14 maggio 2017

P. MELATI, La cognizione del dolore



Dal Diario facebook dell'amico Piero Melati, riprendo questa pagina:
Il venticinquennale. La cognizione del dolore
Piero Melati
 
Da un lato il simbolo è il pm Di Matteo. Il processo Trattativa, le minacce, il trasferimento, la mancata solidarietà. Lo dico con rispetto verso il dottor Di Matteo ma sto a disagio quando tutto questo porta qualcuno a sovrapporre, come è stato fatto, la foto di Falcone e Borsellino a quella di Di Maio e Di Battista.
Dall'altro lato il simbolo è la salma di Giovanni Falcone traslata nella chiesa delle personalità siciliane. Come se la storia fosse chiusa, le contraddizioni pacificate, l'unico rito possibile le messe cantate in luoghi deputati. Lo dico con rispetto verso Maria Falcone, ma sto scomodo a sterilizzare la memoria, fosse pure per farne un alto magistero.
Sono argomenti scabrosi da affrontare. Così, In mezzo a queste due posizioni, o si è scelto il silenzio oppure sono state piazzate alla buona innumerevoli seggiole, seggiolini, strapuntini, posti precari. Li conosco bene, io stesso in passato li ho frequentati. Una volta mi dicevo: antimafia, basta scandali; altre volte mi ci accomodavo per affermare: vi furono depistaggi. Oppure ancora: badate, non si processa senza prove. In questo modo si potevano occupare un po' tutte le posizioni. Con il risultato di lasciare poi il grosso della scena alla retorica e la prevalenza alle uniche opinioni risolidificate come vecchie ideologie da Guerra Fredda.
Non basta più. La Sicilia è cambiata a tal punto che non abbiamo parametri per interpretarla e agire oggi. Tanto il processo oscillatorio delle opinioni quanto gli irrigidimenti in posizioni pregiudiziali ci hanno fatto perdere l'orientamento. Non solo: non abbiamo più idea di cosa sia mafia o non lo sia e dove mai la mafia sia finita o se essa si sia sciolta e dissolta. O ancora, se viva in nuove metamorfosi. Niente risposte. Perpetuiamo esclusivamente una sclerosi cresciuta nei decenni, a ritmi di una coazione a ripetere che ha dell'impressionante.
Il mio intento è indicare il problema. Non è colpa mia se non ne conosco immediata soluzione. Quel che so è che non ci si può più fare trascinare alla bisogna dal vento del momento (soffiato spesso da raffinatissime menti) per partecipare all'inutile guerra civile di carta tra Guelfi e Ghibellini.
L'editore Laterza mi aveva offerto una opportunità: scrivere per brevi quadri una storia in cento date. Non l'elenco dei caduti, ma intrecci di fatti, simultaneità, cultura, film, libri, politica, vita quotidiana. Tutto in una griglia rigida, essenziale. Ne ho subito approfittato: l'opportunità cadeva nel momento in cui, dopo 35 anni, smettevo di fare il giornalista. Naturalmente è un contributo minimo. Anzi, minimale. Mi sono sforzato però di rovesciare luoghi comuni, scardinare schieramenti e opinioni diffuse, misurarmi con "personaggi scomodi" senza per forza dirne banalità. Ho cercato di scontentare tutti e non accontentare nessuno. Per questo ho particolarmente apprezzato il supporto e la fiducia ricevuti su Fb nei giorni scorsi, dei quali ringrazio sinceramente tutti a uno a uno. Ora sono in mare aperto dentro una storia epica, tragica, difficile. Ma è anche una grande parte della mia storia, una grande parte della storia di tutti i siciliani. Ed è anche una buona storia. Una storia italiana, a venticinque anni dalle stragi. Che va guardata senza più essere il bambino che ha paura di vedere l'uomo nero.
Piero Melati

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