27 ottobre 2014

LA PROBLEMATICA OMOSESSUALE NELLA SOCIETA' D'OGGI


 Fabian Ludueña Romandini è filosofo, ricercatore al CONICET e professore alla Universidad de Buenos Aires. Tra i suoi libri La comunidad de los espectros I (Buenos Aires 2010) e H.P. Lovecraft. La disgiunzione nell'essere, di prossima pubblicazione in Italia presso Quodlibet.  L' articolo seguente è stato pubblicato oggi su http://www.leparoleelecose.it

 Papa Francesco e l’avanguardia omosessuale


di Fabián Ludueña Romandini

All’attenzione di un “joyful man
I.
Scrivere sulla Chiesa dal punto di vista di una filosofia pratica che resti estranea alla sua fede significa riconoscere che la predicazione apostolica ecclesiastica non riguarda solo la vita dei cattolici perché, come istituzione politica, essa presenta la vocazione di operare su scala planetaria nello spazio pubblico dell’ordine geopolitico, anche se come attore molto particolare. Riconoscere quest’azione della Chiesa non significa accettare la sua dogmatica teologica, ma al contrario analizzare la sua pastorale come una forma di intervento sociale e culturale che deve essere sottomessa a giudizio anche da parte di chi rivendica posizioni proprie del repubblicanesimo laico. A volte, in origine, la Chiesa cristiana aveva saputo mantenere una miscela di pratiche democratiche associate con la struttura delle figure proprie dell’impero. Oggi, i concili e i sinodi conservano, in modo archeologico, alcuni resti di questo passato. Si assiste in questi giorni al Sinodo della Famiglia a Roma. Come è noto i sinodi non cambiano i dogmi: hanno una funzione esclusivamente consultativa per il sommo pontefice. Essi però riflettono, per la loro stessa natura, uno stato del dibattito nel seno della Chiesa cattolica.
Nel passato dell’Occidente l’istituzione ecclesiastica ha rappresentato, assieme a una parte concomitante di barbarie, un motore di civilizzazione incomparabile che ha modellato il mondo per almeno più di un millennio. Dal periodo delle rivoluzioni moderne, però, la Chiesa ha ridotto poco a poco il suo carattere di creatrice di ecosistemi culturali e si è trasformata in uno strumento di mera conservazione di dogmi che erano stati disegnati per congiunture passate, che non avevano nulla a che vedere con i nuovi tempi della scienza e della politica che i moderni hanno condotto nell’arena pubblica. In questo modo essa si è convertita in uno strumento della retroguardia culturale, che rincorre le incomparabili trasformazioni del capitalismo trionfante (che, paradossalmente, essa stessa ha contribuito a creare).
Lontana da ogni audacia culturale, la Chiesa ha dissociato le problematiche del corpo e della famiglia proprie di una società del basso medioevo per trasportarle in una cultura ipermoderna la cui metafisica politica risponde alle domande di una scienza positiva per la quale i corpi e i desideri rivestono un significato completamente nuovo. Da questo punto di vista, l’anacronismo politico della Chiesa contemporanea nel suo volto di ortodossia istituzionale è la base del suo conservatorismo intrinseco, costruito sulla base di uno spirito antimoderno esplicito. Gli Stati, dunque, che hanno costruito le loro politiche sociali e di diritto della famiglia con relativa indipendenza rispetto alle esigenze ecclesiastiche, hanno semplicemente cercato di rispondere alle esigenze che erano alla base della loro creazione. L’uguaglianza di diritti per le donne, il divorzio, l’unione di fatto, il matrimonio omosessuale sono alcune delle ultime conseguenze ineluttabili dell’etica moderna laica.
Da questo punto di vista, l’attuale Sinodo della Famiglia non riveste alcuna importanza come motore della mutazione sociale. Come succede da secoli, la Chiesa si limita, nel migliore dei casi, a ratificare simbolicamente i cambiamenti di una cultura la cui accelerazione non essa può né provocare né comprendere. Ciononostante, alcuni gesti di apertura del Sinodo, del resto piuttosto tiepidi, risultano interessanti rispetto allo stato della cultura globale con cui si confrontano i fedeli della chiesa cattolica. Si può vedere con chiarezza che la Chiesa non genera nessun cambiamento sociale ma si adatta, e ancora in modo molto insufficiente, alle trasformazioni che si sono prodotte fuori dal suo seno, nel mondo. Di tutti i temi in questione nel Sinodo (che per definizione, come ricordavamo, non avrà alcun impatto sull’evoluzione dei dogmi) ci soffermeremo un momento sulla questione delle diversità sessuali in generale e degli omosessuali in particolare per la concezione della chiesa.
