Matteo Renzi è il nulla
10 dicembre 2013
di Rino Genovese
Non è che gli elettori del Pd siano un
po’ fessi, che un anno prima decretino la stravittoria di Bersani contro
Renzi e il successivo di Renzi contro Cuperlo, come se non ci capissero
niente e a loro andasse bene un’ipotesi politica quanto quella opposta.
È proprio il meccanismo delle primarie, con il suo risvolto fortemente
plebiscitario, a rendere possibili gli splendidi risultati schiaccianti.
Il popolo delle primarie è un popolo di suggestionati: si limita a
incoronare colui che in quel momento ha dalla sua l’onda della
visibilità e del successo agitata dai mass media. I quali, quindi, hanno
notevoli responsabilità. Per esempio, con i loro giri di valzer tra cui
brillano quelli di Repubblica: prima con Bersani, poi con
Napolitano (anche se questi lo ha bloccato nella triste vicenda
dell’aprile scorso, impedendogli di presentarsi con un governo
minoritario dinanzi alle camere), infine oggi con Renzi che,
oggettivamente, è un avversario sia di Napolitano sia di Letta, dato che
il suo interesse, del tutto comprensibile, è di non lasciar marcire
ulteriormente la situazione e andare al più presto alle elezioni. Tutto
quello che accade in Italia, ormai da decenni, dimostra che il quid
della politica odierna non è affatto la teologia, come alcuni teorici
suppongono, semmai l’estetica: è tutto un fatto di scelte compiute
all’interno di una comunicazione politica estetizzata, come lo è del
resto l’intera vita sociale (secondo lo schema, tipico dei sondaggi, mi
piace / non mi piace, sì/no).
Ma Matteo Renzi è il nulla.
Lo dico con cognizione di causa per averlo incontrato una volta, ormai
diversi anni fa, alla presentazione fiorentina di un libro di Filippo La
Porta (e su Internet c’è una foto che c’immortala in sua compagnia).
Filippo e io ci guardavamo smarriti, come a domandarci: «Chi sarà questo
ragazzo che parla per non dire niente, eppure lo fa con tanto ardore?»
Ignoravamo di trovarci al cospetto del presidente della provincia in
persona (l’ente inutile per eccellenza, secondo alcuni, ma utilissimo
come trampolino di lancio per diventare sindaco della città, e cioè
raggiungere un trampolino più avanzato); eravamo dinanzi al futuro
rottamatore e l’avevamo preso per un giovanotto raccomandato dai preti,
il quale, andandosene prima della fine – come sempre quelli che hanno da
fare –, non mancò di darmi un’amichevole pacca sulla spalla. Il vuoto
si posava su di me per benedirmi.
Ora questo vuoto è alla
testa dell’unico partito politico sopravvissuto in Italia, la sola
organizzazione che abbia un reale radicamento nel territorio nazionale,
che abbia alle spalle delle attività economiche (quelle denunciate da
alcuni come le coop rosse), che abbia una non trascurabile storia alle
spalle, sia pure sempre più confusa e sbiadita. Nell’agone con il suo
competitore, l’inesistente Cuperlo una cosa l’ha detta: «Renzi è in
continuità con il ventennio berlusconiano». In netta continuità: nel
modo che già a Veltroni, che pure ci aveva provato, non era riuscito per
via di una storia personale ancora troppo legata, nell’immagine, a
quella del vecchio Pci. E si può dire di più: mentre Berlusconi, che
certo non aveva dalla sua la gioventù, aveva tuttavia il fascino del
grande briccone, del gangster con le ghette dei film americani, Renzi
non ha nulla, neanche questo. Perfetto, allora, per essere l’antagonista
di Grillo, dato che non si sa chi dei due sia una nullità più
dell’altro. La loro totale incompetenza circa qualsiasi dossier è
conclamata. Ma forse è proprio da qui che traggono il loro consenso, da
una pura capacità di sbraitare. E insomma, se Veltroni – poveretto – si
era trovato a fare il berluschino quando Berlusconi risplendeva ancora
della sua aureola, ora che il grande briccone finalmente è in
difficoltà, per riprendersi i voti andati dal Pd a Grillo chi meglio di
Renzi? La sua missione è questa. E sono pronto a scommettere che è
l’unica che gli riuscirà.
Che cosa dovrebbe fare la
sinistra in tutto questo frangente, ammesso che ce ne sia una e sia
capace di battere un colpo? Anzitutto dovrebbe scindersi dalla nebulosa
neodemocristiana che si sta formando quasi come un berlusconismo senza
Berlusconi. I Renzi, gli Alfano, perfino i Letta, sono destinati a
convergere: chiamiamole “convergenze parallele” in onore alla sublime
tradizione politica italiana, ma sempre convergenze saranno. L’idea di
marcare stretto Renzi, stringendolo nella morsa di una burocrazia di
partito che è uscita stracciata dalla candidatura di Cuperlo (l’uomo
sbagliato nel momento sbagliato), è del tutto illusoria. Civati, ciò che
resta del gruppo di Bersani dopo la grande sconfitta, le forze vive del
Pd – se ancora ve ne sono – dovrebbero staccarsi dalla barca del
rottamatore e dare vita a una formazione di sinistra europea
coinvolgendo nel progetto anche Sel.
Una legge elettorale
proporzionale di tipo tedesco, con uno sbarramento al 4 o 5%,
favorirebbe un progetto del genere. Poi, in parlamento, si
stabilirebbero le alleanze anche con il nuovo centro di Renzi, ma
lasciando alla sinistra la sua autonomia organizzativa. Del resto, il
ritorno alla legge elettorale precedente – al cosiddetto mattarellum,
che è un sistema maggioritario con una quota di proporzionale –
potrebbe andare altrettanto bene (e sarebbe anzi la soluzione più facile
da realizzare), perché consentirebbe, nella necessità di dichiarare le
alleanze in precedenza, di fare patti chiari con il nuovo centro e con
Renzi, cui si affiderebbe la leadership in base al principio – che
chissà quanto a lungo ancora oscurerà qualsiasi politica – che il leader
è colui che più riesce ad attirare gli elettori apparendo sugli schermi
televisivi. Grillo è certo un neoqualunquista, ma proprio in quel “neo”
sta la sua forza: lui ha infatti mostrato che una parte consistente
della comunicazione politica del futuro si farà a partire da Internet,
non più dalle televisioni.
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