03 maggio 2014

PIAZZE E PIAZZISTI



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                           
Il primo maggio è diventata ormai la  festa dei disoccupati. Gli impren­di­tori seri con­fes­sano che il decreto Poletti non li aiu­terà ad assu­mere ma a sfrut­tare di più i pre­cari, e aggiun­gono che l’occupazione non si crea con la pre­ca­rietà ma abbas­sando i con­tri­buti fiscali. 

 La piazza e i piazzisti
di Norma Rangeri

 
 Ven­ti­sei milioni di disoc­cu­pati soprav­vi­vono nella grande depres­sione euro­pea. E tra qual­che set­ti­mana saranno tra quelli chia­mati alle urne men­tre i son­daggi annun­ciano un’astensione dila­gante accom­pa­gnata da una forte affer­ma­zione dei movi­menti anti­eu­ro­pei di estrema destra. Le cifre offerte dall’Eurostat per il 2013 par­lano di un aumento, rispetto all’anno pre­ce­dente, di poco meno di due milioni di disoc­cu­pati e nell’amara clas­si­fica l’Italia si assi­cura un posto in prima fila: secondo i numeri dell’Istat, il nostro paese conta 3,248 milioni di senza lavoro con un aumento rispetto all’anno scorso di 194 mila persone.

Nel paese fla­gel­lato dalla man­canza di occu­pa­zione, la prima bolla di sapone gon­fiata dallo slo­gan del Jobs Act è stata anche la prima a scop­piare in fac­cia al mondo del lavoro. Il governo delle scelte rapide e con­crete, annun­ciando un cam­bio di verso aveva susci­tato aper­ture di cre­dito anche nella parte più com­bat­tiva e radi­cale del sin­da­cato come la Fiom. Salvo poi met­tere da parte le buone inten­zioni (il con­tratto unico a tempo inde­ter­mi­nato con tutele pro­gres­sive), per chie­dere invece al par­la­mento il voto di fidu­cia al decreto Poletti. Un’overdose di pre­ca­rietà decre­tata dal mini­stro con un prov­ve­di­mento che si pre­oc­cupa di can­cel­lare per­sino le pal­lide garan­zie inse­rite, nella sta­gione del tec­nico Monti, dalla mini­stra For­nero. In altri tempi avremmo avuto la pro­te­sta in piazza e i denti di dra­cula dise­gnati sulla bona­ria silhouette di Poletti. Invece, in omag­gio al nuovo che avanza, il sin­da­cato ha levato al cielo della poli­tica fle­bili rimo­stranze, inca­strato, nel frat­tempo, dagli 80 euro che il pre­si­dente del con­si­glio ha infi­lato nelle buste paga dei lavo­ra­tori dipen­denti e tra i piedi dei sindacati.

Gli impren­di­tori seri con­fes­sano che il decreto Poletti non li aiu­terà ad assu­mere ma a sfrut­tare di più i pre­cari, e aggiun­gono che l’occupazione non si crea con la pre­ca­rietà ma abbas­sando i con­tri­buti fiscali. Del resto che la fles­si­bi­lità non serve a farci uscire dalla reces­sione lo scrive il New York Times, men­tre il capo degli eco­no­mi­sti del Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale afferma che non c’è alcun nesso di causa-effetto, in un con­te­sto di crisi eco­no­mica strut­tu­rale, tra fles­si­bi­lità e ridu­zione della disoccupazione.

Oltre­tutto la cura da cavallo dei con­tratti a ter­mine non è stata nep­pure accom­pa­gnata da un pro­getto sul destino indu­striale del paese. Renzi ha com­piuto la sua infor­nata di nomine nelle grandi aziende par­te­ci­pate dallo Stato senza nulla dire, come ha giu­sta­mente osser­vato il pre­si­dente del Cen­sis, Giu­seppe De Rita, sugli obiet­tivi da per­se­guire, sulle scelte stra­te­gi­che da com­piere («nomine senza man­dato»). Il caso Luc­chini è emble­ma­tico pro­prio di que­sta man­canza di visione sul nostro futuro assetto indu­striale. La nostra non è solo una crisi di domanda, ma anche una debo­lezza di offerta: pro­durre come e per che cosa?

Lavo­ra­tori, cas­sin­te­grati e pre­cari, da Por­de­none a Taranto, da Milano a Roma oggi, come ogni anno, tor­nano a sven­to­lare le ban­diere del Primo Mag­gio. E dice bene Susanna Camusso quando osserva, rubando il mestiere a mon­sieur Lapa­lisse, che oggi si va in piazza per la festa della disoccupazione.


 Il manifesto, 1 maggio 2014



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