09 gennaio 2015

LA RAGIONE CONTRO OGNI FORMA DI VIOLENZA E DI FANATISMO


La democrazia non è l’Occidente


di Mauro Piras

Si sente già il suono che cresce, il brontolio in lontananza, che diventerà sempre più vicino, forte, ossessivo. Già conosciamo queste voci. L’Islam invade l’Europa. La civiltà europea è rammollita dalla ricerca del benessere, si fa sopraffare da chi crede veramente nei propri valori. La democrazia è minacciata. L’Occidente è minacciato. La democrazia è minacciata, ergo l’Occidente è minacciato. L’Islam è incompatibile con la democrazia. Il fanatismo è dentro l’Islam. E così via.
Conosciamo queste voci. Ci hanno frastornato per anni dopo l’undici settembre. Ci hanno fatto perdere la lucidità, e hanno fornito il collante ideologico che ha sostenuto una guerra insensata, che ha solo aggravato e moltiplicato i problemi. Hanno giustificato l’uscita dallo stato di diritto (leggi speciali sulla sicurezza, tortura ecc.). Alimentano quotidianamente la destra (Le Pen, Salvini) che scarica sull’odio per il nemico esterno le inadempienze del sistema sociale. Sono coltivate amorevolmente da intellettuali di sinistra che o vogliono mostrarsi apocalittici (un intellettuale non apocalittico annoia, e non vende) o vogliono cullarsi nel senso della decadenza, guardando il mondo dal loro Grand Hotel Abisso. E così tutto sembra coerente.
Del resto lo hanno fatto capire bene anche “loro”. Hanno attaccato un giornale, satirico, proprio perché faceva satira. Quindi hanno voluto attaccare la democrazia: la libertà di espressione, la libertà religiosa, la tolleranza, la critica. La serie di altri attentati simili, benché meno gravi, dei mesi passati lo conferma: una scuola, un parlamento, un centro culturale. Obbiettivi diversi rispetto a quelli dei grandi attentati di Al Qaeda degli anni duemila. Lì, in primo luogo, è stato colpito un simbolo del capitalismo globale, del dominio globale sul mondo esercitato dal capitalismo delle multinazionali, dagli Stati Uniti. E poi, nelle stazioni, è stata colpita la vita ordinaria del benessere occidentale. Qui, invece, si colpiscono istituzioni democratiche, in modo esplicito. Quindi la guerra contro la nostra civiltà è la guerra contro la democrazia. Bisogna essere accecati dal buonismo per non rendersi conto che l’Islam si sta scagliando contro i “nostri” valori. Che è una guerra tra noi e loro.
Descritta così, questa guerra è già stata vinta da loro. Così come era già vinta dai nazisti la guerra contro gli ebrei quando gli ebrei erano costretti a rinchiudersi unicamente nella loro identità ebraica, sotto l’attacco feroce del fanatismo nazista, che li perseguitava in quanto ebrei, togliendo loro la libertà di essere altro, cittadini liberi, agnostici, scettici, nichilisti, indifferenti, edonisti, o qualsiasi altra cosa. Se io adesso, per difendere la democrazia, devo essere schiacciato sulla mia “identità” occidentale, sui miei “valori” occidentali, perdo la libertà di essere altro. E quindi “loro”, in questa arcaica e grottesca logica amico-nemico, hanno già vinto la guerra: la loro interpretazione diventa anche la mia. Io perdo la libertà di mantenere separati gli ambiti, la lucidità di ragionare con cautela e distinguere. La civiltà europea è minacciata, quindi bando alle esitazioni dell’intelligenza e affrontiamo con coraggio il nemico, armiamoci e difendiamo i “nostri” valori.
Propongo invece una moratoria, una specie di disinfestazione del pensiero. Dovremmo bandire dal vocabolario politico e sociale alcune parole: “Occidente”, “occidentale”; “valori”; “noi”; “loro”. E poi vedere che cosa si può dire di quello che accade con le parole che restano.
Si può dire questo. Alcuni fanatici islamisti hanno massacrato delle persone inermi e pacifiche, solo perché queste hanno criticato la loro religione. Questi fanatici probabilmente vogliono mostrare anche che la libertà e la democrazia sono un male, e vogliono distruggerle. (Avevano probabilmente in mente una intuizione di questo genere: «la libertà di coscienza è il più diabolico dei dogmi, perché significa che ciascuno deve essere lasciato libero di andare all’inferno secondo la propria inclinazione». Una cosa detta qui in un linguaggio un po’ vecchio, perché risale a qualche secolo fa, ed è stato detto da un… ahi, come non dire qui “occidentale”? Mah, diciamo che era europeo, che era francese, cristiano, calvinista: Théodore de Bèze, 1554. Ma insomma, non importa da dove viene questa idea, è un’idea che ha avuto un suo successo, in molte forme.) Quindi, dicevamo, il nemico, a quanto pare, è una società in cui si è liberi di pensarla come si vuole, in cui tutto è dissacrabile, in cui un gruppetto di disegnatori e giornalisti brillanti può mettere alla berlina Maometto, insieme a tutto il resto (il Papa, il Presidente ecc.). Una società quindi in cui non c’è autorità consacrata per definizione superiore agli individui in carne e ossa. In cui possono convivere persone con sensibilità morali molto diverse, coscienze religiose e