01 marzo 2015

W. BENJAMIN CONTRO IL DOMINIO DELLA TECNICA




Cinque testi di Walter Benjamin, scritti fra il 1929 e i 1933 e dedicati alla radio, un media allora emergente. Scritti che anticipano nodi problematici e temi che riguardano le attuali tecnologie della comunicazione e in particolare come poter evitare che i media (allora la radio oggi la TV) educhino alla passività.

Fabrizio Denunzio

L'attenzione è questione di stile
Il 6 dicem­bre del 1934 la «Frank­fur­ter Zei­tung”, perio­dico tede­sco di rino­mata fama, pub­blica un rac­conto dal titolo Al minuto. Il pro­ta­go­ni­sta, un esperto di biblio­lo­gia, rie­sce a otte­nere da un’emittente radio­fo­nica un breve pro­gramma di venti minuti per pre­sen­tare agli ascol­ta­tori gli aspetti salienti della sua mate­ria di stu­dio. Il diret­tore della sezione, nel momento in cui gli con­fe­ri­sce l’incarico, rac­co­manda al biblio­logo, che da lì a poco farà il suo debutto davanti ai micro­foni, di atte­nersi stret­ta­mente a due prin­cipi: uno stile ora­to­rio dal tono fami­liare e il rigido rispetto dei tempi. Il pro­gramma deve con­clu­dersi pre­ci­sa­mente «al minuto». Da qui il titolo del racconto.
Il biblio­logo, che dalla buona riu­scita della con­fe­renza si aspetta molto, tor­nato a casa si adde­stra: voca­lizza il testo pun­tando gli occhi sull’orologio. Arri­vato alla sta­zione radio­fo­nica, accolto con molto garbo dall’annunciatore, è fatto acco­mo­dare in cabina. Qui, una volta entrato, osserva con entu­sia­smo quello che per un po’ sarà il suo luogo di lavoro, e ne apprezza tutte le risorse che ten­dono a met­tere il con­fe­ren­ziere nella mas­sima como­dità: dal leg­gio alle pol­trone, dalle fonti d’illuminazione alla pos­si­bi­lità di pas­seg­giare tenendo con sé il micro­fono. E natu­ral­mente, l’orologio.
A causa di una svi­sta, il biblio­logo, guar­dan­dolo, con­fonde le lan­cette dei secondi con quelle dei minuti, così, dal cre­dere di aver finito, e di con­se­guenza, allon­ta­na­tosi dal micro­fono, indos­sato il cap­potto e pronto per andare via, passa improv­vi­sa­mente alla con­sa­pe­vo­lezza di non aver ter­mi­nato la con­fe­renza, resosi conto dello sba­glio si pre­ci­pita di nuovo in posta­zione e, con una serie di rocam­bo­le­sche acro­ba­zie vocali, colma i rima­nenti quat­tro minuti.

Nel pre­ciso istante in cui prende coscienza dell’errore, al biblio­logo capita di vivere una sin­go­lare espe­rienza: «In que­sta camera votata alla tec­nica e all’uomo che gra­zie a lei domina fui colto da un bri­vido nuovo, eppure affine al più antico che noi cono­sciamo. Pre­stai a me stesso un orec­chio cui ora, improv­vi­sa­mente, non risuo­nava incon­tro altro che il mio silen­zio. Un silen­zio che rico­nobbi come quello della morte, che in que­sto pre­ciso istante mi gher­miva con­tem­po­ra­nea­mente in mille orec­chie e in mille stanze».

