Dossier: Danilo Dolci e l’educarsi maieutico
La storia è
di quelle esemplari: un giovane studente di architettura che, mosso da
un’urgenza religiosa ed etica, abbandona gli studi per vivere la vita dei
poveri di un villaggio minimo della Sicilia e lotta con loro per conquistare
pane e dignità, combattendo senza violenza l’indifferenza, la mafia, la cattiva
politica. Eppure questa storia esemplare è una storia quasi del tutto
dimenticata. Mentre la Chiesa cattolica procede con le beatificazioni e
santificazioni dei suoi uomini rappresentativi, la coscienza laica ha lasciato
che alcuni dei nomi più nobili della storia recente di questo paese cadessero
nell’oblio. Si tratta di uno spreco, per usare un temine centrale nell’analisi
di Dolci della situazione di sottosviluppo civile e politico, prima che
economico, del nostro paese. Uno spreco di esperienze, di sperimentazioni, di
pratiche, di lotte, di passioni che vengono dall’Italia migliore, quella che ha
tentato la via della democrazia autentica, dello sviluppo nonviolento, della
partecipazione popolare alle decisioni politiche negli anni della complicità
tra mafia e politica, delle stragi, della corruzione eretta a sistema. Danilo
Dolci ha attraversato quasi cinquant’anni della nostra vita pubblica con il
candore del suo maglione bianco, dei suoi pantaloni sdruciti, del suo
linguaggio attento al significato di ogni parola, alla ricerca dell’esattezza,
del comunicare che non inganna ma feconda.
Da alcuni
segni pare che si possa parlare di una riscoperta di Dolci. Solo due esempi tra
i più recenti: dall’11 al 15 maggio si è tenuto a Città della Pieve il Right
Profit Guitar Festival 2011, dedicato quest’anno a Danilo Dolci, con
proiezione del film Danilo Dolci: memoria e utopia di Alberto
Castiglione e diverse iniziative con le scuole, mentre è di pochi giorni dopo
un focus su Dolci all’interno della quarta edizione del Viva Festival di
Macerata, con la presentazione del libro Danilo Dolci: una rivoluzione
nonviolenta (Altreconomia) di Giuseppe Barone, laboratori maieutici con
Barone ed Amico Dolci, figlio di Danilo, e le prove aperte dello spettacolo Io
non so cominciare, un progetto del Teatro Rebis dedicato a Dolci. Molte
altre iniziative, piccole ma significative, si potrebbero citare. Non mancano
anche circoli di movimenti politici intitolati a Danilo Dolci: segno che una
certa sinistra sta tornando a guardare con interesse alla sua figura.
Con il
dossier che apre questo numero intendiamo dare il nostro contributo ad una
riscoperta non più rimandabile. Il titolo, con il riferimento all’educarsi
maieutico, fissa il punto centrale della complessa (e qua e là anche
controversa) azione di Dolci. Educarsi vuol dire educare sé stessi
insieme agli altri. L’educazione non è una cosa che alcuni fanno ad altri; gli
uomini si educano gli uni con gli altri. In questo senso l’educare è
reciprocamente maieutico. Ogni uomo è maieuta dell’altro, ognuno aiuta gli
altri ed è aiutato dagli altri a cercare ciò che è essenziale per l’umanità. Il
metodo della maieutica reciproca è l’eredità di Danilo Dolci. Esso è stato
sperimentato nel campo dello sviluppo comunitario, dell’educazione degli adulti
(ma meglio sarebbe dire: tra adulti), dell’educazione scolastica. Le sue
potenzialità appaiono enormi a chi ha partecipato almeno una volta ad un
laboratorio, per la sua capacità di provocare cambiamenti profondi, di
stimolare la creatività, di aprire a nuove forme di socialità.
