10 gennaio 2014

UN 'EUROPA DIVERSA E' POSSIBILE


Molte delle idee di Toni Negri non ci convincono (oggi come ieri). Resta il fatto che nell'Europa delle banche e non dei popoli manifestare il proprio dissenso sia sempre più difficile. 

Marco Bascetta

L'agorà dei cattivi maestri

L'Europa ha una memo­ria? Non quella della immane tra­ge­dia del 1914, non quella del mani­fe­sto di Ven­to­tene. Bensì quella, dav­vero sor­pren­dente, del Teo­rema Calo­gero che nel 1979 aveva indi­cato in Toni Negri, il Grande Vec­chio del ter­ro­ri­smo ita­liano. Teo­rema desti­nato a disgre­garsi com­ple­ta­mente non prima di avere messo in moto una gigan­te­sca mac­china per­se­cu­to­ria e aver riem­pito le car­ceri con molte e lun­ghe attese di giudizio.

Cosa è acca­duto? Toni Negri scrive insieme a San­dro Mez­za­dra un edi­to­riale sul sito di «euro­no­made» indi­cando l'Europa come unico ter­reno rea­li­stico per la lotta con­tro la dit­ta­tura neo­li­be­ri­sta che oggi la governa. In un pas­sag­gio non deci­sivo di quel testo si attri­buiva un «indub­bio signi­fi­cato» alla can­di­da­tura di Ale­xis Tsi­pras, lea­der di Syriza, a pre­si­dente della Com­mis­sione europea.

«Nuova demo­cra­zia», il prin­ci­pale par­tito della coa­li­zione che ese­gue ad Atene gli ordini della Kom­man­dan­tur euro­pea, ne traeva l'occasione per accu­sare Ale­xis Tsi­pras di avva­lersi dell'appoggio di un noto­rio ter­ro­ri­sta. Il comu­ni­cato, infar­cito di fan­do­nie, del par­tito con­ser­va­tore di Sama­ras è stato poi ripreso, enfa­tiz­zato e ampia­mente dif­fuso dai media filo­go­ver­na­tivi. L'episodio di per sé meri­te­rebbe di essere archi­viato nella casi­stica ster­mi­nata della cana­gliag­gine tipica della pub­bli­ci­stica di destra, se non per quel suo rove­scio che ci rivela para­dos­sal­mente l'internazionalizzarsi di un discorso cri­tico radi­cale sul futuro dell'Europa e le inquie­tu­dini che esso induce.

Per le élites che governano il vecchio continente così come per le carriere dei vari demagoghi nazionali, Tsipras rappresenta un terzo incomodo

Il quale rompe quel ras­si­cu­rante schema che vede con­trap­po­sti i sacer­doti dell'ortodossia neo­li­be­ri­sta e delle poli­ti­che di auste­rità da una parte e i can­tori del ritorno alle sovra­nità nazio­nali dall'altra.
Syriza, con tutti i suoi limiti, e con tutto il sag­gio scet­ti­ci­smo che si può nutrire sulla pos­si­bi­lità di una tra­sfor­ma­zione par­la­men­tare dell'Unione euro­pea (che per­vade da cima a fondo l'editoriale di Mez­za­dra e Negri), rap­pre­senta comun­que un punto di vista euro­pei­sta con­tro la gover­nance finan­zia­ria di Fran­co­forte e Bru­xel­les. Ragione per la quale Tspi­ras si è gua­da­gnato le sim­pa­tie di chi, come Bar­bara Spi­nelli, una memo­ria e una pro­spet­tiva euro­pee le pos­siede dav­vero. Ed entrambe muo­vono nella stessa dire­zione indi­cata dall'editoriale di euro­no­made e cioè la con­vin­zione che l'Europa unita sia irre­ver­si­bile (se non in forme asso­lu­ta­mente cata­stro­fi­che), ma che si debba infran­gere quell' «incanto neo­li­be­rale» che pre­clude per­fino il pen­siero di una alter­na­tiva alla gover­nance libe­ri­sta che sta sof­fo­cando i cit­ta­dini dell'Unione.

È del tutto evi­dente come la cam­pa­gna elet­to­rale del 2014 rap­pre­senti un pal­co­sce­nico ideale per riaf­fer­mare que­sto «incanto» o, al con­tra­rio, per esi­bire il cipi­glio nazio­na­li­sta dei popu­li­smi anti­eu­ro­pei di diverso colore. Una grande mac­china pro­pa­gan­di­stica ben più pre­oc­cu­pata di una pos­si­bile resi­stenza che, var­cando i con­fini nazio­nali, inve­sta alcuni punti car­dine dell'ortodossia libe­rale, che non dei fle­bili poteri di un par­la­mento o di un Pre­si­dente della Com­mis­sione con le mani legate da governi e poteri forti. Più della cre­scita di un pro­cesso cri­tico che accom­pa­gni il costi­tuirsi di una società poli­tica euro­pea che dell'affermazione di que­sto o quel gruppo par­la­men­tare o di una per nulla temi­bile pre­si­denza Schulz.

Ale­xis Tspi­ras e il con­senso che potrà rac­co­gliere non è certo que­sto pro­cesso, ma è il segno che si comin­cia a sen­tirne la neces­sità. Ce lo dice anche un cele­bre «cat­tivo maestro».


il manifesto - 9 Gennaio 2014 

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