29 ottobre 2021

IL SOGNO DI PIER PAOLO PASOLINI

 


foto di Dino Pedriali


Il 2 novembre 1975 è stato brutalmente assassinato Pier Paolo Pasolini. Tanti hanno cercato di metterci una pietra sopra. Qualcuno ha persino usato la sua orribile fine per farlo. Ma Pasolini oggi è più vivo che mai. La sua grande e complessa opera continua ad essere studiata e a turbare il sonno di tanti. 
Oggi noi vogliamo ricordarlo con una sua opera giovanile che pochi hanno letto. Ci serviamo per questo di un eccellente pezzo di Rosita Ingenito pubblicato qualche giorno fa dal gruppo facebook  “PIER PAOLO PASOLINI– Le pagine corsare”

Pier Paolo Pasolini, Il sogno di una cosa.

Tra passione e ideologia


Il nostro motto dev’essere dunque: riforma della coscienza non per mezzo di dogmi, ma mediante l’analisi della coscienza non chiara a se stessa, o si presenti sotto forma religiosa o politica. Apparirà allora che il mondo ha da lungo tempo il sogno di una cosa...”.


La citazione si trova in esergo al romanzo "Il sogno di una cosa", tratta dall’ ultima lettera che da Kreuznach Marx scrive ad Arnold Ruge a Parigi, nel settembre del 1843 ed è fornita a Pasolini da Franco Fortini che ha preso la traduzione dalla vecchia edizione Avanti! di

Marx Engels Lassalle.

Lo stesso Pasolini ne aveva fatto richiesta a Fortini :

Sono stato folgorato da una tua citazione (in quella serata sul Menabò industriale):

IL SOGNO DI UNA COSA. Ti sarei molto grato

se tu mi tra scrivessi la frase di Marx – o l’intera pagina – da cui hai tratto la citazione, e me la

mandassi, da mettere come epigrafe al libro”. (in P.P.Pasolini, Lettere, vol.II).

È il 26 gennaio del 1962.

La “cosa”, ovviamente, è la completa trasformazione della società.

Il finale di questa famosa lettera-manifesto di Marx è la parte più nota: “La riforma della coscienza consiste soltanto nel fatto che l’uomo lascia che il mondo divenga la sua coscienza interna, che l’uomo si risvegli dal sogno su se stesso, che si renda chiare le proprie stesse azioni. Il nostro intero scopo non può consistere altro – come nel caso di Feuerbach riguardo alla religione – che ogni

domanda religiosa e politica venga tradotta in forma umana autocosciente.

Il nostro motto deve dunque essere: riforma della coscienza non attraverso dogmi, ma attraverso l’analisi della coscienza mistica, non chiara a se stessa, si presenti in forma religiosa o politica. Si vedrà allora che da tempo il mondo possiede [nel senso di custodisce, ha in sé] il sogno di una cosa,

del quale gli manca solo di possedere la coscienza, per possederla veramente”.


L’uomo ha pressante e indilazionabile

il sogno d’una cosa , il sogno del socialismo, della giustizia, della vera uguaglianza, del lavoro per tutti e di una ripartizione dei beni secondo meriti e bisogni, senza lo sfruttamento capitalistico del plusvalore.

Pasolini resta colpito dalla lettera di Marx : per la sua vocazione pedagogica il “sogno di una cosa” è la riforma della coscienza.

Di una coscienza che vuole e può farsi mondo. Che può e vuole cambiare la realtà secondo i propri piani politico-pedagogici, scelti e vissuti collettivamente, in competizione con le altre possibilità che il futuro può determinare.

Pasolini avverte che l’Italia del dopoguerra, per quanto diversa e segnata dalle esperienze, vive

ancora inconsapevolmente di miti, il più forte dei quali è proprio quello dello Sviluppo, del tempo vuoto dell’avanzare, del progredire che non si cura delle distruzioni e del saccheggio delle ricchezze del pianeta, senza nessun rispetto per le culture particolari, “minori’ che vivono un tempo altro da quello urbano, dal tempo lineare ideologizzato.

Oggetto di riflessione inizialmente è il mondo contadino friulano .

Giovani contadini che nei loro paesi sul Tagliamento debbono perennemente assistere alle prepotenze dei pochi che hanno tutto e alla miseria delle plebi che non hanno nulla, giovani che si vedono alla fine costretti all’alternativa tra il morire di fame e l’espatriare.

Coi loro fagotti ai piedi, i ragazzi guardavano zitti verso quell’orizzonte limpido, turchino e

imbevuto di luce che toglieva il respiro, lungo le curve delle Prealpi, tra boschi, borgate e radure.

