Spetta a me aprire a nome dell’associazione che con un pizzico di
autoironia abbiamo voluto intitolare a Sancho Panza, fido scudiero dell’altra
ben piú nota creatura di Cervantes, Don Quijote.
Il pomeriggio di oggi si deve all’affettuosa insistenza e alla tenacia
suadente di Barbara Lottero, coniugate con i buoni uffici di Antonella Napoli e
la disponibilità disinteressata dell’Ente Mostra di Pittura “Città di Marsala” che
ci ospita in questo suo chiostro impareggiabile.
A loro deve andare il nostro grazie, di tutti noi riuniti per ricordare e far
rivivere un mortale tra i pochi contemporanei che non ci fanno vergognare del
nostro essere Menschen ‘umanità’:
Hay en mis venas gotas de sangre jacobina,
Pero mi verso brota de manantial sereno;
Y, más que un hombre al uso que sabe su doctrina,
Soy, en el buen sentido de la palabra, bueno.
Ci sono nelle mie vene gocce di sangue giacobino,
ma il mio verso sgorga da sorgente serena;
e, piú che un uomo alla moda che sa la sua dottrina,
Sono, nel buon senso della parola, buono.
Un mortale, come noi a cavallo di due secoli, con un ‘900 in comune, il
“secolo breve” di Eric (John Ernest) Hobsbawm, il secolo di una gran
rivoluzione meno nota dell’altra intesa come la rivoluzione per antonomasia,
quella d’Ottobre. Parlo della rivoluzione della Repubblica spagnola, instaurata
da un democratico processo elettivo, cioè della breve parentesi (14 aprile
1931-1 aprile 1939) costellata di esperienze civili di sorprendente avanguardia
nel panorama dell’Europa della prima metà degli anni ’30.
Manifestazioni di alta civiltà che di lì a poco sarebbero state soffocate nel
sangue dal colpo di stato di Francisco Franco, da quella guerra civile di 3
terribili anni (1936-39), che con la complicità ideologica e armata di italiani e
tedeschi fu la prova generale della 2ª guerra mondiale, vero e proprio scontro
tra civiltà e barbarie, la barbarie delle politiche di Anschluss ‘annessione’ e di
campi di concentramento, di lavoro e annientamento: Dachau, Mauthausen,
Buchenwald, Auschwitz-Birkenau, ecc.
Su questo sfondo del finire degli anni ’30, di grande tragedia già presente
e di vigilia di una lacerazione ancor piú grande, vorremmo leggere alcune
pagine di Machado.
Consapevoli di forzare forse un po’ la mano, ma per autodifesa – direi –
di fronte alla mistificazione militante della storia che caratterizza il nostro oggi,
di fronte agli agguerriti tentativi di seminare l’oblio, di cancellare la storia, di
appiattire la nostra vita, di spalmarla su un unico, eterno, banale presente.
La motivazione di questa lettura è forse qui, nel recupero dello spessore
della memoria.
Si radica in quello che per me, uno dei tanti siciliani della diaspora, e per
gli amici che sono venuti e vengono a trovarmi a Girona, è divenuto ormai un
itinerario di attraversamento obbligato della nostra storia di europei.
A pochi chilometri da Girona, infatti, si trova un crocevia come pochi
denso di significati. Ci si arriva percorrendo la statale che s’inoltra in mezzo ai
Pirenei verso il confine tra Spagna e Francia.
Prima tappa Port Bou, seconda Cotlliure. È – in pochi chilometri tutti
curve e tornanti – il varco dei destini incrociati.
A Port Bou, 26 settembre 1940, arriva dalla Francia uno degli intellettuali
piú vigili del ‘900, il berlinese Walter Benjamin (n. 15 luglio 1892). Fugge dal
nazismo, spera di arrivare a Lisbona e di partire per gli Stati Uniti dove
l’aspetta la salvezza e un incarico universitario procuratogli da sociologi della
Scuola di Francoforte già lí rifugiatisi. Il tentativo fallisce, però, e Benjamin
muore suicida o suicidato. Riposa, non si sa piú in che parte del cimitero
“marino” che guarda la baia di Port Bou e la stazione ferroviaria da cui non
riuscì a partire.
A Cotlliure, al di là del confine arriva, 28 gennaio 1939, e muore poco
dopo, 22 febbraio dello stesso anno, il sivigliano Antonio Machado (n. 26 luglio
1875), una delle voci piú autentiche del ‘900 poetico, non solo spagnolo. Anche
lui fugge dalla barbarie, dal fascismo dilagante di Franco appoggiato dai
Mussolini, dagli Hitler. Non riesce a sopravvivere, neanche lui, alle
sopraffazioni dei totalitarismi. Si spegne nella terra ancora per poco della
“liberté”, alla quale approdavano in tristi e lunghi cortei i profughi repubblicani
spagnoli. Riposa da allora in una tomba meta assidua di scolaresche
provenienti da tutta la Spagna e da altri paesi. Una tomba dove si legge la
strofa finale del suo “Retrato”:
Y cuando llegue el día del último viaje,
Y esté al partir la nave que nunca ha de tornar,
Me encontraréis a bordo ligero de equipaje,
Casi desnudo, como los hijos de la mar.
E quando verrà il giorno dell’ultimo viaggio,
e starà per partire la nave che mai tornerà,
mi troverete a bordo leggero di bagaglio,
quasi nudo, come i figli del mare.
Questa nostra lettura non è di professionisti della lettura, né è
accademica o accademicistica, perché non pretende di essere una lezione su
Machado.
Questa nostra lettura informale mette insieme due, anzi tre voci
madrelingua, della stessa lingua di Machado, e altre italiane: voci di
“caminantes”, di viandanti, che si sono fatti “camino al andar”, si sono fatti
strada tra Port Bou e Cotlliure.
Questa lettura non sarà vana se farà nascere in chi ancora non lo
conosce, il desiderio di vedere coi suoi propri occhi e di attraversare questo
crocicchio, concentrato di storia, dove - tra Spagna e Francia – palpitano ancor
piú forti che altrove il meglio e il peggio del nostro recente passato.
Nicolò Messina
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