Christian Raimo - Una nostalgia grande come la luna
È uscito da nemmeno un mese e le librerie, come si dice, già ce l’hanno di costa. Ma voi recuperatelo. Stefano Catucci ha scritto un libro bellissimo e anomalo – un’eccezione nella saggistica italiana dove praticamente non esiste la critica culturale e tra accademia e giornalismo difficilmente si percorre una terza via: Imparare dalla luna (Quodlibet, 19 €) – titolo-omaggio al modello Imparare da Las Vegas – è un saggio sull’immaginario legato alla Luna, focalizzato su quell’appendice della modernità che va dai voli interspaziali a oggi; oggi, ossia in un tempo in cui, a quanto pare, riprenderanno i viaggi lunari per ricchissimi flâneur galattici.
Gli umani e questa sfera bianca nel cielo: capire il rapporto che
noi terrestri abbiamo avuto con il nostro satellite ci fa riconoscere il
senso di una storia delle idee, dalla metafisica all’arte alla
politica. Non soltanto perché la luna come metafora, simbolo, icona è
stata tutto, ma perché ha significato soprattutto, ovviamente, il modo
in cui ci siamo confrontati e/o rispecchiati con l’Altro da noi.
Per questo familiarità e spaesamento sono i poli
di uno spettro emotivo con cui ci lasciamo accompagnare da Catucci. Uno
spettro emotivo, esatto: perché, nonostante sia un libro denso
intellettualmente, tassonomico dal punto di vista della ricostruzione
storica, Imparare dalla luna è un testo che ci interroga e spiazza tutti. Chi di noi, del resto, non è un terrestre?
Si può capire di che libro meraviglioso si tratta partendo da quella che è una delle fotografie più celebri della storia: Earthrise, che l’astronauta William Anders scattò nella missione Apollo 8. L’immagine che tutti conosciamo è questa:
Ma. Ma l’immagine che potremmo dire originale era ruotata di 90 gradi, ossia è questa.
Capite che fa una bella differenza. Se alla prima potremmo affibbiare una didascalia cartolinesca del tipo: Saluti dalla Luna; la seconda ci ispira forzatamente un sottotesto tipo Addio alla Terra.
La semplice rotazione di 90 gradi è emblematica di una costruzione
che «ha finito per vanificare il senso dell’alterità dello spazio,
mancando l’occasione per scegliere una forma diversa per raccontare
anzitutto dello spazio e della Luna, anziché della Terra come di un
luogo del ritorno e come origine della visione del cosmo». Una
terrestrizzazione dello spazio ignoto.
Su quest’ambiguità, esplorazione/conquista, negli anni degli
sbarchi, scrittori, pensatori di varia razza si sono lambiccati. Così
per certi versi Imparare dalla luna si rivela una specie di
manuale di filosofia contemporanea. Se Heidegger di fronte alle foto
della Nasa nel 1966 scriveva: «La tecnica strappa e sradica l’uomo
sempre più dalla Terra», Hannah Arendt considerava l’esplorazione dello
spazio un tentativo di sfuggire alla condizione umana, e Günther Anders
considerava che il grande risultato dell’impresa del 1969 non è stato
portare fisicamente gli uomini sulla Luna, ma proprio vedere la Terra
come «un relitto nell’universo».
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