23 novembre 2023

MEMORIE OPERAIE

 



SCRITTURE OPERAIE

L'esperienza genovese 1970-2020: Pippo Carrubba, Francesco Currà, Vincenzo Guerrazzi, Giuliano Naria.

Con un'antologia di testi.

A cura di Marco Codebò e Giorgio Moroni.

Introduzione di Giuliano Galletta.

Testi di Giuliano Galletta, Marco Codebò, Giorgio Moroni, Ignazio Pizzo, Marino Fermo, Rosella Simone, Antonio Gibelli, Claudio Gambaro, Stefano A. Bigazzi, Giovanna Lo Monaco, Sandro Ricaldone, Liliana Lanzardo, Augusta Molinari


Il libro, a partire dai quattro autori analizzati riflette, in una prospettiva nazionale e internazionale, sul rapporto tra la vita di fabbrica e la comunicazione letteraria.

Nella Genova degli anni Settanta del Novecento, Pippo Carrubba (1938-2020), Fancesco Currà (1947-2016), Vincenzo Guerrazzi (1940-2012) Giuliano Naria (1947-1997), operai dell’Ansaldo Meccanico e dell’Italcantieri, iniziano a scrivere testi letterari. Continueranno a farlo per tutta la vita. Con modi e tempi diversi, legati alle particolari curve delle loro esistenze, produrranno romanzi, inchieste giornalistiche, favole, racconti, memoirs. Questo volume affronta l’esperienza di

questi scrittori attraverso l’analisi del contesto storico e culturale in cui hanno operato, la ricostruzione delle loro biografie, e la presentazione di un’antologia dei loro scritti.

Il contesto storico, nel senso più largo del termine, coincide con l’esistenza stessa della classe operaia. Già dopo la rivoluzione del luglio 1830, come spiega Jacques Rancière nella “Nuit des prolétaires. Archives du rêve ouvrier” (1981), appaiono operai parigini che decidono “di non sopportare più l’insopportabile”, vale a dire “il dolore del tempo rubato ogni giorno per lavorare il legno e il ferro”, e dedicano le notti a discutere, progettare, scrivere. All’altro capo della storia, Xu Lizhi, operaio della Foxconn di Shenzhen, un’azienda che conta sulle commesse di giganti come Apple, Motorola, Samsung e Microsoft, traduce la sua storia nelle poesie pubblicate in "Mangime per le macchine" (tradotte e pubblicate online in Italia a cura dell’Istituto Onorato Damen nel 2010). Fra questi due estremi temporali, altre esperienze di scrittura operaia emergono in contesti storici e culturali molto diversi. Adelheid Popp racconta la sua vita di giovane operaia in “Jugend einer Arbeiterin” (1909), mentre in “Tea Rooms. Mujeres Obreras” (1934), Luisa Carnés Caballeros narra la sua storia di cameriera nelle sale da the della Puerta del Sol; “A la ligne”, infine, è una testimonianza di sofferenza operaia scritta da Joseph Ponthus nel 2018. Questi tre casi sono solo un campione minimo della scrittura operaia in un quadro internazionale. Davanti ad un contesto così ampio e variegato, si tratta di individuare alcune costanti nel rapporto fra scrittura e lavoro operaio e verificarne la loro presenza nei testi prodotti dai quattro operai genovesi di cui si occupa il libro.

 

Per quel che riguarda il contesto italiano si tratta da una parte di considerare il percorso della narrativa italiana nel trattare la condizione operaia e dall’altra di indagare le spinte culturali e politiche che nella situazione degli anni Sessanta indirizzano ricercatori, sociologi e militanti verso la raccolta di testimonianze operaie. Il quadro letterario è caratterizzato dal ritardo del romanzo italiano nel mettere al centro della rappresentazione il lavoro e la vita di operai e operaie. Renzo e Lucia lavorano tutti e due in filanda ma di quel che fanno là non se ne sa niente nei “Promessi sposi”. La situazione rimane tale fino agli anni Trenta, quando esce “Tre operai” (1934) di Carlo Bernari e soprattutto fino al secondo dopoguerra quando la narrativa neorealista, come anche il cinema, sceglie l’ambiente proletario come il suo terreno d’azione privilegiato. Gli anni Sessanta aggiungono a questo quadro d’insieme l’interesse politico verso la condizione operaia, con le inchieste in cui ricercatori come Danilo Montaldi, Raniero Panzieri, Romano Alquati vanno a scoprire la fabbrica attraverso la partecipazione attiva dei soggetti operai, la cui voce inizia così a depositarsi sulla pagina. In fondo a questo percorso c’è Nanni Balestrini: “Vogliamo tutto” (1971) è un romanzo a due voci, quella dello scrittore affiancata da quella del protagonista Alfonso Natella, operaio della Fiat. Natella diventerà poi scrittore in proprio scrivendo, alcuni anni dopo,

“Come pesci nell’acqua inquinata “(1978). Ma qui siamo ormai quasi arrivati ai nostri scrittori. L’ultimo elemento da inserire nella miscela di fattori che stanno alla base della loro pratica è proprio il protagonismo operaio nelle lotte di fabbrica e di territorio iniziate nell’autunno del 1969; quelle lotte che Balestrini e Natella raccontano in “Vogliamo tutto”.

Come entra la miscela di elementi appena accennati nei testi dei quattro scrittori operai al centro del volume? Il libro risponde scrittore per scrittore e testo per testo, scoprendo sia i fattori comuni sia i tratti espressivi e culturali che invece appartengono solo all’individualità di chi scrive. Com’è ovvio, si è cercato anche di evidenziare i momenti di superamento del contesto, quando la scrittura trascende le condizioni della propria produzione e sia avvia in direzioni originali. Ultimo, ma non meno importante, compito è stato la raccolta di dati e documenti – che diventeranno patrimonio dell'Archivio e fonti per nuove ricerche – attraverso l’inchiesta sulle singole biografie, intorno alle esperienze scolastiche, le pratiche di lettura, le biblioteche personali e le abitudini di scrittura di ognuno dei tre scrittori.

PUBBLICATO DA VENTO LARGO

 


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