Una rilettura della
storia del movimento operaio oggi che gli operai sono diventati
invisibili. Tre libri da leggere per capire da dove veniamo.
Benedetto Vecchi
L'apocalisse di
una classe
Un vecchio minatore di
Carbonia che si confessa a uno scrittore, Nanni Balestrini, che ha
saputo, con passione e intelligenza, trasformare la memoria
individuale in incandescente materia letteraria. Alcuni titoli, a
mo' di esempio, di questa sua capacità: Vogliamo tutto , La
violenza illustrata , Gli invisibili , Sandokan. Storia di
camorra. Ogni libro, un passaggio fondamentale della storia
repubblicana. L'autunno caldo e la lunga stagione delle lotte
operaie è il tema del primo libro. La politicizzazione integrale
degli anni Settanta riguarda il secondo titolo; il terzo romanzo è
sulla sofferta presa di parola di una generazione politica, quella
del Settantasette, sconfitta e dispersa nei sentieri di camoscio
che porta gli invisibili da un carcere all'altro.
Il potere economico e
politico dell'antistato criminale nelle terre campane è lo sfondo
dell'ultimo libro. Questa volta Nanni Balestrini fa invece i conti
con la scomparsa di alcune figure operaie importanti nella storia
del movimento operaio italiano. Carbonia , infatti, è la storia
di un minatore sardo che ha attraversato la seconda parte del
Novecento con l'orgoglio dell'operaio di mestiere che però
assiste alla fine della «sua» epoca. Le miniere chiuse,
l'automazione introdotta nell'estrazione del minerale che rende
inutili gli uomini che ogni giorno scendevano per spalare carbone.
È storia di una
sconfitta politica che ancora brucia, perché a Carbonia «eravamo
tutti comunisti», come recita il sottotitolo del libro. Con la
chiusura delle miniere un'intera realtà sociale, politica, umana
viene spazzata via, anche se il protagonista racconta di altre
lotte, mobilitazioni: per la casa, per i servizi sociali. È
infatti un militante che non molla mai. Il protagonista ha alle
spalle una vita avventurosa. Marinaio durante la seconda guerra
mondiale è insofferente a ogni gerarchia. Ha scoppi d'ira che
spesso si trasforma in furia cieca. Quando torna in Sardegna
finisce in miniera. Ha esperienza di elettricista e questo lo fa
diventare un operaio specializzato: le sue competenze servono per
gestire l'uso dell'esplosivo in miniera. Le pagine più belle sono
dedicate al racconto della fatica, del sudore del lavoro che
svolge. Descrive i meccanismi di solidarietà che caratterizzano
una comunità operaia ribelle, che non esita a usare la dinamite
contro le case degli ingegneri, le caserme dei carabinieri. Forme
di lotta radicali quelle dei minatori, imposte anche al sindacato
e al partito.
I minatori di Carbonia
sono un mondo a parte con regole e forme di autogoverno dei
conflitti al delle relazioni sociali interne. Un mondo avvolgente,
ma del quale il protagonista sente anche il potere normativo.
Scappa quindi in Australia, dove si arricchisce. Fa la vita del
rentier per alcuni anni, ma poi il «richiamo della foresta» lo
porta nuovamente sottoterra. C'è in questa epica proposta da
Balestrini la consapevolezza che Carbonia ormai appartiene a un
passato che non potrà mai più tornare. È un atto d'amore verso
la rude razza pagana operaia quello dello scrittore italiano. Ma
in queste pagine non c'è nessun lutto da elaborare, né
nostalgia, né disperazione.
La storia non è finita con la
chiusura delle miniere. Semmai inizia un'altra storia, ancora
tutta da capire, da decifrare, da scoprire. È il racconto di una
fine, certo, ma il protagonista non è certo pacificato con il
presente. Dunque nessuna rassegnazione, ma l'attesa febbrile di un
nuovo inzio. Sentimenti distanti anni luce da altri due libri che
raccontano la disintegrazione di una classe operaia che voleva
cambiare il mondo. Si tratta de La fabbrica del panico di Stefano
Valente (Feltrinelli, pp. 117, euro 11) e de Il tempo senza lavoro
di Massimo Cirri (Feltrinelli, pp. 156, euro 13).
Entrambi gli autori
sono figli di operai. Stefano Valente racconta la storia di suo
padre e di come lo vede spegnersi giorno dopo giorno perché ha
lavorato maneggiando amianto. Un operaio comunista, che ha
maledetto la fabbrica non solo perché lo sta uccidendo, ma anche
perché voleva dipingere. Il regno della necessità ha prevalso.
Solo in pensione si è un po' riconciliato con la vita. La
scoperta di avere un cancro è accettata con fatalismo. La voce
narrante è andato all'università e vuole diventare uno
scrittore. È un precario, che si sbatte per mettere insieme un
po' di reddito. Gli operai sono i vinti, destinati a rimanere
tali, anche se hanno lottato per costruire il regno della libertà.
Stefano Valente ne parla tuttavia come Ernesto De Martino parlava
dei contadini spazzati via dalla modernizzazione. La storia che
fuoriesce dalla pagine del libro è la storia dei subalterni, che
non riescono a scrollarsi di dosso la sconfitta. Sono ormai i
protagonisti di una apocalisse sociale e culturale. Il padre
dell'autore era in origine un operaio di mestiere, che poi ha
dovuto subire le stigmate dell'organizzazione scientifica del
lavoro che lo ha ridotto a un avatar malinconico del protagonista
di Tempi moderni.
Operai qualificati,
anzi tecnici sono invece i protagonisti del libro di Massimo
Cirri. Indossavano il camice bianco, applicavano conoscenza
scientifica per sviluppare dispositivi tecnologici d'avanguardia.
Con le privatizzazioni, la loro fabbrica è diventata Eutelia.
Erano tecnici poco propensi al conflitto. Si sentivano parte della
fabbrica e alle sue gerarchie erano fedeli e leali servitori. Poi
sono stati cacciati senza nessuna remora da uno dei tanti squali
che hanno fatto profitti con le privatizzazione e la tecnica di
fare spezzatino di una impresa grande, importante. Anche in questo
caso, il narratore è un precario, figlio di operai. Per lui, il
mondo operaio può essere compreso solo a partire dai momenti di
conflitto che riesce a mettere in campo. Tanto in Balestrini che
in Cirri e in Valenti lo sfondo in cui collocare i loro romanzi è
il mondo operaio sconfitto.
E se per Balestrini,
ci può essere un nuovo inizio negli altri due romanzi si impone
la fine di un'epoca. Il presente è un deserto da attraversare,
con qualche rara oasi dove rifocillarsi. Certo, si può dire che
sono tre libri che testimoniano la ripresa di interesse per gli
operai. Ma è una constatazione rassicurante. Per parlare del
nuovo regime di sfruttamento serve però altre materia prima.
Magari quella che emerge dalle vite di Cirri e Valente. In fondo
sono anche loro vite precarie e sfruttate. È forse in quelle vite
che può esserci un nuovo inizio che non cancelli il passato.
il manifesto - 21
dicembre 2013
Grazie Franco. Segnalerò il libro di Balestrini a Carla.
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