22 febbraio 2015

D.F. WALLACE: Non esistono domande stupide




Il 21 febbraio 1962 nasceva David Foster Wallace. Pubblichiamo un reportage di Riccardo Staglianò uscito sul Venerdì di Repubblica, ripreso dal sito http://www.minimaetmoralia.it/ ringraziando l’autore e la testata. (Fonte immagine)

Viaggio tra gli appunti di David Foster Wallace




Austin (Texas). Una parte cospicua di quello che fu il disco fisso esistenziale di David Foster Wallace è stata salvata in un bunker di calcare e vetro. L’Harry Ransom Center dell’università del Texas a Austin sta diventando il Fort Knox della letteratura contemporanea. L’ultima acquisizione è quella dell’archivio, compresi 17 anni di email personali, di Ian McEwan (due milioni di dollari). Prima era stata la volta di Joyce, Salinger, Coetzee. Ma anche di molti manoscritti di Borges, la copia autografa di Pound della Terra desolata e un ciuffo dei capelli castani di Byron.
L’attrattiva più antica ed ecumenica è una delle 23 copie complete della Bibbia di Gutenberg, comprata nel ‘78 (per 2,4 milioni) come tributo postumo a quel Ransom eponimo del centro che fu bravissimo nel convincere i petrolieri che la filantropia culturale smacchiava benissimo certe reputazioni annerite. Oggi il conto da 200 milioni dell’archivio fotografico Magnum l’hanno pagato l’ex primatista mondiale della produzione di computer Michael Dell e i finanzieri Glenn Furham e John Phelan che, sfogliando l’album fotografico internettiano, si segnala per un gessato degno di Goodfellas con la variante di una camicia rosa che esonda dalla cintura, avvinghiato alla consorte Amy una spanna più alta con indosso un vestito optical e tanto botox.
Non è dato sapere se i loro patrimoni siano serviti a far arrivare in questa opulenta periferia dell’impero letterario anche i quarantaquattro scatoloni e otto faldoni (più 321 libri che gli appartenevano) pieni di appunti e ritagli dell’autore di Infinite Jest morto suicida nel 2008. Resta che il fondo DFW è, tra i tanti conservati qui, quello più magnetico («L’anno scorso circa 600 ricercatori da tutto il mondo sono venuti a consultarlo» dice la curatrice Megan Bernard che evade con un sorriso Teflon ogni volgare quesito pecuniario), secondo solo al ben più classico epistolario dell’editore Alfred Knopf. Nonché un microcosmo per entrare, anche da porte secondarie come l’insegnamento che amava ricambiato, nel sistema operativo del labirintico, massimalista, depresso e divertentissimo scrittore del New England.
Prima di poter consultare devi guardare un video di istruzioni. Ti mettono a disposizione fogli gialli e matite. Foto ok, ma senza flash. Certi testi antichi vanno appoggiati su un trespolo foderato di velluto rosso. Si raccomandano di non strusciare col gomito sopra gli incunaboli. Un bibliotecario ti insegna come scegliere i contenitori da un computer. A quel punto in 10-15 minuti qualcuno ti porta (massimo cinque alla volta) questi parallelepipedi di cartone grigio topo rinforzati agli angoli e li appoggia su un tavolinetto da cui attingere un faldone alla volta. L’errore più banale, in cui il cronista come un bimbo in pasticceria incorre, è di cliccare su troppi contenitori diversi facendo lievitare drammaticamente i tempi.
La cosa meno nota è la collezione di sillaby, i programmi dei corsi che Wallace ha insegnato in varie epoche e università. Lo scopo dell’Introduzione tenuto all’Illinois State University nella primavera del ‘92, è «sviluppare opinioni intelligenti su cosa è la letteratura, sul perché potrebbe essere roba importante da conoscere da parte di altri esseri umani». Quanto allo svolgimento «il corso deve essere più lo show degli studenti che quello del professore» quindi i voti dipenderanno largamente dalla quantità e dalla qualità della partecipazione. Per essere più chiari: «Con qualità intendo che roba tipo “non so, pensavo che la poesia fosse, cioè, ok” non vi porterà molto lontano. Invece qualsiasi cosa sincera, ogni prodotto di una reale attività neurologica va bene. NON ESISTONO DOMANDE STUPIDE SULLA LETTERATURA. E vi dico in anticipo che a volte mi sbaglierò, o non sarò abbastanza chiaro, o solo (…) denso in certi giorni e allora dovrete sentirvi liberi di fare domande, chiedere chiarimenti, anche litigare (educatamente) quando non siamo d’accordo. Il che succederà».
Le avesse pronunciate un altro, si potrebbero liquidare come le furbe dichiarazioni programmatiche di un prof ruffianamente in vena di democrazia. Ma, come testimonia un altro contenitore, questo era lo stesso uomo capace di ingaggiare il suo editor più fidato, Michael Pietsch, in tenzoni interminabili sull’opportunità di una virgola («Ma perché ha messo questa virgola!!!» scrive a lato di un passaggio di Underworld di Don DeLillo, con cui intratterrà una vasta corrispondenza contenuta in un altro box). «Caro Michael, grazie per le correzioni. Sono sconcertato che tu abbia trovato così tanti refusi dopo che questa cosa è passata dal filtro mio, di Rolling Stone e mio di nuovo. Temo che a 38 anni non potrò più definirmi neppure un quasi-grande correttore di bozze». Giura di aver accolto il 96 per cento delle correzioni. Però puntualizza: «È una sciocchezza ma l’American Heritage Dictionary elenca to welch (rimangiarsi) come una variante accettabile di to welsh. L’ho corretto in deferenza a tutti gli insidiosi strafalcioni che hai beccato, ma il pedante che è in me non resiste dal farti notare che quindi non sarebbe veramente un errore».
