15 novembre 2014

W. BENJAMIN: UN ALTRO GRANDE ERETICO TRAVISATO




Il Manifesto di oggi pubblica uno scritto di Walter Benjamin che doveva essere inserito ne «L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica». Ma era stato poi tolto, fino a comparire come testo a se stante nell’edizione completa delle opere in Germania e Italia. La sua lettura conferma ciò che molti studiosi hanno sempre negato: il marxismo, seppur eterodosso, del suo autore. Il testo di W. Benjamin l'abbiamo già pubblicato qualche ora fa.

Fabrizio Denunzio

Walter Benjamin. La nota rimossa

L’articolo di Wal­ter Ben­ja­min, che qui pre­sen­tiamo ai let­tori e alle let­trici de «il mani­fe­sto», in realtà è una lunga nota che com­pare nella prima ver­sione dat­ti­lo­scritta de L’opera d’arte nell’epoca della sua ripro­du­ci­bi­lità tec­nica. Bat­tuto tra la fine del 1935 e gli inizi del feb­braio 1936, il dat­ti­lo­scritto fu ritro­vato nell’Archivio Hor­khei­mer – biblio­teca dell’Università di Fran­co­forte – negli anni Ottanta del secolo scorso e poi pub­bli­cato, nel 1989, nel volume VII dell’edizione tede­sca delle opere com­plete di Benjamin.

La rico­stru­zione filo­lo­gica com­pleta del sag­gio con il suo rela­tivo tor­men­ta­tis­simo destino edi­to­riale è cosa molto com­plessa, da addetti ai lavori. Per farla breve si dirà sol­tanto che la ver­sione de L’opera d’arte in cui com­pare que­sta nota è molto diversa da quella «clas­sica», tra­dotta per Einaudi nel 1966 da Enrico Filip­pini e pre­sen­tata ai let­tori da Cesare Cases. Que­sta si basava a sua volta su ciò che il testo era diven­tato tra le mani del filo­sofo tede­sco fino al 1939 e che i coniugi Adorno ave­vano inse­rito nella prima rac­colta di scritti ben­ja­mi­niani uscita nel 1955. Iro­nia del caso volle che solo una ver­sione fran­cese vedesse la luce vivo Ben­ja­min, quella uscita nel mag­gio del 1936 sulla rivi­sta dell’Istituto di Fran­co­forte nella tra­du­zione d’autore di Pierre Klossowski.

A par­tire dal 2011 si sono suc­ce­dute una serie di edi­zioni di que­sta prima ver­sione dat­ti­lo­scritta de L’opera d’arte. Da segna­lare quelle pre­ge­voli di Andrea Pinotti e Anto­nio Somaini nel volume a loro cura W. Ben­ja­min, Aura e choc. Saggi sulla teo­ria dei media (Einaudi, pp. 421, euro 25), e quella, altret­tanto pre­ziosa, di Giu­lio Schia­voni in Wal­ter Ben­ja­min, L’opera d’arte nell’epoca della sua ripro­du­ci­bi­lità tec­nica e altri saggi sui media (Riz­zoli, pp. 239, euro 11). Prima di que­ste, essa gia­ceva dimen­ti­cata nel volume VI dell’edizione ita­liana delle Opere com­plete di Ben­ja­min, pub­bli­cato da Einaudi nel 2004.



