L’Occidente disarmato
1 settembre 2014
di Rino Genovese
[Questo intervento è uscito sul sito della rivista «Il Ponte»]
Scriveva Voltaire nel suo Dizionario filosofico:
“Il fanatismo sta alla superstizione come il delirio sta alla febbre e
il furore alla collera”. E poco più avanti: “Che rispondere a un uomo
che vi dice che preferisce obbedire a Dio anziché agli uomini e che
quindi è sicuro di meritare il cielo sgozzandovi?” È l’impasse in cui può essere preso lo spirito di tolleranza: che cosa dire al fanatico? come impostare i rapporti con lui?
Voltaire
aveva davanti agli occhi gli orrori delle guerre di religione che
avevano devastato l’Europa, ma noi, figli del Novecento, abbiamo a
nostra volta esperienza di un orrore diffuso nella forma dei
totalitarismi. Che cosa erano per lo più gli sgherri hitleriani e
staliniani se non dei fanatici, sia pure non nel senso della religione
ma in quello dell’ideologia? E alcune delle efferatezze degli “anni di
piombo” italiani non possono, allo stesso titolo, essere messe sul conto
del fanatismo? Cominciamo col dire, dunque, che il fanatismo è ben noto
alla cultura occidentale, non riguarda unicamente le culture “altre”.
E
con il fanatismo si è sempre trattatto, si è costretti a trattare se non
si vuole diventare a propria volta immediatamente fanatici. Quella
della guerra è soltanto l’ultima delle opzioni. Fin quando hanno potuto
le democrazie occidentali hanno trattato con Hitler, era una carta che
andava giocata, anche se non funzionò. Con Stalin – che aveva comunque
una visione meno aggressiva nei confronti dell’esterno rispetto a quella
di un Hitler – l’Occidente è stato alleato e, successivamente, sia pure
tra molti sussulti, ha impostato una politica che è sfociata nella
coesistenza pacifica. Insomma non è vero che con il “male radicale” (per
usare un’espressione di Kant) non si tratta; il punto è piuttosto come
trattare e fin dove spingersi nelle trattative.
Domenico
Quirico – giornalista della “Stampa” sequestrato e tenuto prigioniero
per lunghi mesi in Siria dalle bande ribelli – è stato liberato dietro
il pagamento di un riscatto da parte del governo italiano. La cosa
interessante, però, non è questa (si sa che i paesi europei, a
differenza degli Stati Uniti, in diverse occasioni hanno offerto dei
soldi per liberare i propri ostaggi); è piuttosto ciò che ha scritto
Quirico una volta rientrato in Italia. Nel suo racconto di grande deluso
della “rivoluzione” siriana, l’ex ostaggio dice di essere stato ceduto
da un gruppo a un altro e poi a un altro ancora, e di essere stato
trattato in modo disumano – con una sola eccezione, quella del gruppo di
Al-Nusra, emanazione in Siria della famigerata Al-Qaida,
l’organizzazione già diretta da Bin Laden e oggi dal suo vice
Al-Zawairi. Ma come? viene da domandarsi: il gruppo più “fanatico” tra
quelli di cui è stato prigioniero il nostro giornalista, è quello che
con lui si è comportato meglio?
Il
paradosso non è tale se scaviamo un po’ più a fondo (come Voltaire ai
suoi tempi non avrebbe potuto fare) con gli strumenti della psicologia
sociale. Ciò che a ragione – da un punto di vista illuministico –
chiamiamo fanatismo, da un altro punto di vista andrebbe detto risentimento estremo.
Che cosa sono i combattenti del jihadismo internazionale, specialmente
quei giovani provenienti dall’Europa, quasi sempre figli
dell’immigrazione, se non dei risentiti estremi? Spesso è dalle
condizioni delle periferie metropolitane che nasce quel rancore che,
modulato in un’effervescenza politico-religiosa, si fa jihadismo. E se
andassimo a osservare quelli che, con le migliori intenzioni, si sono
messi in movimento, or sono tre anni, contro Assad, non sarebbe
difficile trovare un analogo risentimento contro l’Occidente che non
avrebbe fatto abbastanza per sostenerli, o contro la Russia di Putin
stretta alleata del regime siriano.
Ma
si dirà: sono criminali! Il giudizio non fa una piega, e tuttavia
sarebbe semplicistico se evitasse di porsi il problema di come ci si
trasforma in criminali, o di come – di banda in banda – ci si passi un
ostaggio. Il denaro di un riscatto può essere usato in vari modi: per
andarsene in vacanza ai tropici, per cercare un sostentamento in una
zona devastata dalla guerra, o per finanziare il gruppo dei ribelli. Ad
ogni modo, il fanatismo politico-religioso può funzionare finanche da
deterrente nei confronti di una disumanità indotta psicologicamente dal
risentimento. La storia resta un affare maledettamente complicato.
E
l’Occidente – nonostante gli armamenti ultrasofisticati, nonostante i
suoi droni – è oggi disarmato nei confronti del caos di questa storia
che stiamo vivendo. Perché il fanatismo si batte con la pazienza della
tolleranza, certamente, talvolta perfino con la guerra cui si è
costretti – ma poi ci si accorge che manca qualcosa, come
avrebbe detto Ernst Bloch. Questo qualcosa è lo spirito dell’utopia. Da
troppo tempo la cultura occidentale non riesce più a influenzare le
altre culture perché sembra avere smarrito quel tarlo che la rodeva
dall’interno e al tempo stesso la vivificava. Il tarlo di un mondo più
giusto, di una democrazia non solamente politica ma sociale: quello
spirito, insomma, capace di competere da pari a pari con le religioni,
di tentare una risposta alle loro derive, superando il risentimento in
direzione di un progetto costruttivo.
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