Cosa aspettarsi di
diverso da un partito che è poco più di un assemblaggio di notabili
e cordate e dove la gestione dell'esistente (leggi: spartizione delle
cariche, degli appalti e del sottogoverno locale) è la quotidianità.
Un partito nato senza progetto e senza ideali, che ora si scopre per
molti versi simile al tanto in passato odiato partito craxiano.
Guido Crainz
La nebbia che circonda
il Pd
Non può esser sottovalutato il pessimo messaggio che viene dalle pratiche segnalate in alcuni congressi locali del Pd: tessere triplicate, risse, denunce, elezioni fantasma e così via.
Un danno vero per l’immagine stessa di una democrazia, non solo di un partito: di qui l’urgenza di prese di posizione concrete, drastiche ed esemplari da parte di tutti i candidati alla segreteria nazionale. L’urgenza di dissolvere ogni nebbia: senza se e senza ma, e senza accuse reciproche che malamente maschererebbero un problema collettivo. Non è lecita nessuna minimizzazione.
Quegli episodi mostrano
che siamo ben lontani dal rispondere alla crisi della politica con
una vera inversione di tendenza, con un colpo d’ala in zona
estrema: questa però doveva provare a fare un Pd giunto dopo il voto
di febbraio al punto più basso della sua pur breve e
tormentatastoria. In realtà col passar del tempo la speranza è
diventata via via sempre più flebile, e dalla sua vita interna sono
venuti segnali sempre più sconfortanti.
Lo conferma l’andamento
stesso delle iscrizioni, dimezzate in un anno, ed era difficile
immaginare un rovesciamento così drastico rispetto alle primarie di
appena un anno fa: rispetto alla vitalità che avevano messo in luce,
alle passioni e alle speranze che avevano riacceso. Mancò certo dopo
di esse la capacità di aprirsi realmente alla società, di muovere
alla conquista di incerti e delusi: delusi anche dal funzionamento
sempre più appannato della nostra democrazia. Mancò la capacità,
se non la volontà, di prender atto del frastuono d’allarme che era
venuto dal voto in Sicilia, con l’astensione oltre il 50% e il
Movimento 5 Stelle primo partito dell’isola.
Allarme presto rimosso: è
sembrata prender corpo semmai l’idea nefasta che possa esservi una
“democrazia al 50%”: che si possa cioè governare un paese non
conquistando nuovi consensi ma perdendone meno del proprio
antagonista, e considerando irrilevante il tasso e la qualità della
partecipazione. Già tempo fa Ilvo Diamanti segnalava che per una
metà degli italiani era possibile anche una democrazia senza i
partiti, e da allora questa convinzione si è ulteriormente diffusa.
E si è diffusa ancor di più l’idea che non vi possa essere una
vera democrazia con questi partiti: un giudizio terribile.
Eppure non erano mancati
in tempi relativamente recenti segnali di vitalità e di speranza, e
si pensi solo alle elezioni amministrative o ai referendum di due
anni fa. Sembra purtroppo un’immagine lontana la lunga fila di
cittadini in coda a Milano per stringer la mano al neosindaco
Pisapia: quei segnali non hanno trovato a livello nazionale una
sinistra capace di accoglierli, capace di lasciarsene ispirare.
Capace di frenare le derive che investono ormai in modo aperto il
rapporto fra cittadini e istituzioni: ma non può esservi oggi
nessuna sinistra se non pone al centro la riforma radicale della
politica e l’inversione di quella sfiducia che sembra aver superato
ogni argine.
Si legga in questa chiave quel che è avvenuto in questi mesi nel Pd, dal non dissolto mistero dei “101” che hanno affondato la candidatura di Romano Prodi al non eccelso livello dei suoi dibattiti, o dei suo scontri, interni: si capirà meglio allora quanto la situazione si sia aggravata. Essaè stata poi ulteriormente, e inevitabilmente, appesantita dallo scenario delle larghe intese e dalla scarsa chiarezza con cui ci si è mossi all’interno di esse: con cedimenti sui contenuti che hanno peggiorato la situazione concreta e offuscato gravemente la direzione di marcia, come è avvenuto sull’Imu; e con l’assenza di priorità capaci di identificare il centrosinistra e il suo progetto di futuro.
Un panorama sconsolante,
e anche per questo gli episodi di questi giorni, per limitati che
possano essere (e non lo sembrano più di tanto), non fanno che
ingrossare una valanga di sfiducia già avviata: una valanga che
rischia di travolgere qualcosa di molto più importante di un
“partito di micronotabili” (sembra difficile oggi dissentire da
questa impietosa analisi). Ove le derive non fossero drasticamente e
immediatamente frenate rimarrebbero davvero pochi argomenti a chi si
oppone all’ipotesi di un “partito personale”: cioè a chi crede
ancora ad un’organizzazione politica basata su modalità collettive
e continue di progettazione e di azione.
E gli stessi contorni di
un “partito personale” verrebbero minati alla radice dal
molteplice agire di tarli e termiti. Per molti versi dunque quel che
è avvenuto in questi giorni sta mettendo preventivamente alla prova
la reale idea di partito di ognuno dei candidati alla segreteria del
Pd. Di qui l’urgenza di atti concreti, esemplari e drastici: in
primo luogo nei confronti dei propri sostenitori che si fossero resi
responsabili di quelle inaccettabili pratiche.
(Da: La Repubblica del
primo novembre 2013)
Penso da tempo che sia tempo perso occuparsi ancora del PD. Su questo partito ormai si può fare solo dell'ironia e, meglio ancora, del sarcasmo. Da questo punto di vista mi sembra insuperabile quello che ha scritto oggi las Jena su LA STAMPA: " PER ESSERE UN BUON LEADER DEL PD BASTEREBBE DIRE LA META' DELLE COSE CHE DICE IL PAPA".
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