Modelli per l’ascolto
L’autore di que­sto breve rac­conto è Detlef Holz, ossia, Wal­ter Ben­ja­min che, dall’esilio a cui era stato costretto nel marzo del 1933, in quanto ebreo e comu­ni­sta, ricor­reva a que­sto pseu­do­nimo per poter con­ti­nuare a scri­vere su rivi­ste tede­sche in una Ger­ma­nia ora­mai com­ple­ta­mente fasci­stiz­zata.
L’uscita di Radio Ben­ja­min (Castel­vec­chi, tra­du­zione di Nicola Zip­pel, pp. 114, euro 14) dà l’occasione per tor­nare a riflet­tere sull’esperienza radio­fo­nica del grande autore tede­sco.
Su que­sto momento della pro­du­zione ben­ja­mi­niana, il let­tore ita­liano aveva fino ad ora altri due libri: l’avanguardistico Tre drammi radio­fo­nici, uscito nel 1978 per Einaudi a cura di Umberto Gan­dini e mai più ristam­pato, e Burat­tini, stre­ghe e bri­ganti. Rac­conti radio­fo­nici per ragazzi (1929–1933), a cura di Giu­lio Schia­voni (Riz­zoli, pp. 387, euro 11).
I cin­que testi che com­pon­gono Radio Ben­ja­min risal­gono a un intenso periodo di lavoro, a quando, cioè, Ben­ja­min, dal 1929 al 1933, col­la­bo­rava tanto con la radio di Ber­lino quanto con quella di Fran­co­forte.
La logica che pre­siede la rac­colta è chiara: affian­care ai testi andati in onda e di cui era autore o co-autore – «Che cosa leg­ge­vano i tede­schi men­tre i loro autori clas­sici scri­ve­vano» tra­smesso il 16 feb­braio 1932, e «Un aumento di sti­pen­dio? Ma che vi viene in mente?» tra­smesso il 26 marzo 1931 – quelli in cui ne svi­luppa e chia­ri­sce le leggi di com­po­si­zione – Due tipi di popo­la­rità: prin­cipi fon­da­men­tali per un radio dramma, pub­bli­cato nel 1932 e Modelli di ascolto, scritto nel 1931 e qui tra­dotto per la prima volta in ita­liano. In breve, teo­ria e pra­tica. Mai come nel corso del suo lavoro radio­fo­nico, Ben­ja­min è par­ti­co­lar­mente attento alla gri­glia ana­li­tica marxista.
Nella sua essen­zia­lità, Radio Ben­ja­min rie­sce in ogni caso a ren­dere conto di almeno un aspetto spe­ci­fico del lavoro svolto dal filo­sofo tede­sco in uno degli appa­rati di comu­ni­ca­zione più signi­fi­ca­tivi della prima metà del Nove­cento, infatti, lì dove impie­gato, Ben­ja­min pro­du­ceva, non solo con­fe­renze per l’infanzia o sulla situa­zione let­te­ra­ria inter­na­zio­nale, ma anche e soprat­tutto Hör­mo­dell, ossia «modelli per l’ascolto» del tipo Cosa leg­ge­vano i tede­schi o Un aumento di sti­pen­dio?, in cui, avva­len­dosi delle risorse spe­ri­men­tali offerte dalla tec­no­lo­gia radio­fo­nica, l’autore diven­tava un vero regi­sta delle voci, le andava dram­ma­tiz­zando in una sorta di tea­trino acu­stico a fini edu­ca­tivi: «Il fine prin­ci­pale di que­sti modelli è di tipo didat­tico. L’argomento trat­tato rien­tra in quelli delle tipi­che situa­zioni della vita quo­ti­diana. Il metodo adot­tato con­si­ste nel con­fronto di esem­pio e contro-esempi».

