati che oscillano tra realismo e grottesco che rintocca nel Ciarlatano, 1500, di Bosch.

 
 La felicità illustrativa di questo mondo si ritrova nei figli Pieter il Giovane e Jan il Vecchio: del primo la felice Trappola per uccelli, 1605, in un paesaggio innevato dove si sente l'eco dei grandi paesaggi paterni. Perché, accanto al realismo grottesco, l'altra anima della pittura fiamminga è il paesaggio interpretato in modo affatto diverso dalla tradizione italiana: le due scuole sono su fronti opposti. Jan il Vecchio infatti dispone un tema religioso come la Tentazione di Sant'Antonio, 1595 c., in un bosco denso di grandi alberi. Jan ha un posto rilevante in questa ricca rassegna che presenta cento pezzi: viaggiò per l'Italia, fu pittore colto e di successo, soggiornò a Napoli e dipinse una grande veduta panoramica della città, oggi a Monaco, dove si raffigura in primo piano con tutta la famiglia; a Roma fece splendidi disegni dall'antico, ebbe illustri committenti e collezionisti come il Cardinale Borromeo a Milano. Anche quando affronta temi di pittura sacra con il Riposo nella fuga in Egitto è il paesaggio a dominare, e la sacra famiglia quasi scompare.

Splendido è il Paesaggio fluviale. Con Rubens collaborò in più occasioni: qui si può vedere la Madonna con bambino in una ghirlanda di fiori. Le sue tele sono così raffinate che si guadagnò l'appellativo di Jean "dei velluti" a indicare la perfezione mimetica dei fiori e delle stoffe. Una personalità di spicco nella famiglia sulla quale Stefania Bedoni scrisse belle pagine.

Del figlio Jan il Giovane le allegorie dell' Udito e dell' Olfatto, sono una prova deliziosa di eleganzae fantasia: nella prima, attorno a una dama che suona, ci sono strumenti musicali da far invidia a un museo: un interno con una loggia s'apre su un verdeggiante paesaggio più italiano che fiammingo; nell' Olfatto, una fanciulla seminuda ha tra le mani fiori, un amorino le porge fiori e il mondo botanico, in questo giardino incantato, domina la scena. Dipinse anche allegorie della Guerra e della Pace, dell' Acqua e dell' Amore. Nella Guerra, alle armi e corazze fanno da contrappunto scene di fiere in lotta tra loro; mentre in quella dell' Amore Venere dall'alto fa da mezzana a una coppia discinta di amanti in una scena paesistica con acque, alberi e fiori. Scenario che ha il suo trionfo nel Paradiso terrestre. Largo spazio è dedicato alla sua opera e le allegorie sono tra le prove più felici.

La dinastia dei Brueghel è qui presente nelle sue diverse articolazioni e ciascun membro ha una sua personalità. Va da sé chei canestriei vasi con fiori, sono una cornucopia di eleganza che poco o nulla hanno a che vedere con la tradizione italiana della natura morta, qui sono nature vive e hanno un tono propiziatorio per l'imminente Natale. Accanto a questa sterminata famiglia, che per cento anni si passa il pennello di mano in mano, ci sono dei comprimari. Tra questi Marten van Valkenborch e Hendrick van Cleve, con la Torre di Babele, 1580 - tema assai caro a Pieter il Vecchio - dove la tela è scandita in due parti: in fondo la torre, in primo piano oltre un fiume un'animata scena popolare. Nella Danza Nuziale, 1570-80, e nei sei pannelli del Matrimonio dei contadini di Marten van Cleve domina il gusto ironico e il grottesco: uno dei pannelli illustra un amante che fugge da una finestra. Una striscia da fumetto nella seconda metà del Cinquecento. Chiude Ambrosius Brueghel che a metà Seicento dipinge raffinati vasi di cristallo con splendidi fiori, mentre Abraham l'ultimo erede della dinastia, detto il "fracassoso", sta così bene in Italia che non rientrerà più nelle Fiandre

(Da: La Repubblica del 19 dicembre 2012)



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