Proprio sotto il castello, sul costone di una collina, si vedeva a non più di due o trecento metri una strada bianca, disegnata tra case e orticelli; degli uomini vi camminavano; una donna venne alla finestra a sbattere un panno. Là non c’era più l’Italia: pareva che non ci fosse più mondo o che avesse inizio un mondo del tutto nuovo, libero, luminoso”.

( P. Paolo Pasolini, Il sogno di una cosa, in

Romanzi e racconti , Mondadori).

Successivamente, negli anni Cinquanta, Pasolini si dedicò tutto alla rappresentazione di un giovane sottoproletariato romano, l’arroganza del giovane strafottente, il gusto d’esibire tale strafottenza, il piacere –irragionevole- di ostentarla come un atto di violenta e altrettanto irragionevole rivendicazione.

Nei romanzi delle borgate la coscienza sembra aver introiettato il conflitto: non solo per la forza degli eventi, ma si è calato dentro di lei, è divenuto interno alla coscienza personale : la

conseguenza drammatica dello “sviluppo”.

Lo "Sviluppo" non è il nostro destino, a meno che non lo si scelga. Ma se invece preferiamo il

progresso, si può anche decidere per un tratto di tornare indietro, per meglio poi andare avanti.

La possibilità della scelta, forse è quel che affascina Pasolini del testo di Marx. Presente e passato. Antico e nuovo. E Pasolini non accettò mai che il dopo coincidesse sempre con il meglio, rigettando “ l’idolatria della successione del tempo in sé “( E. Bloch).


[...]Piange ciò che ha

fine e ricomincia...

[...]

Piange ciò che muta, anche

per farsi migliore. La luce

del futuro non cessa un solo istante

di ferirci [...]

(Il pianto della scavatrice VI)


Qualunque sia la scelta, il dover essere e lo scopo finale, non può eludersi la componente “mistica”.

Secondo Freud “la vita non vuole il suo bene” . E Pasolini, che aveva letto molto Freud, ne ha

condiviso quel concetto di atavica pulsione di vita che riscontrava nell’ ”ultimo puro arcaismo” di molti dei suoi personaggi letterari e cinematografici.

Purezza primitiva, condizionata da quel

consumismo che aveva eliminato ogni forma di spontaneismo umano individuale e collettivo cui teneva molto.

Di Freud ha assimilato il mistero dell’inconscio umano, in particolar modo della sua forma più conosciuta di linguaggio, di rappresentazione: appunto il sogno.

Il sogno è motivo diegetico di una delle sue tragedie, “Affabulazione”; è presente nelle “Mille e Una notte”, onirico è l’episodio “La Terra vista dalla Luna”; ed il sogno è parte imponente sotto forma di allucinazioni nel suo ultimo ed incompiuto romanzo, “Petrolio” .

Ma il sogno è anche la parte più affascinante e al contempo inquietante del suo primo film, Accattone.

In estremo si potrebbe dire che lo stesso

"Edipo re" si presenta (nella seconda parte) come un grande sogno del mito che finisce al risveglio, col ritorno alla realtà .

Nondimeno lo stesso Pasolini dirà:

L’altra ragione per cui il film è girato con «estetismo e umorismo», è che l’oggetto della ricerca di Freud non mi interessa più tanto, proprio come non mi interessa più tanto l’oggetto della ricerca di Marx. Non sono più del tutto seriamente inviluppato nel magma che fa di Edipo un oggetto di analisi freudiana e marxista. È vero, alla fine del film Freud sembrerebbe battere Marx. E Edipo va a

perdersi nel covo verde di pioppi e acque dove è stato allattato”.

(Da Pier Paolo Pasolini, Il cinema in forma di poesia , a cura di Luciano De Giusti, Pordenone,

Edizioni cinemazero, 1979)


Ma Pasolini di Freud ha colto soprattutto la dimensione dell’inconscio umano in cui si muovono le dinamiche profonde che si manifestano nei sogni, per ricercare quale sia il nostro il desiderio, cosa muove la natura umana.

Ed è stata quella di Pier Paolo Pasolini la vita di chi non ha mai rinunciato a scoprire cos’è

l’uomo, non l’ “Io” rigoroso, blindato, formale che lo governa, ma nel tentativo costante di

penetrare la parte più nascosta e oscura della sua “coscienza”: quella più sincera.

[...]

Più è sacro dov’è più animale

il mondo: ma senza tradire

la poeticità, l’originaria

forza, a noi tocca esaurire

Il suo mistero in bene e in male

umano. [...]

( L' umile Italia II)


ROSITA INGENITO

Testo pubblicato il 22 ottobre 2021 dal gruppo fb Pier Paolo Pasolini – Le pagine corsare





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