Riprendo dal sito http://letteratitudine.blog.kataweb.it/ la recensione di Gordiano Lupi di un film di Pasolini:
Pier Paolo Pasolini realizza il secondo film da regista e aggiunge un importante tassello al suo viaggio nell’umanità dolente delle borgate romane. Accattone (1961) mostra il mondo del sottoproletariato urbano della capitale visto dalla parte del maschio, con un grande Franco Citti, sublime interprete del ragazzo di vita pasoliniano. Pasolini continua l’adattamento cinematografico della sua opera letteraria (Ragazzi di vita, Una vita violenta, Il sogno d’una cosa, Poesia in forma di rosa…), definendo un discorso aperto da sceneggiature importanti come La notte brava (1959), di Mauro Bolognini, tratto proprio da Ragazzi di vita. Accattone narra la vita quotidiana dei ragazzi delle borgate romane, tra litigi, notti insonni, bravate, giornate all’osteria, piccoli furti e prostitute. La Borgata Gordiani viene messa in primo piano da sapienti movimenti di macchina, carrellate, poetiche panoramiche, primi piani e mirabili piani sequenza. Mamma Roma gode della stessa ambientazione borgatara di Accattone, ma la protagonista è una donna, Anna Magnani nei panni di una prostituta romana che vuole cambiare vita per dedicarsi al figlio Ettore. Sergio Citti è fondamentale come consulente per i dialoghi in romanesco, recitati da attori dilettanti, a parte la grandissima Magnani. Le tematiche sono quelle care a Pasolini che accompagneranno tutta la sua vita artistica: gli emarginati, il sottoproletariato confinato in un ghetto di incomunicabilità con le altre classi sociali, la sconfitta del diseredato, l’impossibilità di affrancarsi da un destino di sofferenza. Anna Magnani non lega con il regista, le rispettive visioni del mondo non coincidono, ma nonostante tutto regala un’interpretazione memorabile. La sua Mamma Roma è una madre coraggio in pena per la sorte d’un figlio ribelle, in preda alle tempeste adolescenziali, che contraccambia il suo amore ma non lo sa esprimere. “Mia madre? A me che me frega di mia madre? In fondo credo di volerle bene, perché se morisse mi metterei a piangere”, confessa a Bruna, la ragazza che lo fa diventare uomo. Vediamo in breve la trama. Mamma Roma (Magnani) decide di abbandonare la vita da prostituta quando Carmine (Citti), il protettore, si sposa, liberandola da ogni obbligo. La donna decide di dedicarsi anima e corpo al figlio, Ettore (Garofolo), che non sa niente del suo mestiere ed è cresciuto nella vicina Guidonia. Mamma Roma si mette a vendere frutta e verdura, si trasferisce in un appartamento alla periferia di Roma, segue il figlio, cerca di indirizzarlo nelle scelte femminili e di trovargli un lavoro. Mamma Roma non vuole che il ragazzo faccia la sua fine, che si seppellisca nella periferia romana, ma sogna per lui un futuro di tranquillità, con un lavoro rispettabile. A un certo punto il protettore torna a cercare Mamma Roma e la riporta sulla strada, come il passato che non si può cancellare, l’ineluttabilità del destino. Ettore viene a sapere da Bruna quale sia la vera professione della mamma, per reazione comincia a delinquere, infine viene arrestato dopo per aver rubato una radiolina a un degente dell’ospedale. Finale melodrammatico: il ragazzo muore in carcere, legato a un letto di contenzione, in preda a un delirio febbrile.
Il film è dedicato allo storico dell’arte Roberto Longhi e certe rappresentazioni scenografiche sono pittoriche, grazie alla collaborazione di Flavio Mogherini, futuro regista di scuola pasoliniana. Il finale, con il ragazzo che muore legato al letto del carcere, ricorda un Cristo del Mantegna, una scena da struggente deposizione. Carlo Rustichelli compone una colonna sonora basata sulle musiche sinfoniche di Antonio Vivaldi che accompagna sequenze poetiche fotografate in un livido bianco e nero. Violino tzigano, di tanto in tanto, interrompe la musica barocca e porta in primo piano note di musica popolare. Il ritmo è lento, cadenzato, tra piani sequenza della periferia, panoramiche, dialoghi in romanesco. Puro cinema, una gioia per gli occhi vedere una Roma notturna e seguire le passeggiate logorroiche di mamma Roma che racconta episodi di vita mescolando fantasia e realtà. Pasolini narra per immagini un’umanità dolente che sogna un riscatto impossibile ma deve rassegnarsi a un destino infelice.
Il
regista compie un grande lavoro figurativo, guida con bravura una
straordinaria Anna Magnani che recita in mezzo a un gruppo di attori
dilettanti. Pasolini ci tiene a sviscerare il complesso rapporto madre -
figlio, secondo canoni psicanalitici, facendo capire la difficoltà di
un adolescente a rivelare il suo amore per la madre. Un tema caro al
poeta, anche per vicende biografiche, che lo vedono molto legato alla
madre, anche se il loro è un amore borghese, non certo borgataro.