È questo tipo di attitudine che lo fa avvertire gli studenti: «Sappiate in anticipo che sono un nazista quanto a scrittura attenta, refusi, punteggiatura e rispetto del lettore». O, in un altro corso, li invita caldamente a rileggere, con un dizionario, da soli o davanti a un compagno fidato, per «evitare tragiche perdite di punti». Ci sono pagine e pagine a interlinea singola piene soltanto del corrispettivo linguistico di fare le flessioni: dictionary building, il potenziamento del vocabolario. Si va da capezziera (la stoffa che protegge la parte della poltrona dove si appoggia la testa) a catamite (efebo), da epiclesi (il momento della messa in cui viene invocato lo Spirito santo) a orgone (l’energia cosmica primordiale, la libido degli umani). Un catalogo incrementale dell’esattezza, in nome della sua parossistica sensibilità linguistica (Sprachgefühl è il termine tedesco che mette in una lista del ‘97). Ecco, per dire che non era uno che predicava bene e razzolava male. Quello che pretendeva dagli allievi era solo una frazione di ciò che chiedeva a se stesso.
Però poi, come un genitore orgoglioso, conservava anche dei campionari di frasi divertenti concepite da loro. «Ho preso una multa per eccesso di velocità, disse precipitosamente». «Mi piacerebbe un altro Martini, disse seccamente». «Accendete la lavatrice, disse la mamma con riflesso automatico». Non lesinava consigli: «È un dato di fatto: gli studenti che vengono a ricevimento finiscono col fare un lavoro migliore. Ci sono 3 ore alla settimana, uno specialista altamente addestrato, altamente pagato, che si fissa l’ombelico e non fa altro che aspettare che qualcuno si presenti con domande o problemi. Farò del mio meglio per fissare un appuntamento anche fuori dagli orari ufficiali se non doveste farcela». Era il prof che avremmo tutti voluto. E in più era DFW.
Agli allievi di Analisi letteraria dell’autunno ‘94 chiede di spiegare quale, tra Black sunday o Il silenzio degli innocenti di Thomas Harris, sia il libro migliore. E poi di «convincere il lettore del perché avete ragione. Ma ricordatevi che è piuttosto dura dare una valutazione convincente di un romanzo senza fornire un’idea chiara di quale sia il tema centrale e perché risulta così interessante». Insomma, niente fuffa. Opinioni sì, ma sui fatti. E nessun snobismo da parte sua perché la letteratura è prima di tutto quella materia viva che la gente consuma e che magari diventa anche cinema di enorme successo. Basta guardare la sua copia tascabile sulle gesta di Hannibal Lecter, glossata in più colori, come una Torah pop.
La lista dei reperti inattesi potrebbe proseguire per giorni. Da una sua edizione dell’Idiota di Dostoevskij salta fuori un volantino intitolato Formula per la pace della mente. Si riferisce a un vecchio studio della Duke University, snocciolato in pillole. 1. Rifuggite il sospetto e il risentimento. Tenere rancore dimezza il livello di felicità. 2. Vivete nel presente e nel futuro. La maggior parte dell’infelicità deriva da un’indiscriminata preoccupazione circa errori e fallimenti del passato. E via così. Spunta un post-it entuasiasta sul titolo (effettivamente notevole) della poetessa Matthea Harvey: Commiserate la vasca da bagno, il suo abbraccio forzato con le forme umane. Da un’antologia di scritti sull’idealismo sbuca un appunto sull’importanza di abolire la revolving door, pratica per cui ex-dirigenti pubblici si riciclano nel privato per lucrare. C’è follia in questo metodo?
Uno degli ultimi pacchi che mi portano contiene una decina di diverse versioni del discorso alle matricole del Kenyon College del 2005. Quello sul pesce anziano che mette in crisi due pesci giovani chiedendo loro come sia l’acqua. Verso la fine, nel climax ormai celebre in cui spiega che ciò che sta cercando di dire «non ha niente a che fare con la moralità o la religione o i dogmi o i grossi bizzarri interrogativi sulla vita dopo la morte. La Verità con la v maiuscola ha a che fare con la vita prima della morte», il foglio diventa un campo di battaglia. Un pennarello rosso fa fuori i riferimenti a «Lao Tzu e Platone e Cristo e tutti i veri maestri», taglia, sposta, asciuga ancora. Elimina anche tutto un paragrafo su un koan zen piuttosto famoso sulle apparenti sventure che finiscono per nascondere inaspettate opportunità.
L’unica certezza wallaciana che emerge da questa messe texana di marginalia e paratesti è che solo fare bene il proprio lavoro, con tutto l’amore e la cura umanamente possibili, è la zattera cui aggrapparsi. Non ha salvato lui, come tragicamente noto, ma è un raro appiglio saldo tra le insensate e furenti onde della vita.

Riccardo Staglianò

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