Il testo che segue,
ripreso da Il Corriere della sera, è una recensione scritta da Camus di «Vino e
Pane» di Silone. Inedita in Italia, uscì il 13 maggio 1939 su «Le
Soir Républicain» ed è tratta dall’antologia «Calendario
della libertà», edita da Castelvecchi.
Albert Camus - Il lato oscuro della
verità
Le edizioni Grasset hanno
appena pubblicato un’eccellente traduzione del romanzo di Ignazio
Silone, Vino e pane . Si tratta di un’opera che si occupa dei
problemi attuali. Ma la miscela di distacco e angoscia con cui
vengono affrontati questi problemi permette di salutare, in Vino e
pane , una grande opera rivoluzionaria. E per diversi motivi.
Innanzitutto, questo
romanzo è senza dubbio quello di un antifascista. Il messaggio che
porta però va al di là dell’antifascismo. Perché questo
rivoluzionario esiliato per anni, dopo essere evaso da un campo di
concentramento, se torna in Italia e se scopre sempre dei motivi per
odiare il fascismo, vi trova al contempo dei motivi per dubitare. Non
certo della propria fede rivoluzionaria, ma del modo in cui si
esprimeva. Uno dei passaggi culminanti di questo libro è senz’altro
quando Pietro Sacca, il protagonista, a contatto con la vita semplice
dei contadini italiani, si chiede se le teorie con cui ha travestito
l’amore che provava per quel popolo non l’hanno allontanato da
quello stesso popolo.
È qui che possiamo
valutare quest’opera come rivoluzionaria. Perché un’opera simile
non è affatto quella che esalta le vittorie e le conquiste, ma
quella che svela i conflitti più angoscianti della Rivoluzione. Più
questi conflitti saranno dolorosi e più saranno attivi. Il militante
convinto troppo in fretta sta al vero rivoluzionario come il bigotto
sta al mistico. Perché la grandezza di una fede si misura con i suoi
dubbi. E quello che investe Pietro Sacca nessun militante sincero,
proveniente dal popolo e deciso a difenderne la dignità, può
ignorarlo.
L’angoscia che coglie
il rivoluzionario italiano è la stessa che dà al libro di Silone la
sua vivacità cupa e la sua amarezza. D’altra parte, non c’è
opera rivoluzionaria senza qualità artistica. Questo può sembrare
paradossale. Credo però che se l’epoca ci insegna qualcosa a
questo riguardo, è che l’arte rivoluzionaria non può fare a meno
della grandezza artistica, senza regredire alle forme più umiliate
del pensiero.
Non c’è via di mezzo
tra la bassa propaganda e la creazione esaltante, tra quello che
Malraux chiama «la volontà di provare» e un’opera come La
Condizione umana . Vino e pane risponde a tale esigenza. Questo libro
ribelle è radicato nella più classica delle forme. Una frase breve,
una visione del mondo al contempo ingenua e riflessiva, dei dialoghi
naturali e secchi, danno allo stile di Silone una vibrazione segreta
che traspare finanche nella traduzione.
Se la parola poesia ha un
senso, è qui che lo ritrova, in questi quadri di un’Italia eterna
e rustica, in questi pendii ricoperti di cipressi e in quel cielo
senza pari, e nei gesti secolari di questi contadini italiani.
Ritrovare la strada di quei gesti e di quella verità, e da una
filosofia astratta della rivoluzione ritornare al pane e al vino
della semplicità, è l’itinerario di Ignazio Silone e la lezione
di questo romanzo. E una delle sue grandezze principali è di
incitare anche noi a ritrovare, attraverso gli odi attuali, il volto
di un popolo fiero e umano che rimane la nostra unica speranza di
pace.
(Da: Il Corriere della
sera del 31 ottobre 2013)
Nessun commento:
Posta un commento