Ricordiamo poesie come Ballata delle madri e Supplica a mia madre, contenute in Poesia in forma di rosa,
che ricalcano identica tematica. L’educazione sentimentale di un
adolescente è un altro tema caro a Pasolini che lo inserisce nella
pellicola ricorrendo al personaggio di Bruna, la ragazza che introduce
Ettore ai misteri del sesso. Non possono mancare i volti del
sottoproletariato urbano, i ragazzi di vita che tanto
interessano Pasolini, fotografati nelle espressioni naturali e nella
sofferenza quotidiana. Il regista indugia sui campetti di calcio
sterrati, inventati dai ragazzini di borgata, con le porte segnate da
giacchetti e maglioni, simbolo di un modo di giocare tipico degli anni
Sessanta. Anche i rapporti tra donne che fanno la vita, segnati da
amicizia e spirito di colleganza, sono in primo piano. Le parole di
denuncia di Mamma Roma: “E allora di chi è la colpa? Se avevano i mezzi
erano tutti brave persone”, pesano come macigni, anche se il regista non
interferisce con le immagini, non dà mai un giudizio morale o politico,
ma si limita a fotografare la realtà. Fantastico il finale, vero che
sembra uscito da un racconto di Cuore, ma vero anche che la
rappresentazione del dolore materno e delle sofferenze del figlio è
drammatica e commovente. La galera non è acqua che passa,
ma dolore che resta, dolore infinito. La pellicola termina con la
disperazione materna e la macchina da presa si ferma alcuni istanti su
quel volto dolente, da Madonna straziata per la morte del figlio, senza
dissolvenze o inutili lungaggini, per lasciare il posto alla parola Fine in campo bianco.
Accattone e Mamma Roma sono pellicole
non ascrivibili a un genere, si tratta di lavori molto letterari dai
quali scaturisce l’intera poetica del regista. Se mi è concessa una
definizione personale, senza voler essere blasfemo, parlerei di neorealismo corretto da un pizzico di melodramma pascoliano e deamicisiano, due autori molto cari a Pasolini.
Alcune curiosità.
Il debuttante Ettore Garofolo viene scoperto da Pasolini mentre fa il
cameriere in una trattoria, e in alòcune sequenze del film lo vediamo
all’opera nel suo vero mestiere, quando è assunto per servire ai tavoli
di un ristorante. Lo scrittore Paolo Volponi, amico di Pasolini,
interpreta il prete al quale Mamma Roma chiede un aiuto per trovare
lavoro al figlio. Gli esterni del film sono girati alla periferia di
Roma, al palazzo dei Ferrovieri di Casal Bertone, al villaggio INA -
Casa del Quadraro, al Parco degli Acquedotti e a Tor Marancia. Altre
scene sono girate a Frascati, Guidonia e Subiaco. Notiamo spesso sullo
sfondo la cupola della Basilica di San Giovani Bosco, così come si
vedono le borgate con le baracche dove vive la povera gente. Un piccolo
escamotage di Pasolini riesce a far convivere recitazione impostata con
interpretazione spontanea. Anna Magnani non recita quasi mai in diretta
insieme a un attore dilettante, ma il dialogo viene realizzato
ricorrendo a primi piani uniti in sala montaggio.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (tre stelle e
mezzo): “Il tema dell’incoscienza, o della diversa coscienza, proletaria
è al centro del secondo film di Pasolini, dove il regista nobilita i
suoi personaggi con richiami alla pittura rinascimentale (il Cristo mori
del Mantegna), e tocca vertici di pathos senza versare una
lacrima: Mamma Roma rappresenta la femminilità dolente ma
indistruttibile, mentre Ettore, scettico e prematuramente deluso dalla
vita, è fratello ideale di Accattone, senza esserne una scialba replica.
Quella della Magnani (che pure non s’intese con Pasolini, che la accusò
di voler dare al personaggio tratti piccolo - borghesi) è una delle sue
migliori interpretazioni”. Morando Morandini (tre stelle e mezzo per la
critica, tre stelle per il pubblico): “L’esperimento di fondere la
recitazione di Anna Magnani con quella dei ragazzi di vita è
parzialmente riuscito, ma contro scompensi e intemperanze e zone sorde,
il film ha momenti di coinvolgente vigore stilistico”. Tre stelle anche
per Pino Farinotti, ma senza motivare. Il nostro giudizio, da pasoliniani
convinti, raggiunge le quattro stelle, non trova difetti a un film
riuscito, che unisce dramma psicologico a scene di vita quotidiana,
recitazione spontanea a impostazione tecnica, sceneggiatura priva di
difetti a dialoghi realistici.© Letteratitudine

Nessun commento:
Posta un commento