L’ADESIONE AL MARXISMO

Si chie­derà per­ché tanti ben­ja­mi­niani ita­liani, e tra i più impor­tanti, abbiano aspet­tato più di vent’anni dall’edizione tede­sca, che così bene cono­scono, prima di met­tere mano a un’operazione edi­to­riale di que­sta por­tata. Si rispon­derà che il comu­ni­smo doveva essere stato ben rele­gato nel retro­scena della Sto­ria dalla con­trof­fen­siva neo­li­be­ri­sta, prima di offrire ai let­tori la ver­sione de L’opera d’arte in cui, per chi non lo avesse mai capito o voluto accet­tare, Ben­ja­min non fa altro che dimo­strare la sua mili­tanza nelle fila del mar­xi­smo. Si dirà, allora, che que­sto ritardo non è casuale, è dipeso da quel blocco cul­tu­rale di matrice filo­so­fica, fun­zio­nale alle stra­te­gie rifor­mi­ste del vec­chio Pci, che impe­gnò, agli inizi degli anni Ottanta del Nove­cento, le migliori «menti» e i migliori «cuori» di una gene­ra­zione per reci­dere ogni legame tra Ben­ja­min e la tra­di­zione mar­xi­sta, pun­tando ora sul pen­siero della crisi, ora sull’estetica, ora sulla morale, ora sul lin­guag­gio, ora sull’ebraismo, ora sulla let­te­ra­tura, ora sulla spi­ri­tua­lità. Come si vedrà leg­gendo que­sto arti­colo, l’unico ter­reno su cui Ben­ja­min accetti di ingag­giare bat­ta­glia, è quello politico.

Non è un caso che un con­tro­verso mate­ria­li­sta sto­rico del cali­bro di Adorno rite­nesse que­sta nota, come scrive in una let­tera del 18 marzo 1936, degna di stare accanto a Stato e rivo­lu­zione. In realtà, non è a Lenin che biso­gna rife­rirsi – sarebbe inor­ri­dito davanti a quello shock che spon­ta­nea­mente tra­sforma una massa in un insieme di qua­dri dotati di coscienza – quanto piut­to­sto a Rosa Luxem­burg che in quello stesso shock avrebbe visto la scin­tilla che tra­scina e tra­sforma nel corso della lotta que­gli strati pro­le­tari privi di coscienza di classe, ma forti di dispo­si­zione rivo­lu­zio­na­ria. Detta altri­menti, Scio­pero di massa con­tro Stato e rivo­lu­zione, per que­sto la dodi­ce­sima delle Tesi sul con­cetto di sto­ria è dedi­cata alla Lega di Spartaco.

Que­sto ritorno in forza su L’opera d’arte, allora, è tanto il segno evi­dente di un senso di colpa «scien­ti­fico» per aver così lun­ga­mente tra­scu­rato un testo così impor­tante, quanto quello di una cat­tiva coscienza che, pur sapendo di aver sba­gliato, con­ti­nua ad indu­giare nel suo errore e a riven­di­care ora al pen­siero della crisi ora all’estetica e così via, il senso «auten­tico» del sag­gio ben­ja­mi­niano. In breve, nelle nuove edi­zioni de L’opera d’arte, viene riba­dita l’estraneità dell’autore dal marxismo.



ATTUA­LITÀ CONTINGENTI

Que­sta lunga nota, però, ha valore di lap­sus e spetta al pen­siero comu­ni­sta far­sene carico. Se c’è un campo di forze in cui que­sto arti­colo si inse­ri­sce spon­ta­nea­mente, è quello rap­pre­sen­tato dal dibat­tito attual­mente in corso nella Cgil sui temi dell’organizzazione. Nella rela­zione intro­dut­tiva ai lavori del semi­na­rio svol­tosi il 30 set­tem­bre nella sede della Cgil Roma – Lazio, Erne­sto Roc­chi ha pre­ci­sato due punti molto impor­tanti: la soli­da­rietà come valore fon­dante del sin­da­cato e la neces­sità di nuove forme di pro­se­li­ti­smo capaci di «fare» aggre­ga­zione col­let­tiva, a fronte di una crisi di iden­ti­fi­ca­zione nel lavoro come ideale condiviso.

Se, come auspica Roc­chi, le camere del lavoro (nobile organo del sin­da­cato) doves­sero dav­vero tor­nare ad aprire le loro porte alla società – ricon­fi­gu­rando così il gram­sciano dalla classe al popolo – e que­sto in nome di quella soli­da­rietà che dovrebbe legare tutti i lavo­ra­tori e le lavo­ra­trici della terra, allora, che que­sta soli­da­rietà non smetta di essere intesa in senso ben­ja­mi­niano, ossia come stru­mento che sciolga la com­patta indif­fe­renza della massa e in quanto nuova leva di for­ma­zione per la coscienza e lotta di classe.

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