Da qualche tempo è in
corso nel mondo accademico americano ed europeo (chè anche in questo
campo, dopo l'ubriacatura degli anni '70, l'Italia è fuorigioco) una
riabilitazione di Marx economista tutta giocata contro il Marx
politico. Un libro di Terry Eagleton svela i limiti e le
contraddizioni di un'operazione tutta ideologica.
Terry Eagleton è
un sofisticato e iroso intellettuale di
spicco della «nuova sinistra» inglese. Di origine
irlandese e docente di letteratura
comparata, è una firma che compare spesso sui
giornali al di là della Manica. Ogni suo articolo
scatena polemiche a non finire. L'ultima, in
termini di virulenza, lo ha visto incrociare la
penna con Martin Amis sull'«occidentalismo», cioè sulla
rivendicata, da parte dello scrittore inglese,
superiorità dei sistemi politici occidentali
— garanti dei diritti civili individuali — rispetto
a quelli dei paesi terzi. In quell'occasione Eagleton non
esitò ad accusare Amis, da sempre vicino al «New
Labour» di Tony Blair, di razzismo. Scoccarono
scintille e la polemica dilagò per mesi sulla stampa
inglese. Ma questa attitudine alla polemica è
complementare alla sua capacità di scrivere
saggi critici sulla storia della letteratura
inglese, sulla filosofia novecentesca e
sul marxismo. In Italia, sono stati tradotti
Figure del dissenso, Ideologia, Il senso della
vita e L'idea di cultura e un suo intervento critico
sul noto libro di Jacques Derrida Spettri di Marx.
Una scoperta
sospetta
Quasi a riprendere
il filo rosso di quel testo, Eagleton ha mandato in
libreria un pamphlet dal titolo Why Marx Was Right,
finalmente tradotto da Armando con il titolo Perché
Marx aveva ragione (pp. 239, euro 19). L'anno della
pubblicazione del volume è il 2011 e l'autore
interveniva nel pieno di di una riabilitazione
dell'opera dell'autore del Capitale che periodicamente
occupa il centro della scena nella discussione
pubblica. Sono infatti anni che riviste, giornali
quotidiani, intellettuali conservatori
non fanno che elogiare la critica al capitalismo
di Marx alla luce della crisi che dal 2007 ha messo in ginocchio
Stati Uniti e Europa.
L'opera marxiana
è così riabilitata, nonostante il
fallimento del socialismo reale, per la sua
capacità di prevedere le crisi, mentre Marx
è elevato al rango di uno studioso che tutti i
capitalisti dovrebbero leggere per
evitare di ripercorrere gli errori che hanno
portato all'attuale crisi. È contro questa
riabilitazione che Eagleton si scaglia,
per sottrarre Marx a una vulgata che neutralizza
la sua critica dell'economia politica.
Prendendo a
modello un famoso testo dedicato a Feuerbach, il libro
è costruito partendo da dieci «tesi» diffuse negli
ambienti conservatori per confutarle. Al
microscopio sono passati tutti i luoghi
comuni che circolano attorno a Marx: il determinismo
economico; l'egualitarismo nemico della «vera» natura
umana; una filosofia della storia che considera
come inevitabile il socialismo;
l'inevitabile fine del marxismo perché lo
sviluppo capitalistico ha dissolto come
neve al sole la classe operaia; la tendenza dei
partiti che si rifanno a Marx a edificare società
tiranniche; la nefasta utopia di una società
di liberi e eguali; la tendenza a ridurre la realtà
all'economia; il gretto materialismo che cancella
la spiritualità; la spiegazione del
divenire delle società a partire dalla lotta di
classe; l'apologia della violenza come levatrice della
storia; la statolatria dei marxisti;
l'indifferenza dei marxisti per i nuovi movimenti
sociali.
Eagleton ha
gioco facile per ribattere punto su punto. Per fare questo,
mette tra parentesi il marxismo consolidato,
evidenziando invece la problematicità
che caratterizza i testi del filosofo di Treviri.
