27 novembre 2014

SADE: UN IRONICO LIBERTINO



Appaiono finalmente in traduzione italiana i racconti di Sade, ritrovati e pubblicati nel 1926 dai surrealisti

Chiara Pasetti

Sapeva anche essere tenero

Il conte Donatien-Alphonse-François de Sade (1740-1814), conosciuto anche con il soprannome attribuitogli dagli scrittori decadenti della fine del XIX secolo di «divin marchese», è stato uno dei protagonisti sotterranei della vita letteraria dell'Ottocento. Le sue opere, benché circolassero clandestinamente (e nelle biblioteche fossero à l'enfer, ossia non consultabili) a causa dei crimini commessi dai suoi personaggi, che l'opinione pubblica attribuiva, a torto, a lui, vennero lette con grande attenzione dagli autori di quel secolo, su cui ebbero una forte influenza; in particolare, da Baudelaire e Flaubert, il quale dichiarava di voler tenere sul comodino dei suoi ospiti tutti i libri del «grande Sade», e da «pensatore e demoralizzatore» quale era ne apprezzava moltissimo il pessimismo totale («un po' rancoroso come quello di tutti i moralisti», secondo il giudizio di Antonio Veneziani), condito da sagacia, ironia e da una vena iconoclasta particolarmente vivida, e invitava gli amici a essere come il marchese, «filosofi e uomini di spirito».

In occasione dell'anniversario della sua morte, avvenuta duecento anni fa nel ricovero per malati mentali di Charenton in cui era rinchiuso dal 1803, esce ora una sua raccolta di Storielle (tratte da Historiettes, Contes et Fabliaux), per molto tempo passate sotto silenzio; ritrovate e pubblicate postume nel 1926 a cura di Maurice Heine, che come tutti i surrealisti ne apprezzava lo spirito di rivolta contro ogni forma di tirannia, vennero composte in carcere nel 1788 come molte altre sue opere, tra cui le ben più celebri Cent Vingt Journées de Sodome.

Come scrive il curatore Veneziani, sono dodici raccontini che costituiscono delle «piccole perle, ora divertenti, ora sognanti, sapide e liberatorie», che sfatano il giudizio negativo spesso attribuito al suo stile di scrittura, definito da molti critici sciatto e ripetitivo. Qui de Sade dà prova di una narrazione raffinata e pulita, che coinvolge il lettore per l'originalità delle vicende e per i guizzi improvvisi. Ma soprattutto, queste Storielle mostrano un altro volto dell'autore «nero e terribile».

Il torbido sensualismo presente nei testi più noti, la sessualità perversa, le oscenità e le prosperità del vizio, la stravaganza morbosa e l'atmosfera sulfurea e malata, da «tenebroso harem di larve crudeli», tutti «fiori del male» dell'«atroce e sanguinoso bestemmiatore», lasciano qui il posto a una spassosa leggerezza, che si compiace del piacere di scrivere e di divertire, e che rispetta tutti i gusti e le fantasie, anche quelle più bizzarre, perché trova che siano originate «da un principio di delicatezza».

La frenesia di Justine, i personaggi femminili e maschili tormentati e viziosi, tragici e delittuosi, qui non trovano spazio, e de Sade si concede una promenade più rilassata e, appunto, delicata, che incontra vescovi impantanati e cocchieri costretti alla bestemmia, istitutori trasgressivi e allievi ingenui, verginelle istruite alla virtù che istigano invece perversioni di mariti libidinosi, e "maisons de passe" dove si godono senza pericolo «i piaceri della voluttà».

Il tutto condotto da una vena beffarda che serpeggia in ogni storia, e che richiama alla mente il giudizio di Apollinaire sul divin marchese, «lo spirito più libero che sia mai esistito a tutt'oggi», un ironico libertino che, come lui stesso aveva confessato, ha concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito (e non solo!), ma... «non ho mai fatto tutto quello che ho concepito e mai lo farò». Gli crediamo?

Il Sole 24 Ore – 23 novembre 2014


D. A. F. Sade,
Storielle
Elliot, 2014

8,50

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