caustici spiriti liberi, e riescono a stare a fianco perché, è vero, hanno un po’ “buttato giù” le loro credenze, hanno accettato l’idea che si può vivere anche se esistono al mondo persone che quelle credenze le esecrano. E accettano di incrociarle, queste persone diverse, di conviverci, di farci persino delle cose insieme. Quindi una società in cui è possibile vivere anche se il totem della propria identità non viene continuamente alimentato da sacrifici umani. Forse, in questa pratica terra terra di bricolage morale, di accomodamenti e compromessi, di vite buone inventate alla meno peggio, anche provando le vie più contraddittorie, di ricerca del benessere quotidiano, di paura di essere troppo duri e troppo autoritari, dal momento che non si sa bene perché lo si dovrebbe fare, a che fine, con quale vantaggio, beh, forse in questa società traluce un sentimento di pietà per l’inettitudine umana, per la sua inadeguatezza, per il suo bisogno di essere rispettata nell’instabilità del desiderio e della sofferenza. E quindi questa pietà senza enfasi coltiva l’illusione di un mondo più vivibile, meno spigoloso, in cui non ci si debba scontrare furiosamente per affermare i grandi… ah, qui bisognerebbe mettere “valori”, ma non si può, quindi metto “obbiettivi”, più neutro. Ma perché un obbiettivo dovrebbe comportare il sacrificio della vita di una persona?
Messo così, mi piace questo mondo. È il mondo dell’aldiquà, ma senza chiedere a tutti di diventare atei. Chiediamo semplicemente a tutti di non massacrarci gli uni con gli altri. Ed è anche il mondo dell’equilibrio macchinoso, instabile, difettoso, della democrazia liberale. Di questa congiunzione difficile tra due parole, democrazia e liberalismo, che hanno chiesto il sacrificio di cinquanta milioni di morti (almeno) per essere unite. La democrazia è dimessa, è poco appetibile, è grigia, e poi è anche sempre inadempiente. Le abbiamo capite queste cose, tutti i raffinati critici della democrazia ce lo hanno ricordato in tutti i modi. E la libertà individuale è atomizzante, favorisce il capitalismo e la ricerca sfrenata del benessere ecc., abbiamo capito anche tutte queste belle cose. Però quando ti confronti con i veri nemici di questo mondo (quello che ho cercato di descrivere), e cioè con i veri nemici della democrazia, cioè della vita vivibile nell’immanenza, nell’aldiquà in attesa di sapere come finirà di là, ti rendi conto che queste critiche o sono chiacchiere o sono fiancheggiatrici. E qui capisco che linguaggio possiamo parlare, finalmente. Se ci sono dei nemici da combattere, con i mezzi che la ragione (accesa dalla pietà per la vita, sì, ma sempre ragione, lucida e analitica) ci consiglia, sono i nemici della democrazia. Cioè i nemici di una società in cui l’istanza ultima sono gli esseri umani dati, in carne e ossa, e non qualche idea generale che si spaccia per qualcos’altro con nomi altisonanti. Questi nemici non sono necessariamente islamici, né necessariamente religiosi. L’intelligenza si vergogna di se stessa, dopo le esperienze storiche del Novecento, a dover ancora ricordare questo.
Belle parole, mi si dirà, ma se ti attaccano devi rispondere. D’accordo. “Porgi l’altra guancia” è un principio morale molto discutibile. Soprattutto, non è un principio di giustizia. Mentre è in nome di una idea di giustizia che vogliamo difendere una società democratica e liberale. Però bisogna rispondere sfuggendo alla logica amico-nemico, e alla contrapposizione noi-loro (parole, appunto, che non avrei dovuto pronunciare). Se il nemico è chi vuole distruggere la democrazia con la violenza e con l’imposizione di un ordine etico coatto, le risposte, anche con l’uso della forza, sono dettate dalla democrazia stessa: ciò che deve essere combattuto, nelle pratiche, e dove occorre anche con la legge, con l’uso della forza pubblica (all’interno degli stati), e con l’uso della forza militare (all’esterno, nel diritto internazionale), non è la religione, non è l’Islam, ma è ogni condotta che violi il principio dell’eguale rispetto di individui liberi, intesi concretamente, come persone in carne e ossa. Se i cittadini delle democrazie liberali, quelle più vecchie, ma anche quelle più giovani che si stanno formando con grandi tensioni in parti del mondo esterne al cosiddetto “Occidente”, prendono coscienza che questa è la posta in gioco, allora cade la retorica della “debolezza etica” della democrazia. Questo è il mondo etico che difendiamo: la vita delle persone concrete, la convivenza confusa di vite diverse, e anche la ricerca del benessere, di queste persone concrete. Se ci crediamo, non ne facciamo una crociata. E non dividiamo di nuovo il mondo secondo “culture”, “religioni” e “civiltà” (altra parola da bandire), non cadiamo nella logica del nostro nemico, non ci facciamo imporre da lui un’identità. Ma guardiamo il mondo nelle sua particolarità.

Articolo tratto da http://www.leparoleelecose.it/ pubblicato il 9 gennaio 2015

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