18 settembre 2014

L'IMMAGINAZIONE DI C. WRIGHT MILLS

Wright Mills
 
 
Scritta alla fine negli anni Cinquanta, "L'immaginazione sociologica" è un’opera che mantiene intatta la forza analitica nella denuncia della sottomissione dello «scienziato sociale» alle élite dominanti.

Riccardo Mazzeo

Charles Wright Mills, un classico per trovare il regno della libertà

È piut­to­sto raro che libri fon­da­men­tali ma esor­bi­tanti dalle mode o da filoni recu­pe­rati e rilan­ciati da par­ti­co­lari edi­tori (come nume­rosi testi antro­po­lo­gici citati da Edgar Morin ne L’uomo e la morte nel 1951 e ripub­bli­cati, in que­sti anni, da Adel­phi) giun­gano a una nuova edi­zione dopo più di mezzo secolo, ed è quindi con grande ammi­ra­zione che ho salu­tato la ripub­bli­ca­zione da parte de Il Sag­gia­tore di un testo car­di­nale del pen­siero del Nove­cento come L’immaginazione socio­lo­gica di Char­les Wright Mills, che era uscito nel 1959 e che viene ora ripo­po­sto da il Saggiatore.

È degno di nota anche che l’evento non sia dipeso né da un anni­ver­sa­rio né da qual­che con­giun­tura favo­re­vole al rilan­cio del libro. Vero è che Zyg­munt Bau­man ne ha sot­to­li­neato il valore e la forza dirom­pente nel suo ultimo libro La scienza della libertà, ma le due opere sono uscite di recente in Ita­lia quasi in con­tem­po­ra­nea e quindi si può esclu­dere qua­lun­que influenza che non fosse la pre­gnanza del testo di Wright Mills in sé e per sé.

Cer­cherò quindi di spie­gare per­ché la rie­di­zione sia pre­ziosa e utile per i let­tori di oggi e quali ne siano le motivazioni.

Innan­zi­tutto si tratta di un libro intenso e appas­sio­nato di uno «scien­ziato sociale» che già allora coglieva per un verso la mis­sione fon­da­men­tale della socio­lo­gia, poi­ché «non si può com­pren­dere la vita dei sin­goli se non si com­prende quella della società, e vice­versa», l’allargamento di pro­spet­tiva che sarebbe stato reso espli­cito dalla glo­ba­liz­za­zione allora solo in nuce («la sto­ria che incide oggi su ogni uomo è sto­ria mon­diale»), e i rischi di tra­di­mento della mis­sione dei socio­logi che sono oggi sem­pre più inclini a barat­tare la nobiltà del com­pito di allar­gare la con­sa­pe­vo­lezza della verità e della ragione al più vasto numero pos­si­bile di per­sone con i trenta denari di un avan­za­mento di car­riera, dell’immissione nei cir­cuiti finan­zia­ria­mente pro­fi­cui delle fon­da­zioni o delle con­su­lenze pagate dai potenti, o sem­pli­ce­mente con la ras­si­cu­ra­zione di uno sta­tus tanto più solido quanto più ste­rile offerto dall’autoreferenzialità, dal dia­logo tra «pari» in un gergo per ini­ziati, nella dimen­sione ari­da­mente «scien­ti­fica» dei teo­rici che discu­tono fra di loro della gente comune dimen­ti­cando che sarebbe loro dovere par­lare pro­prio alla gente comune per miglio­rare la loro condizione.


Wright Mills, morto a soli 46 anni, è stato una delle voci più cri­ti­che delle com­po­nenti arte­fatte e illu­so­rie della demo­cra­zia del suo Paese: «Gli Stati Uniti di oggi sono demo­cra­tici essen­zial­mente nella forma e nella reto­rica dell’aspettativa. Nella sostanza e nella pra­tica sono molto spesso non demo­cra­tici, e ciò appare in modo chia­ris­simo in deter­mi­nati campi. L’economia delle grandi società non è gestita né sotto forma di assem­blee di cit­ta­dini né mediante un com­plesso di poteri respon­sa­bili verso coloro che subi­scono diret­ta­mente le con­se­guenze della loro atti­vità. Lo stesso può dirsi sem­pre più per la mac­china mili­tare e per lo stato poli­tico». Non era otti­mi­sta riguardo alle pro­ba­bi­lità che i socio­logi potes­sero «sal­vare il mondo» ma rite­neva che, dato che comun­que potrebbe essere pos­si­bile riu­scirvi, essi aves­sero in ogni caso il dovere di ten­tare l’impresa di «risi­ste­mare gli affari umani secondo gli ideali di libertà e di ragione».

