Ai giovani che mi hanno chiesto di fornire qualche notizia in più su Pippo Fava:
Il 5 gennaio del 1984 moriva a Catania,
assassinato in un agguato mafioso, Giuseppe Fava. Quasi sessantenne,
Fava era uno scrittore di fama nazionale oltre ad essere principalmente
un giornalista e autore di teatro. Da un anno aveva fondato, insieme ad
un gruppo di giovani giornalisti suoi soci nella cooperativa Radar, il
mensile I Siciliani. Nell’editoriale del primo numero aveva elencato i
temi di cui la rivista avrebbe cominciato ad occuparsi: la crescita
spaventosa della mafia, il sogno fallito dell’industria, la corruzione
politica, l’inquinamento delle coste e la campagna pacifista in risposta
allo stanziamento di missili nucleari nelle Basi Nato della regione. I
giornalisti, attraverso lo strumento dell’inchiesta, riuscivano così ad
approfondire temi e questioni che l’informazione siciliana fino a quel
momento non aveva preso in considerazione. Il tutto condito da una
cronaca di stampo letterario, il continuo racconto delle storie di vita,
un grande laboratorio di scrittura e nuovi linguaggi.
Così quel mensile di approfondimento
diventava il manifesto della libertà di stampa in Sicilia: un giornale
“senza padroni e né padrini” che si era rivelato un vero e proprio
terremoto nel mondo della stagnante informazione regionale siciliana,
oltre a diventare una spina nel fianco dei politici collusi e dei
mafiosi.
Nel primo numero era presente l’inchiesta
probabilmente più importante di tutta la storia de I Siciliani: “I
quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, un servizio dedicato ai
quattro maggiori imprenditori catanesi, Rendo, Graci, Costanzo e
Finocchiaro. Di loro aveva parlato il generale dalla Chiesa prima di
essere ucciso dalla mafia, rispondendo all’intervista di Giorgio Bocca:
“I quattro maggiori imprenditori catanesi oggi lavorano a Palermo –
aveva detto dalla Chiesa – lei crede che potrebbero farlo se dietro non
ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?”.
C’era una nuova mappa del potere mafioso,
e I Siciliani, che avevano seguito le cronache di quegli anni, lo
avevano capito e ne cominciavano a delineare i contorni. Non fu un caso
così scoprire che uno degli imputati dell’omicidio dalla Chiesa era
stato proprio Nitto Santapaola, boss in ascesa della mafia catanese,
fino all’anno precedente ritenuto un semplice imprenditore rampante,
amico delle istituzioni e del mondo degli affari, nonché protettore dei
cavalieri del lavoro.
Negli anni de I Siciliani, nella Sicilia scossa dall’“effetto dalla Chiesa”, si scopre così da quel giornale che la mafia a Catania è ben radicata, che il territorio etneo sta diventando di primissimo piano nello scacchiere della criminalità organizzata, rivelandosi centro nevralgico degli equilibri economici di Cosa nostra. Tutto ciò sebbene i catanesi non lo avessero ancora sospettato, tranquillizzati dalle istituzioni e dalla grigia informazione di palazzo che cercavano di minimizzare gli accadimenti in una città investita da una ondata di violenza senza precedenti che aveva fatto meritare il titolo di “città nera” d’Italia.
Negli anni de I Siciliani, nella Sicilia scossa dall’“effetto dalla Chiesa”, si scopre così da quel giornale che la mafia a Catania è ben radicata, che il territorio etneo sta diventando di primissimo piano nello scacchiere della criminalità organizzata, rivelandosi centro nevralgico degli equilibri economici di Cosa nostra. Tutto ciò sebbene i catanesi non lo avessero ancora sospettato, tranquillizzati dalle istituzioni e dalla grigia informazione di palazzo che cercavano di minimizzare gli accadimenti in una città investita da una ondata di violenza senza precedenti che aveva fatto meritare il titolo di “città nera” d’Italia.
Catania farà i conti con la mafia proprio
il 5 gennaio del 1984, davanti all’omicidio di un intellettuale, di un
uomo che era riuscito a parlare davvero alla gente e a proporre
strumenti razionali per la lotta alla mafia. Il segnale era chiaro,
l’ennesimo giornalista ucciso in Sicilia. Al ricatto mafioso I Siciliani
non cederanno, continuando nel proprio lavoro, denunciando con forza le
collusioni tra mafia, magistratura e imprenditoria. Essi riusciranno ad
essere, per qualche anno, i protagonisti del movimento antimafia
siciliano, coagulando intorno a loro la società civile, dopo aver
sensibilizzato una nazione intera. Continueranno ad essere così il punto
di riferimento, insieme al quotidiano L’ora di Palermo,
dell’informazione antimafia, seppur soffrendo parecchi problemi
finanziari dovuti al fatto di essere un giornale libero e senza padroni.
Questa sarà la causa che ne comporterà chiusure transitorie e purtroppo
quella definitiva nel 1996.
Questo lavoro vuole ripercorrere la
storia di quegli anni, cercando di ricostruire, attraverso gli
avvenimenti di mafia e di antimafia che la Sicilia ha attraversato dagli
anni Ottanta fino a metà anni Novanta, un senso di quella vicenda.
Attraverso lo specchio del giornale I Siciliani, e il suo stile a metà
tra cronaca e letteratura, si racconteranno alcuni profili dei siciliani
stessi, quelli potenti e impuniti, i corrotti e i collusi, quelli
semplici, gli onesti, i poveri e i disperati. Si approfondirà la figura
di Giuseppe Fava, padre della testata, maestro di un giovane gruppo di
giornalisti negli anni Ottanta. Conosceremo le storie di giudici che
hanno perso la loro vita per lottare contro la mafia, insieme a quelli
messi sotto inchiesta per collusione e associazione mafiosa. Parleremo
dei politici siciliani, quelli onesti e quelli amici di Cosa nostra e di
fatto “terzo livello” della stessa. Poi ancora racconteremo le storie
dei giornalisti con la schiena dritta, che con le loro inchieste hanno
sancito la loro condanna a morte da parte della mafia, e dei giornalisti
di palazzo, creatori di consenso e complici degli equilibri
dell’assurdo monopolio dell’informazione siciliana. E ancora le storie
dei cavalieri del lavoro, di avvocati, di poliziotti, e di semplici
cittadini. I siciliani insomma, nel bene e nel male.
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