03 settembre 2014

AL CINEMA IL LEOPARDI RIBELLE DI M. MARTONE



Addio al Leopardi, lamentoso e pessimista, che ci hanno insegnato al Liceo. Il film di Martone ci riconsegna un poeta (e un filosofo) attualissimo e vitale.


Paolo D’Agostini

Il ribelle

Dopo la felice fatica risorgimentale di Noi credevamo , Mario Martone ha scelto un’impresa ancora più difficile. Con Il giovane favoloso ( che splendido titolo) ha inteso raccontare la vita e il mondo interiore del nostro massimo poeta, Giacomo Leopardi, senza la pretesa di una pedissequa e didascalica biografia. Ma selezionando (molto creativamente), ha centrato l’obiettivo. Tanto che il film è stato accolto con dieci minuti di applausi alla proiezione serale per il pubblico. Due momenti: la prima giovinezza a Recanati e poi la fuga per Firenze e, via Roma, per Napoli dove concluderà a 39 anni la sua breve vita sofferente. Sofferente ma consumata dal fuoco della passione, del desiderio e dell’avidità di vita.

Il racconto si snoda intrecciando la personalità di Giacomo ad alcuni personaggi cardine. Il padre conte Monaldo (Popolizio sempre più bravo nel cogliere la diversità delle corde cinematografiche da quelle teatrali) che non è quel tiranno insensibile che la vulgata scolastica ci ha insegnato. Nutre per Giacomo, ricambiato, un amore protettivo e soffocante. Poi la relazione con Pietro Giordani (Valerio Binasco), intellettuale liberale, che si scomoda per andare a conoscere il giovanissimo prodigio. Provocando la diffidenza di Monaldo che vi riconosce un incoraggiamento a sviluppare quel seme di ribellione che sa quanto covi nell’animo malgrado la fragilità fisica del figlio, e che ad ogni costo intende contrastare.

Dunque, dopo una prima fuga frustrata, via con Ranieri (ottimo Michele Riondino) fino alla sua Napoli. L’intimità tra i due è commovente. Ranieri, di bell’aspetto e pieno di donne, tra le quali Fanny Targioni Tozzetti che procurerà a Giacomo (invaghito) una bruciante umiliazione, nutre per Giacomo una devozione illimitata. Calibrate le letture o le declamazioni di opere. L’infinito irrompe, concludendo il primo segmento, su uno scenario che evoca quello che può essere stato il processo di elaborazione del poeta a proposito dell’ Ermo Colle e del molto odiato ma anche amato Natìo Borgo Selvaggio . Non moltissimo altro. La sera del dì di festa.



Un riferimento al Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere . La materializzazione della figura ispiratrice di Silvia. Per finire strepitosamente con il testamento poetico della Ginestra sotto il fuoco implacabile dell’eruzione vesuviana e l’incalzare del colera.

Il Leopardi cesellato da Elio Germano (sfida titanica quella di evitare i trappoloni della caricatura del poeta storpio e sfigato) è un uomo che sa di essere dotato di qualità speciali, e non disdegna fame di affermazione. Ed è anche, e soprattutto a dispetto delle spietate limitazioni impostegli dalla natura — la banale spiegazione del suo disperato pessimismo, quello che la società letteraria, dapprima osannante poi sempre più isolandolo, gli rimprovera — un vulcano di vitalità anche nei feroci sarcasmi o nelle ghiottonerie o nell’innamoramento per Rossini.

Un fuoco che arde senza posa in cerca di aria libera (“ho bisogno di entusiasmo fuoco vita”), pronto a cogliere e ad auspicare ogni segnale di rottura (“il vero consiste nel dubbio”) di vecchi equilibri, tanto artistici che in senso lato politici e sociali. La tempra dei rari grandi solitari profeti, per nulla compiaciuta di infelicità e tetraggine, espressa senza retorica né magniloquenza. Un film “pesante”? Può darsi, ma come prezioso antidoto a una leggerezza drogata, pigra e irresponsabile. E comunque fonte di grandi e forti emozioni.

La repubblica – 2 settembre 2014

2 commenti:

  1. Ho maturato da tempo l'idea di un Leopardi non pessimista. Il proverbiale "pessimismo" di Leopardi non è che aderenza alla realtà. È il grande realismo della vita, della quale il Poeta colse, prematuramente, l’aspetto tragico, e cioè quelle verità che rimangono velate o estranee a chi gode, nella "stagion lieta", della spensieratezza e dell’ "immortalità", proprie dell’età dell’innocenza.
    (Guglielmo Peralta)

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  2. Concordo pienamente con te, caro Guglielmo!

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