Riproponiamo i resoconti di due importanti inviati al Festival del Cinema di Venezia:
Un film politico, ma soprattutto morale: il Belluscone di Maresco conquista il Lido
Accolto da
continui applausi a scena aperta e da un'ovazione finale, Belluscone - Una
storia siciliana ha conquistato il Lido. Ma chissà quanti, tra gli spettatori,
hanno colto il coefficiente di realtà del film, che nelle sue divagazioni
potrebbe sembrare un mockumentary di quelli che vanno alla moda.
Partito come
un documentario sul rapporto tra Berlusconi e Cosa Nostra, il film devia verso
un viaggio tra i cantanti neomelodici al seguito dell'irresistibile impresario
Ciccio Mira, come a mostrare una sorta di transfert collettivo e delle segrete
assonanze tra due mondi in apparenza lontani. Ma in realtà il tutto subito si
interrompe e collassa: Maresco, ci dice il film, è sparito, forse vittima del
proprio film, e sulle sue tracce parte un Tatti Sanguineti un po' Caronte e un
po' Philip Marlowe.
E davvero,
al di là di una cornice (parzialmente) di fantasia, quasi tutto quel che si
vede nel film è vero, e gli avvenimenti raccontati sono accaduti: i
telegiornali con il tizio che fa esplodere la casa terrorizzato all'idea di
perdere la pensione dopo le dimisioni di Berlusconi; le intercettazioni dei
boss di Porta Nuova con Mira; le denunce di un cantante contro Maresco e il suo
film.
Dalle
macerie di quello che poteva essere un fallimento, Maresco fa risorgere il suo
film sul film, creando con frammenti sparpagliati e un insieme di inattesa
coerenza quasi musicale. Il risultato è dunque il racconto di come il film
stesso non si è fatto e non si poteva fare, un po' per i limiti del comico e
dell'inchiesta, un po' perché, man mano che lo sguardo si allarga, la cupezza
dello sguardo coinvolge il senso del fare cinema oggi.
Si ride,
certo, ma il sentimento finale è quasi straziante. Perché Maresco in fondo ha
una grande pietà per il mondo terribile che narra: il vero orrore gli sembra
piuttosto il volto dell'Italia di oggi. Belluscone è in questo senso un film
politico ma soprattutto morale, un melanconico grido di estraneità nei
confronti del presente (nel finale appaiono, con agghiacciante continuità
antropologica rispetto alla storia raccontata, Matteo Renzi ad Amici e le gare
di X factor). Forse per questo, al Lido, Franco Maresco non è venuto, ed è
rimasto nella sua Palermo.
IL SOLE 24 ORE 31 agosto 2014
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Maresco: è una farsa non sono un giustiziere
Fulvia Caprara
Franco
Maresco è a Palermo «perchè la vita viene prima dei film e ho trascurato troppo
me stesso e la mia salute», ma al Lido, dall’altra sera, dopo la prima
proiezione per la stampa, non si fa che parlare di lui, del gran ritorno con Belluscone
- Una storia siciliana, indagine drammatica e insieme esilarante della
fascinazione nefasta che ha legato, nel tempo, la Sicilia all’ex-premier Silvio
Berlusconi: «L’ipotesi del film - dice lui al telefono - è che Berlusconi e i
siciliani siano legati da un elemento comune, la non fiducia nello Stato, la
sua negazione». Sullo schermo, prosegue Maresco (dopo le risate e il mare di
applausi, il regista è stato salutato dal pubblico con un coro infinito di
«Franco, Franco») «Berlusconi si rivela più siciliano dei siciliani,
soprattutto nel modo di reagire alla mafia. Quando si sente in pericolo, si
rivolge all’amico Marcello Dell’Utri, crede più a Cosa Nostra che allo Stato».
Nel mondo
dei cantanti neo-melodici, osservato con desolato e ironico stupore, sono i
giovanissimi a inneggiare per il fondatore di Forza Italia: «Sì, è vero, la
canzone Vorrei conoscere Berlusconi esiste, non è un’invenzione. Una delle cose
che più mi ha colpito è che proprio un ragazzo di Villagrazia di Palermo, il
luogo di cui fu padrone assoluto il mafioso d’altri tempi Stefano Bontade, ha
pensato un giorno di comporre un brano del genere. Un pezzo in cui Berlusconi è
visto come l’unica persona in grado di far salire tutti i gradini della scala
sociale».
Concepito
nel 2011, iniziato, poi accantonato, e infine portato a termine nel migliore
dei modi, Belluscone una storia siciliana rischiava di apparire superato oggi,
nella mutata realtà politica italiana. Lo salvano, invece, la vena
fiammeggiante dell’autore di «Cinico tv», la maschera dell’organizzatore di
feste di piazza Ciccio Mira (arrestato per vicinanza ad ambienti mafiosi nel
2013), il Virgilio Tatti Sanguineti che accompagna lo spettatore lungo il
viaggio-inchiesta, le facce degli intervistati, il tono roboante della voce
fuori campo che contrasta con lo squallore del tutto: «Volevo fare una specie
di guerra-lampo, un film veloce, poi mi sono reso conto che stavo prendendo
un’aria da giustiziere che non è mia... Allora ho interrotto il lavoro, e poi
ho ricominciato, partendo da Brancaccio, il quartiere dei neo-melodici».
Lo sguardo
sull’attualità non è consolante: «Anche mentre precipitava nella tragedia e
nella farsa, Berlusconi in Sicilia non è mai stato abbandonato... Con la crisi,
poi, le cose non migliorano, anzi. Palermo è una città che sta male, che non dà
segni di cambiamento, dove la cosa peggiore, cioè l’indifferenza, non fa che
aumentare».
La Stampa 31 agosto
2014
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