08 novembre 2013

IPOTESI SU PIETRO



Ipotesi su Pietro. E il primato cattolico
di Armando Torno
 
Apriamo il Vangelo di Matteo al capitolo 16, versetti 18 e 19. Due righe che contengono parole
considerate dai cattolici fondamentali. Sono ritenute le più esplicite per l’istituzione del papato: «E
io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non
prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra
sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Da Lutero in poi altre interpretazioni presero una certa forza e, in genere, il mondo protestante non
crede alla venuta di Pietro a Roma. Non poteva dunque essere vescovo della città eterna. Gli
ortodossi, dal canto loro, riconoscono il primato petrino solo parzialmente: l’apostolo fu investito di
un’autorità superiore, ma la ricevettero anche gli altri seguaci stretti di Gesù. Pietro, in altri termini,
sarebbe «primus inter pares», un primo tra pari.
Non spetta a noi discutere le diverse esegesi, talmente tante da aver riempito più di una biblioteca;
né è il caso di analizzare filologicamente, con varianti e oscillazioni di significati, i passi del testo
greco di Matteo, perché anch’essi hanno prodotto una letteratura sterminata.
Semplicemente ci limitiamo a segnalare l’uscita di un libro di notevole interesse, che reca la
semplice e significativa dedica «A Francesco, vescovo di Roma», scritto da un archeologo e storico
dell’arte antica quale Andrea Carandini (con appendici e illustrazioni di Francesco De Stefano): Su
questa pietra. Gesù, Pietro e la nascita della Chiesa (Laterza, pp. 240, e 16).
Andrea Carandini, dopo aver esaminato le idee teologiche di Gesù e il rapporto che legava Pietro al
maestro, soprattutto quel primato ribadito, mette in luce la figura dell’apostolo nei tempi che
seguono la resurrezione. Il capitolo «Pietro dopo Gesù» termina con l’analisi della presenza di
Paolo nell’Urbe («si mise in animo di attraversare la Macedonia e l’Acaia e di recarsi a
Gerusalemme dicendo: “Dopo essere stato là devo vedere anche Roma”», Atti degli apostoli 19,21).
Corrono gli anni tra il 57 e il 60 della nostra era. Carandini ricorda che Paolo rimase un biennio
nella città, in una casa d’affitto, o meglio fu a lui «concesso di abitare per suo conto con un soldato
di guardia» (Atti 28, 16).
Pietro, ribadisce l’archeologo, «non può essere stato nella capitale negli anni immediatamente
precedenti. Infatti non è menzionato da Paolo nella sua lettera ai romani». Neppure è probabile che
il primo apostolo si trovasse là «quando Paolo vi passò due anni, mancando negli Atti ogni accenno
a lui in quella circostanza». Seguendo la cronologia proposta da Marie-Françoise Baslez nel suo
Saint Paul (Fayard 2008), Carandini evidenzia: «Dunque, se Pietro è arrivato a Roma — possibilità
da prendere in seria considerazione — vi è giunto dopo il 60 d.C.».
La domanda che segue è inevitabile e scontata: arrivò nell’Urbe l’apostolo? Quell’uomo mite,
illetterato, con mille debolezze ma con un mandato speciale e la forza di guidare la comunità
cristiana?
Dopo aver ricordato che «Marco, futuro evangelista, si era separato da Paolo e si era avvicinato a
Pietro negli anni quaranta», l’autore esamina le tracce che si rilevano nella Prima Lettera di Pietro
(la testimonianza principale) ma anche in alcuni testi apocrifi, nonché da altre «sorgenti
d’informazione» a partire dal secondo quarto del II secolo. Il riconoscimento dell’apostolo come
episkopos è più tardo (dal III al V secolo); il suo martirio, invece, è tradizione attestata tra la fine
del I secolo e gli inizi del II. Scrive Carandini: «Pietro sarebbe stato ucciso a Roma sotto Nerone
(subito dopo l’incendio del 64 d.C.) all’interno del suo circo in Vaticano. Lo attesta il “trofeo” di
Pietro in Vaticano menzionato da Gaio — 200 d.C. circa—- identificabile con la tomba/edicola
rinvenuta durante gli scavi nella necropoli sotto San Pietro».
Il testo si sofferma su ulteriori aspetti e dettagli. Noi, più semplicemente, ricordiamo che nella
seconda parte del libro, dovuta a Francesco De Stefano, vi è un altro capitolo intitolato «Pietro a
Roma», nel quale si esaminano le fonti letterarie (sono 38, l’ultima è il Liber Pontificalis del VII
secolo), il sepolcro in Vaticano (che a partire dal 1940, grazie a Pio XII e alle due campagne di
scavi archeologici, offre elementi di riflessione), infine la basilica di San Pietro, fatta costruire
originariamente da Costantino, laddove la tradizione indicava la sepoltura dell’apostolo.
Il libro è il risultato di una combinazione tra analisi delle Scritture e indagini archeologiche. Offre
un panorama aggiornato delle questioni che riguardano la nascita della Chiesa e anche il primato di
quella cattolica.
È un lavoro serio e onesto, anzi per molti aspetti è da considerarsi «il punto» su una questione che
ha fatto discutere nel tempo esegeti, filosofi (Voltaire non credeva e ironizzava sulla venuta e sul
martirio di Pietro a Roma), teologi e archeologi. E soprattutto interessa ai fedeli. Di ogni epoca. 
 
 in “Corriere della Sera” del 8 novembre 2013
 

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