Domani ricorre il decennale della morte di Norberto Bobbio. Mi piace riproporre quanto ho scritto e pubblicato su CNTN dieci anni fa.
IN MEMORIA DI NORBERTO BOBBIO
La settimana scorsa è morto uno dei
maggiori filosofi della politica e del diritto del 900. Le sue opere, tradotte
in tutte le lingue, sono state un punto di riferimento obbligato per diverse
generazioni. Ma Bobbio non è stato soltanto un insigne maestro chiuso
nell’Accademia. Dopo aver attivamente partecipato alla Resistenza, tra le file
del Partito d’Azione, è stato una delle
coscienze critiche della Sinistra italiana ed uno dei pochi intellettuali a
segnalare, all’indomani del crollo del comunismo sovietico, la persistenza dei
problemi sociali che hanno generato quell’ideologia.
Il carattere problematico del suo
pensiero e del suo stile di vita è stato suggellato dalle ultime volontà
espresse alla vigilia della sua dipartita. Si tratta di un documento che, oltre a fare pensare, ha la forza di coinvolgere emotivamente tutti, credenti e non credenti.
L’ uomo che dichiara di avere
sentito la morte vicina a sé per tutta la vita è lo stesso che, poco tempo
prima, aveva scritto che “la vita e la morte sono indissolubilmente connessi,
la vita riceve un senso dalla morte e la
morte dalla vita”. Bobbio ha preso sempre sul serio sia la vita che la morte e
a quest’ultima chiederà soprattutto riposo e pace, ripetendo laicamente
l’antico adagio requiem aeternam dona eis domine e
ricordando l’ultimo verso della Passione secondo Giovanni di Bach “Ruht
wohl” (riposa in pace).
Mi ha colpito particolarmente il modo in cui ha chiesto funerali civili,
semplici, privati e non pubblici. Particolarmente significativo il modo
delicato in cui ha respinto ogni cerimonia religiosa: “Credo di non
essermi mai allontanato dalla religione
dei padri, ma dalla Chiesa sì. Me ne sono allontanato ormai da troppo tempo per
tornarvi di soppiatto all’ultima ora. Non mi considero né ateo né agnostico.
Come uomo di ragione e non di fede, so di essere immerso nel mistero che la
ragione non riesce a penetrare sino in fondo, e le varie religioni interpretano
in vari modi.”
Qualche anno fa, invitato a
precisare meglio il suo pensiero su questi temi, su MicroMega, n.2/2000,
pp.7-8, aveva scritto: “ Io non sono un
uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi però distinguo
la religione dalla religiosità. Religiosità significa per me (…) avere il senso
dei propri limiti, sapere che la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino (…)
rispetto alla grandiosità, all’immensità dell’universo” , riconoscendo subito
dopo di avere sempre avvertito il “senso
del mistero” che la ragione non è mai riuscita a penetrare e che le varie
religioni hanno interpretato in vari modi. Bobbio proseguiva definendo la sua
una “religiosità del dubbio”
scaturita dalla consapevolezza socratica di “sapere di non sapere” e dallo
sgomento pascaliano di sentirsi “un piccolo granello di sabbia in questo
universo”. Il fondo religioso della sua personalità stava proprio qui, ed il Nostro ne era
perfettamente consapevole:
“il fondo religioso della mia persona
continuo ad intenderlo come questo non sapere. Ed è un fondo religioso che mi
assilla, mi agita, mi tormenta (…).Ho continuato a riflettere sui grandi temi
dell’esistenza e nessuna delle risposte della religione mi ha convinto. Però
,(…),neppure io sono riuscito a dare delle risposte ”.
E , per un uomo che aveva
raggiunto i vertici della scienza, riconoscersi pubblicamente “umiliato” per non essere riuscito a dare
risposte convincenti alle domande ultime dell’esistenza, non è forse una delle
più alte dichiarazioni di fede?
Come non ricordare infine la
bellezza delle parole che stanno dietro alla decisione di essere sepolto nel
paese d’origine:
“
E’ bene mantenere le proprie radici. Guai agli sradicati. Le radici si hanno solo nel paese d’origine, nella
terra, non nel cemento delle città. (…) . A Rivalta giocavo coi bambini del
paese che non sapevano parlare italiano, erano vestiti con una camiciola e con
calzoncini tenuti con lo spago. Non ho mai sentito alcuna differenza tra noi, i
signori, e loro, i contadini (…). Ho
imparato che gli uomini sono eguali. Sono più eguali che diversi. Ho imparato
che non bisogna darsi troppe arie, e anche quando c’è la banda che suona per
te, sei anche tu uno per cui verrà l’ora in cui suonerà non la banda ma la campana”.
Palermo
12 gennaio 2004
Francesco Virga
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