03 settembre 2014

NUOVA BUSAMBRA DENUNCIA LO STATO D'ABBANDONO DEI NOSTRI PAESI




     Domenica 7 settembre, alle ore 18, nella Biblioteca Comunale di Villafrati (PA) si presenta l'ultimo numero di Nuova Busambra.

      Interverrano i redattori Salvina Chetta e Francesco Virga. Seguirà pubblico dibattito.

      Pubblichiamo di seguito l'articolo di Salvina Chetta, compreso nella rivista, che mette a fuoco problemi che non riguardano soltanto Villafrati ma tutti i paesi del nostro territorio.



Compianto per un paese 
di  Salvina Chetta




  Paese, periferia di abitazioni incompiute, grigie, infinite, piani su piani costruti dai padri per i figli e i figli dei figli che sono partiti, emigrati. Ma i padri speranzosi continueranno a costruire. Ancora e ancora, giù giù, un chilometro più vicino alla grande città. Palazzoni senza intonaco, senza infissi ai piani alti, groviere per piccioni e panni stesi ad asciugare, case che attendono i figli lontani che forse non torneranno più. Via Pio La Torre, otto case su otto sono incompiute, Via Pietro Nenni, otto palazzi su otto sono incompiuti, Via Sandro Pertini, nove case su undici sono incompiute, Via Giovanni Verga, dieci case su diciassette sono incompiute, Via Matteotti, sette case su quindici sono incompiute. O Vicolo ultime case, dietro di te ancora altre case, palazzoni grigi tetri.

  Paese sventrato, centrifugato. Sei stato violentato, travolto da una valanga di rimesse, il denaro svizzero dei tuoi emigrati. Ritornati, ti volevano nuovo, alla moda cittadina, con i palazzi dalle forme e dai colori sgargianti. Anglosassoni le insegne dei pub e delle pizzerie: Storik Garden Little Room. Luoghi nei quali, tuttavia, si può mangiare il cuddiruni. Alla moda pure la tua scuola, un cubo di vetro di fronte al tabacchi, da cui i tuoi scolari possono mirare ogni mattino l'andirivieni del pensionato o disoccupato che tenta col gioco la fortuna. Le tue botteghe hanno per clienti anziane signore, per i motorizzati nella zona industriale c'è il Villaggio globale, un centro commerciale dove si leva bianchissima la statua di Padre Pio che accoglie a braccia aperte i consumatori. Bisognerebbe riflettere un po' di più sul sesto comandamento: Non commettere atti impuri. Non mescolare le cose. Che serenità mi mettono nello spirito le rovine del tuo baglio, un'incrostazione d'azolo, Vicolo calcare... No, no, non rimpiango il tuo passato, paese, non rimpiango il fango delle tue strade, che neppure ho conosciuto. Ma forse non è pure questa abbondanza, questa confusione di stili e di cose miseria?

  Chiuse le persiane del centro storico. Vuote le case di corso Sammarco, su cui svetta, come lume del paese dei morti, la croce al neon della Chiesa Madre. La tua piazza, fagocitata dalla veranda di una pizzeria, è deserta. I vecchi si incontrano alla rotonda de La strada larga, dove i giovani fanno cricca a mezzo busto dai finestrini delle auto parcheggiate.

  Gerani di plastica pendono dai balconi di via Cialdini, terrazzi infioriti pure il giorno della festa sacramentata, l'Infiorata. Genocidio di germogli e di ginestre. Feste consacrate al denaro, dissacrate dagli sponsor attorno al Crocifisso, crociferi dello squallore. Tornano per la festa i migranti, vecchi e nuovi, a gridare sotto il palco assieme al cantante: viva il Santissimo dei Santissimi, viva! E se ne andranno dinuovo. Viva! Domattina tutto tornerà come prima, oggi è domenica, domani si muore. Viva! Si spengono le luminarie. Paese che fosti di gesso e di pane, solo le notti ti sono bianche, ma di un bianco che acceca, che abbaglia, specchio per allodole affamate, avide di menzogne. Triste quest'anno pure il tuo carnevale col carro  preso in prestito da un paese di mare.

  Hai dimenticato, paese, le tue calcare, la lentezza dei tuoi somari, scecchi issalori. U paisi ri scecchi issalori, si diceva, ma ai tuoi abitanti suonava come un'ingiuria. Anche se precario meglio il ceto impiegatizio. Che infamente quel giornalista! E' passata anche questa.

  Il teatro da qualche anno è chiuso, è tetro, se lo mangiano i topi. E' fuggita la gioventù, è morta, è sfiorita. Imbarcano senza canzoni con i nuovi corredi di camicie e mutande i miei paesani. Non tornano più, le loro radici erano pesanti, infradicite, le hanno recise, ora si portano dietro un moncone come una ferita sempre di rosso vivo. 
Salvina Chetta

 PS : A riprova del fatto che la denuncia di sopra è estendibile a tutti i Comuni della zona, si rimanda al pezzo di Ezio Spataro pubblicato su questo stesso blog due mesi fa - http://cesim-marineo.blogspot.it/2014/06/la-poesia-di-sdegno-di-ezio-spataro.html  - e che di seguito riproduco (f.v.)

LA PROSPETTIVA  "NESCI"



Ci sono famiglie che dopo 30 anni

non hanno ancora finito l'affacciata

nelle case del Gorgaccio

nelle alte periferie del Calvario

case senza volto

con spuntoni di ferro

che sporgono dai pilastri

tumori edilizi

di una terra malata

resistente ad ogni sanatoria



Con grandi portoni di ferro

sigillarono le loro dimore

con finestre di alluminio

chiusero gli occhi verso il mondo

mentre preparavano altarini al Santissimo

nelle mura della nefandezza

nelle periferie moderne

dove le case senza prospetto

nascondono vite senza prospettiva



Avevano cominciato con le pietre d'asparo

quando le donne facevano l'astratto

davanti le porte di quegli obbrobbri

false coltivatrici dirette

che mandavano i figli al collocamento

o nelle latrine del sindacato

pastori che conducevano armenti

al foraggio delle mangiatoie politiche

pregando nei templi sacri del do ut des

gente che non usava la piazza

per fare rivoluzioni

gente che passeggiava nella piazza

tra un turno di 50 giorni al bosco

e un turno di cazzeggio

piazza che non tiene a mente nulla

piazza poco Tien a Men

dove i carri armati

sono carrozzoni amici



Capitani coraggiosi

ne gesuiti, ne euclidei

giovani affamati di futuro

scelsero la prospettiva Nesci

partendo per mondi lontanissimi

distanti da quei carri armati

coi cannoni puntati.



Coi carrozzoni avevano giocato da bambini

nelle discese del paese

ma il gioco era finito da un pezzo

l'Ungheria era ormai presa

i carri stavano arrivando

era tempo di fuggire 

dal bersaglio dei cannoni
Milano 11 giugno 2014              EZIO SPATARO 


 

 


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