Ma soprat­tutto era capace di «anti­ve­dere» alcune pro­ble­ma­ti­che allora inim­ma­gi­na­bili, in un tempo che ripo­neva una fidu­cia senza riserve nella tec­nica di cui si coglie­vano uni­ca­mente le valenze sal­vi­fi­che: «Non dob­biamo forse, nella nostra epoca, pre­pa­rarci alla pos­si­bi­lità che la mente umana, come fatto sociale, si dete­riori qua­li­ta­ti­va­mente e si abbassi ad un livello cul­tu­rale infe­riore, senza che molti se ne accor­gano, sopraf­fatti come siamo dalla massa delle pic­cole inven­zioni tec­no­lo­gi­che? Non è forse que­sto uno dei signi­fi­cati della frase “razio­na­lità senza ragione”? Del ter­mine “alie­na­zione umana”? (…)L’accumularsi degli espe­dienti tec­no­lo­gici nasconde que­sto signi­fi­cato: coloro che se ne ser­vono, non li capi­scono; coloro che li inven­tano, non com­pren­dono molto di più. Ecco per­ché non pos­siamo, se non con molti dubbi e riserve, pren­dere l’abbondanza tec­no­lo­gica come indice di qua­lità umana e di pro­gresso culturale».

La socio­lo­gia, per seguire la pro­pria voca­zione, deve alzare lo sguardo oltre la «riserva» del pro­prio ter­ri­to­rio e inte­res­sarsi alle altre scienze umane: la sto­ria («per molti pro­blemi (…) pos­siamo otte­nere informazioni ade­guate sol­tanto nel pas­sato»), la psi­ca­na­lisi («Il pros­simo passo degli studi psi­ca­na­li­tici sarà di fare lar­ga­mente e pie­na­mente per le altre zone isti­tu­zio­nali ciò che Freud ha comin­ciato a fare così splen­di­da­mente per le isti­tu­zioni di paren­tado di un tipo scelto») e natu­ral­mente il cinema, l’arte, la let­te­ra­tura ecce­tera. Basti pen­sare che fra il 1940 e il 1950 aveva letto l’opera omnia di Bal­zac («ed ero stato pro­fon­da­mente col­pito dal fatto che si fosse assunto volon­ta­ria­mente il com­pito di “coprire” tutte le prin­ci­pali classi e tutti i prin­ci­pali tipi della società dell’epoca che voleva far propria».

Forse l’epitome più fedele e acuta di Wright Mills è stata data pro­prio da Bau­man ne La scienza della libertà: «distinse auto­re­vol­mente l’immaginazione socio­lo­gica dalla socio­lo­gia e mostrò come la pra­tica di quest’ultima non abbia alcuna neces­sa­ria con­nes­sione con la prima. Wright Mills fornì argo­menti irre­fu­ta­bili a soste­gno del per­se­gui­mento di un’immaginazione socio­lo­gica che cer­casse di imba­stire una con­ver­sa­zione con le donne e gli uomini (per) mostrare come i “guai per­so­nali” siano ine­stri­ca­bil­mente legati a “que­stioni pub­bli­che”.

L’immaginazione socio­lo­gica rende ciò che è per­so­nale poli­tico [(E), al pari della nar­ra­tiva e del gior­na­li­smo, rende pos­si­bile lo svi­luppo di una “qua­lità della mente” che per­mette alle donne e agli uomini di capire e rac­con­tare ciò che accade loro, ciò che sen­tono e ciò a cui aspirano».


Il Manifesto – 4 settembre 2014 


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