17 marzo 2014

PAPI D'ALTRI TEMPI

Erasmo da Rotterdam

 
Che papa Giulio II della Rovere non fosse proprio uno stinco di santo si sapeva, ciò non toglie che il ritratto che ne fece allora Erasmo da Rotterdam sia impressionante. E non si venga a dire che quelli erano i costumi del tempo. Anche Erasmo viveva in quell'epoca e in quella società. Come Lutero....

Adriano Prosperi

La follia di Erasmo contro l'eresia del papa-dio Giulio II


Il nostro tempo sembra prigioniero di un incantesimo: la dimensione della storicità è cancellata, la memoria collettiva è uno schermo dove una regia anonima fa scorrere immagini casuali. Ma si può vivere il presente e concepire il futuro senza tenere conto del passato? Insomma, a che serve la storia?

Fu per rispondere a questa domanda di un bambino che Marc Bloch descrisse la sua idea del mestiere dello storico. Mestiere delicato, rischioso, appassionante e difficile: perché il passato è un paese sconosciuto e chi vi si avventura non può andarci come in una gita organizzata del turismo di massa. Deve farsene esploratore e archeologo, imparare pazientemente a decifrare tracce e parole solo apparentemente familiari.

Ce ne dà un esempio questo nuovo libro di Silvana Seidel Menchi, in apparenza solo una lunga introduzione a un testo cinquecentesco, ma in realtà un saggio nitido e appassionante sui rapporti tra il più grande intellettuale del Cinquecento, Erasmo da Rotterdam e il più terribile papa del suo tempo, Giulio II.

Di papa Giulio II, il sanguigno Giuliano Della Rovere, dura ancor oggi quella «chiarissima e onoratissima memoria » di cui lo giudicò degno lo storico Francesco Guicciardini. Eppure l’uomo che si faceva chiamare dai cortigiani del tempo “alter Deus”, un altro Dio in terra, si comprò i voti per diventare papa, vestì corazze e non abiti talari, e per costruirsi la tomba avviò nientemeno che la ricostruzione della basilica di San Pietro per mettervi al centro il suo monumento funebre costruito da Michelangelo.

Si sapeva del papato simoniaco e delle sue abitudini di sodomita, come di tanti altri aspetti di una personalità violenta oltre ogni limite, ma nessuno aveva il coraggio di parlarne. O meglio, quasi nessuno: alla sua morte l’anonimo autore di un pamphlet immaginò per i suoi lettori il dialogo tra San Pietro e l’anima di Giulio II che bussa alla porta del Paradiso e pretende di entrare a forza, vantandosi dei suoi crimini.

Quel testo rimase manoscritto per anni. Fu pubblicato per la prima volta da Ulrico von Hutten nella Germania del 1517, mentre scoppiava la rivolta di Lutero contro il mercimonio delle indulgenze papali. Ma chi era l’autore? Quello che trapelò subito fu il nome di Erasmo da Rotterdam: il quale si difese negando.



Giulio II


Oggi Silvana Seidel Menchi dimostra con una magistrale ricerca che quell’attribuzione era ben fondata: e racconta in questo libro come e perché quel testo, scritto in Inghilterra fra il 1512 e il 1514 per il divertimento di un piccolo circolo di lettori, venisse prima tenuto nascosto per paura dei rischi che si correvano attaccando il papa e poi, una volta pubblicato, fosse rinnegato da Erasmo.

Viltà quella di Erasmo? Al contrario: secondo la storica, l’avere scritto il dialogo era stato un atto «di eccezionale libertà intellettuale». Ma ora per l’autore si trattava di evitare di essere coinvolto — e travolto — in una battaglia diversa da quella a cui aveva dedicato l’opera sua: che era stata investita tutta nella diffusione di una nuova cultura e di un cristianesimo dotto e mitemente evangelico. Quel dialogo era stato scritto per il circuito chiuso, quello dei pochi e sicuri amici. Ora dalla sua diffusione l’autore temeva non solo pericoli personali ma anche un danno per l’opera grande e di lungo respiro da lui perseguita nell’altro circuito, quello pubblico e aperto della stampa dove solo la protezione dei potenti, dal papa all’imperatore, poteva salvarlo dagli attacchi dell’intolleranza fratesca.

Quel che pensava dei papi del tempo, non solo di Giulio II ma anche di Leone X, che definì «la peste della cristianità», lo riservava agli amici intimi. Ma la straordinaria accelerazione della storia prodottasi nello spazio brevissimo di un decennio aveva cambiato tutto il contesto dando al dialogo satirico un sapore nuovo. La rivoluzione silenziosa della stampa si era trasformata in una grande rivoluzione politica e sociale. Davanti a questo Erasmo si ritrasse: se Lutero non riuscì a tradurre il dialogo Giulio, Erasmo non volle più avere niente a che fare col «cinghiale tedesco». E tuttavia aveva ragione Hutten a dire che le sue opere continuavano a combattere la stessa battaglia dei riformatori religiosi. Ne rimase a lungo la traccia perfino in Italia: dove però il papato di età tridentina riuscì a coprire col manto dell’ipocrisia il permanere degli antichi vizi.

Si pensi che personaggi come i papi Paolo III, asceso al cardinalato per la bellezza della sorella, e Giulio III, che fece cardinale il suo giovanissimo amasio, sono da noi ricordati come dei riformatori cattolici. Storie lontane, in apparenza. Ma ci sarà pure una ragione se oggi perfino l’eco dello scandalo dei preti pedofili arriva nella cultura democratica italiana attutito dall’ennesima seduzione collettiva per un nuovo papa regnante.

la Repubblica - 05 marzo 2014



Erasmo da Rotterdam
Giulio
Einaudi, 2014
euro 28

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