27 novembre 2023

STORIA SOCIALE DEI TATUAGGI

 


PER UNA STORIA SOCIALE DEL TATUAGGIO

di minima&moralia pubblicato lunedì, 27 Novembre 2023  

di Giuseppe Nibali 

 

«Il tatuaggio è un’arte senza storia. Nessuno, per quel che ne sappiamo, ha fatto dello studio del suo sviluppo, dalle origini volgari alle forme consumate che ci invitano ad ammirare, il proprio mestiere di vita». Così recita un articolo datato 1881, del Saturday Review, giornale fondato nel 1855 a Londra. Nel frattempo quel giornale ha chiuso i battenti e da allora a oggi più di qualcuno ha provato, fuori da ogni pregiudizio, a fare della storia del tatuaggio il proprio mestiere.

Ci ha pensato, per esempio, Matt Lodder a immaginare questo viaggio nella storia del tatuaggio, proposta in Corpi dipinti, edito da Il Saggiatore nella bella traduzione di Ludovica Marani. Lodder, che è docente di storia dei tatuaggi all’Università dell’Essex e studioso tra i più interessanti della pittura corporea, nel testo propone ventuno tappe nella storia del tatuaggio che sono anche ventuno tappe all’interno della storia umana. Si va da un minuzioso lavoro sui colori, sul bianco e nero, sulle piccole iniziali che appaiono tra le caviglie delle mummie fino alle schiene e ai corpi di combattenti e marinai delle epoche storiche moderne. Gli esseri umani hanno sempre sentito l’esigenza di imprimere sui loro corpi segni e simboli e queste tracce sono anche utili strumenti per una analisi più approfondita dell’antropologia specchiata attraverso una disciplina che troppo spesso è stata vista come ancillare rispetto alle altre arti.

Otzi, l’uomo dei ghiacci, è una delle prime figure che appaiono nel testo. È la mummia più antica d’Europa ed è anche il più antico essere umano tatuato scoperto fino a ora. Ha sessantuno tatuaggi, soprattutto tacche, croci, linee ottenuti passando pigmenti di fuliggine sopra piccole ferite. Otzi è la prova inequivocabile della presenza dei tatuaggi in Europa all’inizio dell’età del bronzo, ma anche uno degli anelli della grande catena che è la diffusione del tatuaggio nel mondo antico. L’uomo di Gebelein, per esempio, visse intorno al 3.330 a.C. all’epoca della civiltà egiziana predinastica. I suoi tatuaggi sono sorprendenti. Figure, non semplici segni, figure rituali come la capra berbera presente in tutta l’arte coeva, dai manici dei coltelli fino alle selci decorative.

Nella plurale Grecia invece, da decorazione ornamentale delle fanciulle trace il tatuaggio diventa stigma, macchia di disgrazia ad Atene, parola o figura da apporre sulla fronte di schiavi e criminali. Bellissimi e molto moderni sono i tatuaggi (lo è soprattutto la disposizione) che appaiono sul corpo della Lady pazyryk, una nobile la cui mummia congelata è conservata all’istituto archeologico di Berlino. La donna è morta nel gennaio del 277 a. C., sui monti Altai, nella Siberia meridionale. Sulle sue braccia appaiono cavalli, grifoni, uccelli selvatici, animali ungulati, felini e pesci. Animali reali o immaginari che rivelano un complesso sistema di credenze e indicano anche, sotto il profilo sociologico, la grande varietà del bestiario cultuale.

Nell’età moderna si sviluppa in Europa una tradizione diversa e di tatuaggi si riempiono le braccia di servi e prigionieri, per poter agilmente individuare i fuggiaschi, mentre in estremo oriente la pittura del corpo assume un carattere nazionalistico. Così il patriota Yue Fei, deciso a difendere la dinastia Song dalla ribellione in corso nel dodicesimo secolo, prima di partire per il fronte decide di farsi tatuare sulla schiena la scritta «jin zhong bao guo: Servire la nazione con la massima lealtà» incidendo la pelle e facendosi spalmare dalla madre fuliggine azzurra sulle ferite fresche. Un calvario da dedicare alla nazione.

Lodder va avanti, restituendoci, secolo dopo secolo, un puntale raccordo sulla società. Si va dal Nord America fino all’Artico, passando per la Polinesia, l’excursus copre la Londra vittoriana, dove il tatuaggio torna segno di disonestà, stigma truffaldino, sono gli anni di John Mitchel e, soprattutto, del nostro Cesare Lombroso: «Si tratta di un’usanza del tutto selvaggia, che solo di rado è rintracciabile tra chi non fa più parte delle nostre classi oneste, e che non prevale se non fra i criminali, presso cui ha avuto una diffusione davvero strana, quasi professionale»1.

Degna di interesse è anche la storia di Aimee Crocker, detta la “regina della Boemia”, eccentrica newyorkese della Belle Epoque, Aimee aveva le braccia interamente tatuate da uno dei maestri del tempo, il giapponese Hori Toyo. Il lavoro si conclude con Dennis Rodman, fenomeno di costume per i nati negli anni ’80 e ’90, per la volontà da parte dell’atleta di rappresentare, tramite i suoi tatuaggi e le altre mutazioni corporee, la propria anima cangiante e colorata: «Qualsiasi cosa ne pensassero i suoi critici più conservatori, i tatuaggi di Rodman sono arrivati a definirlo nell’immaginario pubblico»2.

Il testo di Lodder è un prontuario, uno sguardo consapevole sul mondo dei tatuaggi e sulla storia di un’arte che si evolve insieme alle donne e agli uomini che la indossano. Ne viene fuori una operazione necessaria, un testo che tutti gli appassionati dovrebbero leggere.

 

1 Cesare Lombroso, «The savage origin of Tattooing» in Popular Science Monthly, aprile 1869, vol. XLVIII, p. 83.

2 Matt Lodder, Corpi dipinti, Milano, Il Saggiatore, 2023, p. 316.

 

Articolo ripreso da  https://www.minimaetmoralia.it/wp/libri/per-una-storia-sociale-del-tatuaggio/

 

 


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