Rove­scia­menti dialettici
Merito par­ti­co­lare di Radio Ben­ja­min, allora, è pro­prio la pub­bli­ca­zione di que­sto bre­vis­simo testo teo­rico, Modelli per l’ascolto, stra­na­mente escluso dalle Opere com­plete – la cui edi­zione si è con­clusa nel mag­gio del 2014 con l’uscita del volume VIII, Fram­menti e Para­li­po­mena (Einaudi, pp. 518, euro 90) – nelle quali si tro­ve­ranno sì quasi tutti gli ottanta testi radio­fo­nici redatti da Ben­ja­min nel corso della sua col­la­bo­ra­zione con le radio di Ber­lino e Fran­co­forte, come del resto si tro­verà l’insieme di saggi che avrebbe dovuto costi­tuire una ideale teo­ria della radio (Tea­tro e radio, Col­lo­quio con Ernst Schoen, La situa­zione in radio e Rifles­sioni sulla radio), ma nelle quali non si trova trac­cia di que­sto frammento.
Il quinto testo che com­pleta la rac­colta e con cui Radio Ben­ja­min si apre sono leRifles­sioni sulla radio. In realtà, è l’unico che salta fuori dalla logica del volu­metto che punta, per il resto, sul nesso teoria-pratica in fun­zione dei modelli d’ascolto. Pro­prio per­ché estra­neo a que­sta strin­gente scelta edi­to­riale, il sag­gio merita un’attenzione speciale.
Al pari di quella lunga nota della seconda ver­sione tede­sca dell’Opera d’arte nell’epoca della sua ripro­du­ci­bi­lità tec­nica del 1936, in cui Ben­ja­min fa della soli­da­rietà lo stru­mento per scio­gliere la com­pat­tezza delle masse piccolo-borghesi che, così coese, ten­dono a rea­gire in modo spon­ta­nea­mente rea­zio­na­rio alle crisi eco­no­mi­che, e a ribal­tarla in coscienza di classe rivo­lu­zio­na­ria, allo stesso modo, nelle Rifles­sioni sulla radio l’autore pro­getta un eguale rove­scia­mento dia­let­tico, que­sta volta di un altro sog­getto poli­tico, il pub­blico: «Solo nella nostra epoca, segnata dall’impressionante svi­luppo del con­su­mi­smo tra i frui­tori dell’operetta, dei romanzi e del turi­smo, si è venuta a creare la massa ottusa e informe, il pub­blico in senso tec­nico, privo di giu­di­zio auto­nomo e di un lin­guag­gio che sia in grado di espri­mere le pro­prie sen­sa­zioni.
Que­sto imbar­ba­ri­mento è arri­vato al suo punto mas­simo pro­prio nel modo in cui le masse ascol­tano i pro­grammi alla radio. Ora, però, sem­bra che la situa­zione stia per cam­biare. Sarebbe suf­fi­ciente che chi ascolta si con­cen­tri su quello che prova vera­mente, così da poterlo vivere in maniera auten­tica e con­sa­pe­vole».
Agenti di que­sta edu­ca­zione emo­tiva, este­tica e lin­gui­stica dell’ascoltatore diven­tano le stesse risorse tec­no­lo­gi­che messe a dispo­si­zione dalla radio: «Quello che molte volte rende intol­le­ra­bile l’ascolto anche delle tra­smis­sioni più inte­res­santi sono degli aspetti tec­nici e for­mali: la voce, la pro­nun­cia, il modo di espri­mersi. Si tratta esat­ta­mente di que­gli ele­menti che, anche se di rado, ten­gono l’ascoltatore incol­lato all’apparecchio per seguire argo­menti magari lon­tani dai suoi inte­ressi (…) La pre­pa­ra­zione tec­nica dell’ascoltatore potrebbe svi­lup­parsi solo gra­zie a que­sti aspetti tec­nici e for­mali e uscire così dall’imbarbarimento».
Appare evi­dente che, in sede di teo­ria dei media e di prassi lavo­ra­tiva negli appa­rati di comu­ni­ca­zione di massa, per Ben­ja­min non conta tanto la con­qui­sta ideo­lo­gica del pub­blico, sulla quale, solo per fare un esem­pio, pun­tava ancora un Adorno nell’intervista radio­fo­nica a Canetti nel marzo del 1962, quanto l’affinamento tec­no­lo­gico e cul­tu­rale della sua sen­si­bi­lità. Con que­sta impo­sta­zione del pro­blema, Ben­ja­min rin­nova con­ti­nua­mente l’approccio mar­xi­sta al mondo delle comu­ni­ca­zioni, dimo­strando che, se nella sua opera si dà una teo­ria dei media, que­sta è siste­mica (radio-cinema) e rivo­lu­zio­na­ria (inve­ste la con­di­zione esi­stente di attori sociali come l’ascoltatore e lo spet­ta­tore, per tra­sfor­marla radicalmente).

Una pre­ca­rietà permanente
Nel rac­conto Al minuto l’autore, attra­verso il per­so­nag­gio e le vicende del biblio­logo, ha tro­vato il modo per ela­bo­rare nar­ra­ti­va­mente la sua espe­rienza in radio e trarne, dall’esilio, anche un bilan­cio finale. Ogni sequenza nar­ra­tiva la richiama e rias­sume: il rap­porto col­la­bo­ra­tivo «pre­ca­rio» con l’apparato, la rego­la­men­ta­zione dei tempi di lavoro, il disci­pli­na­mento della forza-lavoro ad opera degli stru­menti di pro­du­zione, la fasci­na­zione per la spe­ri­men­ta­zione tec­no­lo­gica e, improv­visa, la fine di ogni cosa. Letta con Al minuto, la breve rac­colta Radio Ben­ja­min viene resti­tuita al signi­fi­cato effet­tivo che il lavoro radio­fo­nico ha avuto per Benjamin.
Si avvi­cina, però, il tempo in cui i risul­tati del dispo­si­tivo pratico-teorico ben­ja­mi­niano smet­te­ranno di rife­rirsi al suo autore o ai soli spe­cia­li­sti della sua opera, e ini­zie­ranno a dipen­dere da un altro refe­rente. Sarebbe suf­fi­ciente, ad esem­pio, imma­gi­nare cosa diven­te­rebbe que­sto Radio Ben­ja­min nelle mani di uno spea­ker di una web radio o in quelle di un pro­gram­ma­tore di palin­se­sti, in breve, veden­dolo in opera nei nuovi luo­ghi di lavoro in cui si pro­duce plu­sva­lore sim­bo­lico e scom­met­tere con deci­sione sulla sog­get­ti­vità che ne ver­rebbe fuori per­ché, come ci ricorda Ben­ja­min in aper­tura delle Rifles­sioni sulla radio, è un «grave errore (…) distin­guere per prin­ci­pio tra il con­dut­tore e il pub­blico» e poi­ché, come ram­menta nelle con­clu­sioni, l’unica cosa che conta è sem­pre avere il pub­blico dalla pro­pria parte.
Il Manifesto -11 febbraio 2015


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