“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
23 marzo 2025
FRANCO FORTINI E ROSSANA ROSSANDA
Massimo Raffaeli
Una feconda amicizia con note dissonanti
il manifesto, 12 marzo 2025
Arrivederci tra dieci anni? Il carteggio Fortini-Rossanda (1951-1993) (Firenze University Press-USiena Press, pp. 146, euro 21.85, ma scaricabile gratuitamente in pdf), con un saggio di Monica Marchi, nella puntuale curatela di Giuseppe Ferrulli.
... Fortini e Rossanda si incontrano nell’immediato dopoguerra quando l’uno, ex partigiano e appena reduce dal Politecnico, iscritto al Psi, è consigliere della Casa della Cultura a Milano, mentre l’altra, storica dell’arte entrata nella Resistenza da allieva di Antonio Banfi, giovanissima dirigente del Pci, la dirige.
L’esordio del rapporto, o meglio il primo punto di frizione, è una disputa all’interno della Casa della Cultura (diretta fino al ‘63 da Rossanda con risolutezza e aperture impensabili in anni di Guerra fredda e zdanovismo) che si conclude nel dicembre del ’51 con le dimissioni di Fortini dal consiglio direttivo della Casa, quando in una lettera accusa i militanti del Pci (e dunque, di riflesso, la direttrice medesima) di essere dei «comunisti piccoli», agenti di un mediocre machiavellismo nei confronti dei compagni e soprattutto dei socialisti.
LA NATURA, la postura stessa del rapporto tra Fortini e Rossanda, qui sono dati una volta per sempre: di solito Fortini porta l’affondo ironico ovvero aggressivo, additando gli spettri di una umanità ferita e irredenta, ridotta allo stato di perenne parzialità, sia pure ritrovata nel pensiero poetico, in immagini la cui drammatica scomposizione lascia tuttavia intravedere un possibile riscatto, il disegno utopico della totalità e, pertanto, di un’umanità risarcita. (A una simile oltranza dell’immaginario, corrisponde il riflesso psicologico di un carattere ombroso, insofferente e refrattario a gesti di conciliazione: la sua interlocutrice un giorno lo definirà di carattere «infiammabile», un altro citerà le parole di don Abbondio a proposito del cardinal Federigo: «Oh che sant’uomo! ma che tormento!»).
ROSSANDA HA PROFILO e carattere antipodi, in lei ogni gesto istintivo coincide con l’incipit di una riflessione e così la sua ricerca di una mediazione non è mai rifiuto del conflitto ma un rilancio del discorso su un piano ulteriore, più largo e magnanimo: la scrittura le somiglia, ha un passo lungo e avvolgente prima di approdare alla fermezza di una conclusione.
L’uno in una celebre poesia (Il Comunismo, nella raccolta Una volta per sempre, 1963) dovrà ammettere la difficoltà di vivere l’eguaglianza con i propri compagni nella comune negazione dell’esistente («Non si può essere comunista speciale./ Pensarlo vuol dire non esserlo»), l’altra in una lettera ormai tarda, del gennaio 1981, gli si rivolgerà nella sgomenta convinzione che il comunismo non è il traguardo ma la via, terribilmente accidentata, per raggiungerlo: «La mia identità è di essere comunista, e non lo sono; non me ne importa di niente altro, per rapporto a quel che ho capito un giorno del ’43 e rispetto al quale ho collezionato soltanto cammini faticosi approdati in vicoli ciechi».
SONO DINAMICHE riavviate ad ogni passaggio di fase del loro rapporto, scandito dalla storia grande del secondo Novecento e dall’avvicendarsi dei gruppi intellettuali e politici che lo costellano. Prima c’è l’indimenticabile ’56 (con una sfuriata di Fortini contro la Casa della Cultura, rea di ignorare il rapporto Krusciov e di ridurre – con una conferenza dello psicoanalista Cesare Musatti – la critica dello stalinismo ad una eterna lotta col padre), poi gli anni del Miracolo economico e la lunga stagione delle lotte che culmina nel ’68-’69 e apre il decennio antagonista, con la radiazione dal Pci del gruppo del manifesto e la successiva fondazione, nel 1971, del quotidiano.
Fortini ne sarà una prima firma (i suoi articoli sono ora nei due volumi di Disobbedienze, manifestolibri 1997-’98) ma con aspri dissensi prima sulla scelta di inglobare il quotidiano nel Pdup poi, dagli anni ottanta, sulla progressiva ai suoi occhi «americanizzazione» nei gusti, nello stile e nel linguaggio del giornale che egli vorrebbe, scrive nella lettera del 18 dicembre ’74, concentrato sulla critica «che smonta e spiega il processo produttivo della cultura circostante e cerca di farci capire come funziona e non soltanto quale ideologia indossi e propagandi».
Ma il contrasto diventa frattura irreparabile quando nel ‘79, recensendo il Doppio diario postumo di Giaime Pintor, Fortini estrapola la figura dello scrittore e martire antifascista per farne un caso di ceto privilegiato e di classe, la stessa che a cadenza rifornisce lo Stato dei suoi Grand Commis: l’articolo non esce e Rossanda, sdegnata, si schiera immediatamente dalla parte di Luigi Pintor, offeso nel profondo. Ci vorranno anni per ripristinare la collaborazione di Fortini al giornale e un qualche rapporto con la sua interlocutrice ma prevarranno d’ora in poi il senso di stanchezza per la vecchiaia incipiente, i silenzi, e le reciproche omissioni.
ANCHE NEI TESTIMONI terminali del carteggio la postura rimane immutata e, rileva Monica Marchi, «da una parte c’è Fortini che orgogliosamente rivendica il suo isolamento dall’altra parte, invece, c’è Rossanda che al contrario difende il suo essere parte di qualcosa». In altri termini, con gli stereotipi che ogni tanto il carteggio rilancia, da una parte c’è il poeta scismatico e comunista «speciale», dall’altra l’intellettuale prediletta da Palmiro Togliatti e Jean-Paul Sartre, la compagna dell’indimenticabile K. S. Karol.
Quegli ultimi documenti sono gesti di omaggio che l’antico discidium, retrospettivamente, carica di senso e destino. Rossanda scrive in occasione del pensionamento di Fortini dall’Università di Siena lo stupendo saggio (anche autobiografico) che si intitola Le capre ostinate mentre il poeta le conferma una definitiva adesione nell’epigramma Per Rossana R. (in Poesie inedite, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, Einaudi 1997): «Gente, la rima non ripaga/ corta è la vita lunga la piaga./ Finché un’ora più vera non viene/ la Rossana a me va bene».
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