26 ottobre 2014

R. AMPUERO: L'ULTIMO TANGO DI SALVADOR ALLENDE




Ripropongo la recensione di un libro di Roberto Ampuero  pubblicata sull'ultimo INDICE DEI LIBRI DEL MESE:




L’ultimo Tango di Salvador Allende

 Roberto Ampuero è uno degli scrittori cileni più letti in Italia, eppure sfugge di solito all'attenzione dei critici e soprattutto dei celebratori della cultura latinoamericana. Non incarna il luogo comune dell'intellettuale del sud del mondo, non abita le regioni del realismo magico e non fa (più) parte della galassia della sinistra locale. Non ha mai evitato di confrontarsi con la storia del suo continente, anche quando mostrava la sua faccia più controversa, ma sempre con l'amareggiato disincanto del protagonista di tanti suoi libri, il detective Cayetano Brulé, e con lo scetticismo guadagnato nel corso della vita. È stato membro del partito comunista cileno, esiliato in Germania dell'Est e poi a Cuba, aderendo all'inizio con entusiasmo alla rivoluzione castrista. In seguito, tuttavia, ha preso le distanze dal regime dell'Avana e da tutto il movimento marxista latinoamericano, finendo per diventare ambasciatore e poi ministro della cultura del governo di centrodestra di Piñera. È significativo perciò che proprio Ampuero racconti gli ultimi giorni di vita di Salvador Allende, l'uomo assurto a rappresentare il canone del politico democratico di sinistra martire delle dittature militari e di estrema destra degli anni settanta. Quello di Pinochet dell'11 settembre 1973 è rimasto in fondo il golpe per eccellenza, sineddoche di una tragedia collettiva che avvolge due decenni, l'America Latina e la coscienza civile mondiale. Ampuero racconta questa tragedia frammentando la narrazione in due piani temporali e attingendo molto dalla sua autobiografia. Nel 2008 l'agente della CIA in pensione David Kurtz, già in servizio a Santiago negli anni a cavallo del golpe e in seguito in Germania dell'Est, torna in Cile per adempiere l'ultimo desiderio della figlia morta di cancro: ritrovare il fidanzato dell'università, un amore di cui il padre non sapeva nulla, e restituirgli un diario di difficile decifrazione, scritto a matita dall'enigmatico Héctor Aníbal. Trentacinque anni prima, tra il 1972 e il 1973, Rufino, umile panettiere di Santiago, si riavvicina sorprendentemente al presidente Allende, che aveva conosciuto quando entrambi, poco più che ragazzi, studiavano teoria politica nel negozio del calzolaio italiano Demarchi, attivista anarchico. Le memorie del panettiere cileno si alternano alla ricerca dell'ex agente americano, fino a confluire forse proprio nelle pagine di quel misterioso diario. La ricostruzione di un testo scritto è da sempre parente stretta del lavoro di una spia: in entrambi i casi ci si affida all'esegesi delle parole, chiedendo loro di rivelarci più di quel che l'autore voleva dire. Involontario critico letterario, Kurtz ripercorre dolorosamente le sue vicende private e familiari insieme alla storia del paese che – come ripete con amarezza – ha contribuito a mandare in rovina. Quel che ne emerge è tuttavia sorprendente, specie per il lettore italiano, se si pensa che a scriverlo è un cileno che aveva creduto nel socialismo e che è passato attraverso l'esperienza drammatica dell'esilio: pur senza revocare mai in alcun modo il giudizio di condanna nei confronti di Pinochet e degli orrori di cui si è macchiato, Ampuero riflette apertamente e senza pregiudizi sui gravi errori commessi dal governo di Allende, soprattutto nella programmazione economica e nel suo abbraccio mortale con la rivoluzione cubana e con l'influenza sovietica. L'umile panettiere riesce a vedere nella realtà quotidiana quello che sfugge ad Allende, ostaggio della sua autoreclusione nei palazzi del potere: le code della gente per il pane, le stesse che Rufino ha visto quando ha accompagnato il presidente a Mosca e all'Avana, non possono essere un caso, non possono dipendere soltanto da presunti complotti dei capitalisti, sono invece intrinseche alla costruzione di un modello di società che cancella l'individuo e ne reprime sogni e progetti. Disperato, il panettiere scongiura il vecchio di aprire gli occhi e smettere di piegare il paese reale alle linee astratte della dottrina politica. Ne viene fuori un ritratto di Allende non più come l'eroe senza macchia della leggenda popolare, ma con tutte le debolezze dell'uomo: onesto e sincero, ma anche debole, insicuro, incapace di leggere fino in fondo la tragedia e i bisogni del proprio popolo. Naturalmente è solo letteratura, non storiografia. Il diario di Héctor Aníbal non esiste, né vi sono altre prove documentali a sostegno di quanto Ampuero fa dire ai suoi personaggi.
È però il racconto di un intellettuale che quelle vicende le ha vissute in prima persona, dalla parte giusta della barricata, e che oggi può permettersi il lusso di parlarne senza complessi e falsi pudori, in un romanzo che una volta chiuso ci lascia con una punta di sgomento, e soprattutto con la voglia di riaprirlo.  

Silvio Mignano  

Da  L'Indice dei libri del mese – ottobre 2014



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