03 marzo 2014

IL PAESE SBAGLIATO DI MARIO LODI





Ieri a 92 anni ci ha lasciato un grande maestro: Mario Lodi. Il suo nome resterà nella storia accanto a quello di Don Milani, Gianni Rodari e Danilo Dolci.
In occasione della ristampa di un libro che tutti gli educatori dovrebbero leggere, Mario scrisse quanto segue:

IL PAESE SBAGLIATO
Diario di una esperienza didattica innovatrice



IL PAESE SBAGLIATO

Il Paese Sbagliato è ritornato in libreria da pochi giorni, con una “Lettera aperta ai giovani maestri” di oggi.

Il libro racconta il diario di una esperienza didattica innovatrice, realizzata con i miei alunni nella scuola di Vho di Piadena (Cremona) dal 1964 al 1969. Un’ esperienza incentrata sulla libera creatività del bambino, documentata giorno per giorno dalle conversazioni dei ragazzi, dai loro testi, dalla loro vita reale.

Quando uscì “Il Paese sbagliato rappresentava per me la conclusione di un percorso iniziato negli primi anni del dopoguerra quando, dopo la caduta del fascismo e la fine del conflitto, il problema di fondo era la ricostruzione materiale e morale dell’Italia sui nuovi valori espressi dalla Liberazione. E proprio nel 1948, l’anno in cui veniva promulgata la Costituzione, io giovane maestro ancora fresco di studi ma inesperto sul piano didattico venni mandato alla sbaraglio in una scuola ancora verticistica e autoritaria, con nel cuore e nella mente i valori della libertà, della democrazia e della partecipazione che dovevano essere alla base della nuova società da costruire.
Era un moment o storico stimolante soprattutto per noi giovani docenti diplomati in una scuola dove esperienze dirette non si facevano. Nella mia stessa situazione psicologica erano tanti altri docenti convinti che i nuovi valori dovevano entrare nella scuola per rinnovarla.
La libertà di pensiero e di parola, la democrazia, la partecipazione alla cosa pubblica, non erano cose da imparare leggendole sui libri, ma momenti da vivere dentro la scuola. Ma come si potevano cambiare le cose?
Con questo obiettivo, verso gli anni 50, sorse spontaneamente un movimento di base formato da docenti di ogni ordine e grado (il primo e finora unico movimento pedagogico nella storia della scuola italiana), che ispirandosi alle tecniche elaborate dal pedagogista francese Celestine Freinet, introdusse nella scuola italiana l’idea del bambino protagonista che sviluppa le sue capacità, le mette a disposizione della classe-comunità, stampa un giornale su cui racconta la vita sua e dei compagni, continua il gioco prescolare della esplorazione occasionale nella ricerca organizzata, rappresenta il mondo che sta scoprendo: col disegno, il teatro, la musica, ecc.”

La prima edizione del libro fu pubblicata nel 1970 ed ebbe notevole risonanza anche al di fuori dell’ambito educativo. Vinse il Premio Viareggio.
Ricevetti circa diecimila lettere e risposi a tutte. La prima fu quella di un prete, don Sandro Lagomarsini che, come don Milani, ha trasformato la sua parrocchia in scuola, a Cassego di Scurtalò (SP). Mi scrissero genitori, maestri, studenti, soldati, poeti, scrittori, casalinghe, e tante altre persone che volevano sapere perchè nella loro scuola non avevano fatto quelle esperienze, che avevano trovato nel libro una speranza, una concreta proposta di cambiamento della scuola autoritaria. Persone alle quali la lettura di questo libro aveva portato riflessioni profonde e stimoli nuovi.

Il suo successo fu dovuto probabilmente al fatto che nel libro si dimostrava nella pratica quotidiana della scuola i valori della Costituzione italiana, mise a nudo le deficienze di una scuola vecchia e inadeguata, che la contestazione voleva distruggere e che questo libro invece dimostrò che si poteva realizzare. La scuola era infatti ancora trasmissiva, verticistica, intollerante.

Fu considerato un libro rivoluzionario perché il messaggio che conteneva era quello di non parlare di libertà, ma di viverla nella normalità della scuola giorno per giorno, in un rapporto nuovo tra maestri e scolari.

Cominciai ad essere invitato in giro per l’Italia a parlarne, ad incontrare tanti maestri, nacquero altre esperienze, in altre scuole, e fu da stimolo a tanti insegnanti che introdussero cambiamenti nella metodologia didattica.
Sono nate amicizie e collaborazioni che hanno prodotto nel tempo, in tutti questi anni, strumenti di lavoro, libri, documenti, alcune delle quali continuano tuttora nelle attività della Casa delle Arti e del Gioco.

La riproposta di questo libro mi offre lo spunto per una riflessione sulla scuola di ieri e quella di oggi.
Questo momento storico ha bisogno di maestri nuovi, professionalmente e civilmente preparati, che assumano un ruolo propulsivo nel corpo della nostra società. Dal tempo del Paese sbagliato ad oggi molto è cambiato.

C’è stata la diffusione capillare della Tv, proliferata in modo selvaggio senza un codice etico.
E c’è stata la crisi di un sistema politico degenerato. A livello internazionale sono caduti muri e miti, con le relative ripercussioni politiche. Eppure io noto analogie fra il momento del dopoguerra e quello di oggi.
Come allora, anche oggi c’è bisogno di ricostruire moralmente una società, recuperando i valori abbandonati.
La scuola non può estraniarsi da questo processo: se l’interpretazione modulare di programmi ha reintrodotto la trasmissione dei contenuti e inaridito la scuola, i docenti più sensibili possono introdurre nella scuola il senso della partecipazione e della socialità. A scuola i bambini possono imparare a vivere ogni giorno da cittadini liberi e responsabili.
Alla filosofia del consumismo e dell’arrivismo noi possiamo contrapporre la collaborazione,la cooperazione, la solidarietà, la non- violenza.
Se riusciamo a collaborare con i colleghi docenti, riusciremo a creare anche per i bambini il clima ottimale nel quale sentiranno se stessi protagonisti, gli altri come amici, e la diversità come arricchimento.

Io mi auguro che Il Paese sbagliato possa contribuire a questa riflessione sull’educazione.

Mario Lodi
  

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