Il corso della storia ha mirato, dalla prima decade del XXI secolo, verso il riconoscimento del matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Il nuovo corso sembra ineluttabile e, sebbene abbia bisogno di molto più tempo, la sua estensione su scala dei principali paesi laici dell’Occidente risulta inevitabile. Ovviamente le lotte per i diritti di individui e coppie LGBTIQ su scala mondiale dovrà continuare perché la persecuzione quotidiana, fino all’assassinio per la condizione sessuale sono minacce permanenti che possono trovarsi, sotto congiunture completamente differenti, in diversi paesi del globo. È necessario, pertanto, che non si arresti l’azione degli attivisti e delle organizzazioni che debbono far fronte a situazioni che vanno dai paesi con leggi criminali contro la diversità sessuale fino a condizioni di severe ingiurie quotidiane per i membri delle minoranze LGBTIQ nei paesi sviluppati.
Riconoscendo tutto questo, desideriamo però adottare in questo contesto il punto di vista del divenire macrostorico nella sua direzione moderna. Questo vettore mira, senza dubbio, all’ottenimento del riconoscimento universale dei diritti LGBTIQ, almeno in tutto il mondo occidentale e oltre (con varianti e sfumature che ovviamente non possiamo analizzare qui). La prima relatio post disceptationem che dà conto dei risultati della prima discussione del Sinodo della Famiglia rivela già le divisioni di una Chiesa nel cui seno abitano fazioni politiche desiderose semplicemente che la Chiesa riconosca simbolicamente alcuni cambiamenti presenti in un mondo culturale che non potrà rovesciare. Il realismo politico può essere anche un sintomo dell’impotenza verso i cambiamenti che non solo non sono sorti dal nucleo di un’istituzione ma che minacciano il suo stesso capitale simbolico. Ovviamente, l’ala conservatrice ha trasformato le prime dichiarazioni in una dimostrazione di ottimismo che più tardi, ancora una volta, è stata raffreddata considerabilmente. Questi sono i tempi ecclesiastici e le norme della politica vaticana. Ma le fratture che si sono prodotte e le dispute interne sono divenute visibili. È facile prevedere che, nel futuro, la crepa si allargherà inesorabilmente fino a che la Chiesa si vedrà forzata ad ammettere di diritto quello che già accade di fatto (o anche di diritto) in molti paesi laici, ovvero che la pastorale ecclesiastica non può regolare la famiglia moderna o la sessualità umana ma adattarsi semplicemente a quello che gli stati laici hanno provocato nel loro seno a partire dalle onde culturali dominanti.
Ma la Chiesa che durante secoli modellò le forme della sessualità e della famiglia non è l’unica e nemmeno la più colpita da questi mutamenti epocali. Più interessante della stessa Chiesa è il fatto che questi cambiamenti sociali stanno colpendo, sin da ora, i movimenti stessi che li hanno provocati. In politica, bisogna riconoscerlo, ogni attivista è molto più preparato per la lotta utopica che per il trionfo della sua causa. Ma da un po’ di tempo la constatazione è inevitabile: la causa LGBTIQ ha ottenuto dei sonori successi e si può prevedere che, al di là dell’importanza dei calcoli temporali, quello che prima si presentava come un’illusione non solo ha avuto seguito, ma, con ogni probabilità, si assicurerà un futuro nel nuovo ordine mondiale. Questo futuro dipenderà, come sempre, dalle vicissitudini della politica (fatta di progressi e di regressi), ma il vettore generale continuerà a essere favorevole, ci sembra, alle domande delle minoranze sessuali, a meno che disastri ecosistemici o catastrofi politiche (che non possono mai essere escluse) conducano il mondo verso una nuova età oscura.