Il dossier
si apre con un saggio di Domingo Paola, che presenta i temi
fondamentali della pedagogia (parola che non amava) di Dolci, rilevando
l’importanza dei temi del dominio e della nonviolenza. Seguono quattro
testimonianze di persone che in modi diversi sono state vicine a Dolci: quella di
Giuseppe Casarrubea, studioso appassionato e puntuale dei rapporti
tra mafia e servizi segreti, che di Dolci è stato collaboratore, dando un suo
contributo anche all’esperienza del centro educativo di Mirto; quella di Bruna Alasia, figlia di Franco, che di
Dolci è stato il collaboratore più fidato e costante; quella di
Benedetto Zenone, il cui intervento è particolarmente toccante per
il racconto degli ultimi giorni di vita di Danilo; quella di
don Giovanni Catti, che Dolci lo aveva incontrato negli anni Ottanta
a Barbiana. Seguono una serie di studi che approfondiscono diversi aspetti
dell’opera di Dolci. Giuseppe Barone, tra coloro che maggiormente si è
adoperato per manterene viva la memoria di Dolci, si sofferma su Banditi
a Partinico, una delle grandi inchieste sociologiche degli anni
Cinquanta, di cui Bobbio segnalò tempestivamente lo straordinario valore
civile; Antonio Vigilante tenta
una lettura complessiva dell’azione di Dolci sotto il segno dello
sviluppo comunitario; Stefano Raia ripercorre la
travagliata vicenda del premio Lenin, che tante polemiche suscitò,
provocando anche l’allontanamento di diversi amici e sostenitori; Vincenzo
Schirripa, autore di una recente e puntualissima ricostruzione storica del
lavoro di Dolci negli anni Cinquanta ‒ Borgo di Dio. La Sicilia di Danilo
Dolci (1952-1956), FrancoAngeli ‒ ci guida nella scoperta del Dolci agitatore, quale emerge dai fascicoli del
ministero dell’Interno; Serena Marroncini si sofferma sul tema della mediazione
sociale, mentre Francesco Cappello, anch’egli collaboratore e amico
di Dolci, si interroga sulla possibilità ed i modi per introdurre la mauieutica reciproca nella scuola pubblica;
Giuseppe La Rocca presenta il Centro Studi ed Iniziative Europeo
(CESIE) ed il Centro Danilo Dolci per lo sviluppo creativo, due associazioni
che hanno raccolto in maniera diretta l’eredità di Dolci e ne portano avanti l’impegno
per la diffusione della maieutica reciproca.
Abbiamo
scelto di concludere il dossier riproponendo la Bozza di manifesto, un testo che Dolci ha
rielaborato a più riprese ed offerto alla discussione, e che rappresenta un po’
il manifesto (inevitabilmente dialogico) della ricerca dei suoi ultimi anni. Lo
abbiamo pubblicato nella medesima forma tipografica con la quale compare in
Comunicare, legge della vita: ad ogni pagina di testo corrisponde a fronte una
pagina vuota, in modo che il lettore possa scrivere i propri appunti e
confrontarsi con il testo. Sarebbe bello se i lettori volessero mandarci i loro
appunti: se giungessero in numero congruo potremmo pubblicarli nel prossimo
numero come nuovi contributi alla Bozza di Dolci.
Come si
vede, si tratta di un dossier corposo e, si spera, sufficientemente organico,
che approfondisce diversi aspetti della ricca personalità di Dolci e della sua
vasta eredità. In contemporanea con l’uscita di questo numero di Educazione
Democratica pubblichiamo inoltre il volume di Michele Ragone Le parole di Danilo Dolci. Anatomia lessicale-concettuale,
un dizionario concettuale utilissimo per un primo approccio alla figura di
Dolci, ma importante anche per un esame più approfondito, per lo scandaglio
attento dei testi. Il volume di Ragone dà avvio alla collana Biblioteca di
Educazione Democratica, che affiancherà la rivista completandone l’offerta
culturale. Come la rivista, i libri della collana saranno rilasciati con
licenza Creative Commons.
Tratto da: http://educazionedemocratica.org/?p=683
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