07 ottobre 2014

MODIGLIANI: I VOLTI, LE DONNE E GLI AMICI.


Pisa dedica una grande rassegna a Modigliani ricostruendo il clima irripetibile della Parigi di inizio secolo.

Lea Mattarella

Modigliani. I volti, le donne, gli amici


Modigliani et ses amis, ovvero benvenuti nella leggenda. Quella del pittore livornese, una concentrazione di genio e sregolatezza portata all’estremo, ma anche quella della Parigi dell’inizio del XX secolo, dove gli artisti arrivano da ogni parte del mondo, finendo poi per conquistarsi il posto d’onore nella storia dell’arte.

A Modigliani bastano pochi anni per far diventare le sue figure allungate icone della pittura del Novecento, quella che ha nell’uomo, nel suo incedere nel mondo, il punto di partenza. Diceva che per lavorare aveva bisogno «di un essere vivente, vedermelo davanti». E infatti è riuscito a raccontare Parigi attraverso i volti di chi gli stava intorno: pittori, collezionisti, poeti, donne amate e fanciulle di cui, a volte, non si sa nulla, solo un nome. Come Antonia, che emerge solenne da una griglia geometrica con una potenza di volume tutta italiana.

La si ammira, insieme a circa 110 opere (gran parte provenienti dal Centre Pompidou) di Modigliani e della cerchia di artisti con cui condivideva la grande avventura all’ombra della Tour Eiffel, nella bellissima mostra curata da Jean Michel Bouhours, aperta fino al 15 febbraio a Palazzo Blu a Pisa. Antonia si data intorno al 1915. Modigliani, che nasce a Livorno nel 1884 è in Francia dal 1906.



È l’arte che lo traghetta lì con il suo bagaglio di passioni: declamava Dante, leggeva Lautrémont, Nietzsche, D’Annunzio. Ma aveva portato con sé anche le sue radici: un mucchietto di riproduzioni di opere di Botticelli, Carpaccio, Lotto e, molto probabilmente, di quel Parmigianino che prima di lui aveva forzato la forma del collo di una Madonna nella ricerca impeccabile di bellezza ideale. C’è una bella sezione di questa mostra dedicata ai rapporti con il Cubismo che ospita le nature morte di Gris e di Picasso, gli ingranaggi meccanici di Léger, le sculture di Lipchitz e di Zadkine, le scomposizioni di Survage. C’è un solo francese, Léger, nel gruppo appena citato composto da spagnoli, lituani, russi e bielorussi. E questo basta a far capire cosa fosse in quel momento Parigi. E Modì è italiano: anche per questo, probabilmente, il Cubismo lo interessa fino a un certo punto.
Cosa aveva dipinto prima di approdare qui Modigliani? Paesaggi nel gusto dei macchiaioli, figure che ammiccano al Simbolismo, misteriose e inquietanti come il Ritratto di donna che partecipa a una seduta spiritica esposto a Pisa. Quando arriva nella Ville-Lumière si infervora per Cézanne. Il maestro di Aix è la fonte di due ritratti in mostra: lo scultore Maurice Drouard e Jean Alexandre. Sono due quadri costruiti sugli sguardi del soggetto. Malinconico quello di Jean, stato d’animo sottolineato dalla posizione della testa sulla mano, rovente di azzurro quello dell’artista. Anche a loro toccherà in sorte una morte precoce. Druard viene ucciso durante la prima guerra mondiale, Alexandre se ne va quattro anni dopo l’esecuzione di questo ritratto. Aveva 26 anni e la stessa tubercolosi che minerà il fisico di Modigliani. Quando muore Modi-maudit ha 36 anni. Ma il suo passaggio è irripetibile.



Questa esposizione si apre con un ritratto a matita che gli fa Derain. Ed è impressionante come il francese di fronte al suo modello si sia quasi trasformato in lui, realizzando un’opera in chiaro stile Modigliani, cercando di afferrare quel tratto unico e ininterrotto che lo contraddistingue. Dove il segno di Modigliani si rivela in tutta la sua forza è nella sala dedicata al rapporto con la scultura: un’emozione in bianco e nero. È un altro artista arrivato dall’Est, il rumeno Costantin Brancusi, a fargli scoprire l’intaglio diretto della pietra, senza nulla concedere alla modellazione.

Modigliani inizia il suo corpo a corpo con la materia per dar vita a volti ieratici come idoli. Qui ce ne sono due accompagnati da una serie di meravigliosi disegni, di due capolavori di Brancusi e delle foto di quest’ultimo che documentano i suoi lavori. In questi anni, fino al 1914 quando abbandona la scultura perché troppo faticosa, Modigliani sogna di realizzare un “tempio della voluttà”, sostenuto da figure femminili inginocchiate. Sono esposti i disegni di queste Cariatidi pronte a portare il peso del suo monumento al piacere: bellissime nelle loro torsioni solenni.

Le donne sono un capitolo fondamentale del pianeta Modigliani: grande seduttore le ritrae cercandone una forma che sia essenza, interiorità, “vita che utilizza”. Quando espone i suoi nudi per la prima volta nel 1917, arriva la polizia a chiudere la galleria Berthe Weill. L’oltraggio al pudore era proprio in quella sensualità indolente che colpisce oggi nel bellissimo Nudo straiato ( con le mani giunte) che incontriamo in questa occasione.


Intanto Modigliani continua la sua raffinata deformazione delle figure che si estendono verso l’alto. Hanno spesso gli occhi vuoti, senza pupille, come fossero composti di una sostanza liquida, il più delle volte chiara. Il loro è uno strano sguardo, concentrato verso l’interno e non rivolto all’esterno.

Il fondo, le vesti dei personaggi sono spesso trattati con una pittura stesa in modo febbrile, mentre la figura è quasi sempre inquadrata frontalmente. C’è il pittore Soutine, il mercante Paul Guillaume dall’aria inafferrabile. E poi c’è il volto struggente di Jeanne Hébuterne, la giovane pittrice, il suo ultimo amore. Alla morte di Amedeo si butta dalla finestra incinta del loro secondo figlio. Alimentando un dramma tutto da romanzare.

La Repubblica – 6 ottobre 2014

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