Jean Genet in una lettera a Jean-Paul Sartre sosteneva che l’omosessualità era un rifiuto di prolungare il mondo. L’enunciato rifletteva certamente una forma di percezione politica che la stessa teoria queer, in un certo modo, ha fatto poi sua, con le sfumature accademiche del caso. L’omosessualità (come prima manifestazione di diversità sessuali ancora più complesse) è diventata una delle forme per eccellenza dei margini politici, il che equivale a dire, dell’avanguardia storica. L’outcast sessualmente diverso poteva immaginarsi, nella sua stessa esclusione, come portatore di un’azione contestataria rispetto alla società e, a fortiori, come incarnazione di una forma di vita potenzialmente eversiva e innovatrice. La nuova piega della storia propone, invece, una situazione scomoda per gli attivisti e i teorici (non tutti, bisogna dirlo, anche se la maggioranza) che sottoscrivono la visione della diversità sessuale come avanguardia culturale e politica. Il trionfo politico in corso su scala globale corre il rischio di sottrarre tutto il potenziale di innovazione dai margini o la radicalità a tutto il movimento della diversità sessuale.
Gli omosessuali – per citare solo un esempio— sono preparati per il successo culturale e politico del matrimonio egualitario e dei nuovi diritti della famiglia? Sarebbe ingenuo pensare che il problema riguarda solo coloro che desiderano sposarsi. Un errore grossolano. L’uguaglianza di fronte al matrimonio giuridico fa si che ipso facto tutta la comunità omosessuale (inclusi i suoi membri refrattari al matrimonio) si vedano trasformati nella loro situazione di fatto e di diritto. Qualunque proposta di diversità sessuale ora si iscrive in una risposta al dispositivo giuridico che, legalmente, rende indifferenti eterosessuali e omosessuali. Mutatis mutandis, qualsiasi atto di dissidenza rispetto al modello matrimoniale non assegna agli omosessuali nessun tratto essenzialmente diverso di quello che può avere un eterosessuale che si comporta in modo contrario e non conforme al canone matrimoniale dominante. L’amalgama di eguaglianza giuridica di eterosessuali e omosessuali davanti alla legge porta effetti congiunti inevitabili di eguaglianza politica tra i mores della società. Considerato da questo punto di vista, un atto di dissidenza sessuale non si differenzierà in sostanza per il suo carattere etero o omosessuale. Nuove partizioni, probabilmente, sorgeranno.
Nonostante questo, resta la questione essenziale del futuro: come potranno la militanza e la teoria queer sopravvivere al loro trionfo culturale e storico? Riusciranno ad assumere, con la caduta del velo dell’originalità politica che questi fatti presuppongono, il loro nuovo ruolo di difensori ed estensori di diritti già esistenti rinunciando a quello di essere innovatori culturali della radicalità? In altre parole, gli omosessuali sono pronti ad assumere il lato amaro dei trionfi culturali dopo aver gustato le attrattive romantiche del margine? Questo gesto implicherebbe una rassegnazione alla funzione di consolidare, ricreare e favorire il diritto o i costumi senza l’eredità, divenuta impossibile, di essere coloro che li mettono in dubbio come ribelli intrinseci.
Alcuni diranno che il prossimo passo sarà la messa in questione di molte figure del diritto in quanto tale, cominciando proprio dal matrimonio per se. Questa sarebbe una impresa lodevole, che senza ombra di dubbio, potrà trovare associati, in un medesimo gesto, eterosessuali e omosessuali, facendo di questa partizione sessuale primitiva un accidente interno a un progetto politico più ampio. L’opzione sessuale cesserà dunque di essere la cifra dell’avanguardia. Quest’ultima, sicuramente, si costruirà in altri margini, con altri attori, per il momento totalmente inaspettati o portatori di una novità probabilmente ancora irriconoscibile per chi, come noi, ha formato le proprie aspettative politiche nel ventesimo secolo (culturalmente già lontano). Per questo, le congiunture proprie di questo Sinodo della Famiglia della Chiesa di Roma non rappresentano, in nessun modo, una mutazione culturale maggiore o minore, ma solo (e niente meno che) un segno dell’inizio del depotenziamento, per la prossima lunga epoca culturale, di una delle avanguardie politiche più vitali del secolo passato.

(traduzione di Emanuele Coccia)

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