E tuttavia la sua è un'arringa difensiva che non
fa che confermare proprio quel marxismo
consolidato dal quale invita a prendere
congedo. Sia ben chiaro, gli scritti di Marx sono
attraversati da un'attitudine antidogmatica
che lo ha portato a «correggere» alcune tesi
iniziali, nella prospettiva di dare fondamento
scientifico alla sua critica dell'economia
politica. Assegnare alla lotta di classe la
centralità che merita non ha, infatti, mai
significato per Marx che altri «fattori» non
svolgano un ruolo fondamentale nello
sviluppo individuale.
Quel che ha sempre
tenuto a sottolineare è che la divisione in
classe della società e la condanna a vivere nel «regno
della necessità» esercitano un evidente
condizionamento nella vita dei singoli.
Sta forse in questo lo svelamento della frase «è
l'essere sociale a determinare la sua coscienza».
Niente determinismo, dunque, ma
un'indicazione di ricerca sui molti sentieri aperti da
un'«opera aperta», a partire dal nodo inerente la
formazione delle soggettività
collettive e di come la produzione
culturale, nella sua autonomia, svolga un
ruolo nel vivere in società. E nel definire le gerarchie
sociali. Dunque nessun determinismo
economico. Tutto ciò per dire che il problema non
è tanto la difesa dell'opera marxiana, bensì la
definizione di un progetto di ricerca e di
elaborazione che, partendo proprio dai
nodi problematici, si ponga l'obiettivo di
colmare lacune, aporie, contraddizioni.
Un gioco
interpretativo
Le argomentazioni
di Eagleton in difesa di Marx perdono forza nella
sovrapposizione che egli compie tra la sua
opera e il marxismo reale, cioè quell'articolata
biblioteca di interpretazioni che per tutto
il Novecento ha riempito scaffali di saggi e
libri. Soltanto che il marxismo non è un ordine
del discorso unitario, ma è segnato da letture e
interpretazioni differenti, spesso
confliggenti l'una con l'altra. In altri termini,
Eagleton compie un cortocircuito tra la
storia politica del marxismo e l'opera di
Marx. Operazione legittima, sia chiaro, ma solo se
esplicitata fino in fondo, elemento che è invece
assente in questo pamphlet.
Il libro di Eagleton
si propone però di sottrarre Marx a una lettura
«pacificata», memore di quella undicesima
tesi su Feuerbach che invitava a cambiare il mondo
dopo averlo interpretato. Per lo studioso inglese,
infatti, Marx è soprattutto un militante. La sua
prassi teorica è stata sempre finalizzata a
«abolire lo stato di cose presenti». Resta però da
fornire una risposta alla domanda: perché il
pensiero dominante lo riabilita? Perché
lo ha ridotto a una specie di profeta o, tutt'al più,
a un brillante pensatore da usare più o meno come
si può usare un qualsiasi altro studioso della
società.
È questa
neutralizzazione della portata
«politica» l'oggetto polemico dello studioso
irlandese. Più che prendersela con i
conservatori, sotto traccia, gli spettri
da combattere sono le tesi di intellettuali
come Jacques Derrida laddove invitavano
a studiare Marx, lasciandone da parte la dimensione
«politica»; oppure l'opinion maker Jacques Attali,
che ha scritto una biografia del filosofo di
Treviri descritto come un promettente storico
dell'economia. Oppure a quella riduzione di Marx a classico
della filosofia, con i suoi testi allineati in un
ipotetico scaffale che segue quello di Hegel.
Insomma, un filosofo da consegnare alla storia
e nulla più. Il libro di Eagleton è un antidoto a
tutto ciò. È questo il suo più grande merito.
il manifesto | 09 Gennaio
2014
Terry Eagleton
Perchè Marx aveva ragione
Armando, 2013
euro 19
Marx aveva ed ha ragione.Il Capitalismo lasciato libero ripercorre la tesi empirista di Hobbs dell'homo omini lupus.
RispondiEliminaQuesto è quanto accade con la miseria sempre maggiore e grandi ricchezze per pochi.
Marx aveva ed ha ragione.Il Capitalismo lasciato libero ripercorre la tesi empirista di Hobbs dell'homo omini lupus.
RispondiEliminaQuesto è quanto accade con la miseria sempre maggiore e grandi ricchezze per pochi.