07 febbraio 2022

PRINCIPIO e FINE. La grande accelerazione

 


La grande accelerazione

Alberto Castagnola
07 Febbraio 2022

Nella seconda parte della sua ampia rilettura del libro di Ian Angus “Anthropocene, capitalismo fossile e crisi del sistema Terra” (trovate qui la prima parte), Alberto Castagnola ricorda come il direttore della rivista ecosocialista Climate and Capitalism fornisca una accurata descrizione delle successive evoluzioni del termine Antropocene, che si cercava di far uscire da una veste informale per farlo diventare una vera e propria epoca accettata nelle classificazioni formalizzate dei geologi. Si dovevano dimostrare i cambiamenti molto rilevanti nel sistema Terra, con le relative prove geologiche e precisare quando si è verificato il passaggio tra l’Olocene e la nuova epoca, indicando o uno specifico marcatore stratigrafico, chiamato “chiodo d’oro” (golden spike) o una specifica data…

In questo  secondo articolo, sempre riferito al volume di Ian Angus, Anthropocene, edito da Asterios, tentiamo di sintetizzare le parti del testo che tracciano dalla sua nascita questa nuova visione del sistema Terra, cercando di non dimenticare nessuno di coloro che hanno contribuito alla sua ideazione e alle sue successive elaborazioni, tra polemiche, critiche e molti entusiasmi.

In passato il termine era stato coniato alcune volte ma senza avere successivi sviluppi. In particolare, nel 1922 il geologo sovietico A.P. Pavlov propose il termine per indicare l’arco di tempo dalla comparsa dei primi uomini anatomicamente moderni, circa centosessantamila anni fa, ma il termine non venne accettato al di fuori della Russia. Negli anni Ottanta, il biologo marino Eugene Stoermer utilizzò il termine in sue pubblicazioni ma il suggerimento non venne raccolto.

Fu il chimico atmosferico Paul J. Crutzen che reinventò il termine nel febbraio del 2000 in un suo intervento nel convegno dell’IGBP, il programma internazionale sulla geosfera e la biosfera, tenuto a Cuernavaca, in Messico. Data la sua grande e meritata notorietà, derivante dai suoi numerosi studi sulle fasi più recenti attraversate dal pianeta, il termine – e i concetti su cui esso si fondava – divennero parte delle analisi e dei processi che molti esperti stavano ormai studiando in molte parti del mondo. In un successivo articolo venne così descritto dallo stesso Crutzen: “Il termine Anthropocene suggerisce che la Terra sta al momento abbandonando la sua naturale epoca geologica, il presente stadio interglaciale chiamato Olocene. Le attività umane sono diventate così pervasive e profonde da rivaleggiare con le grandi forze della natura e stanno spingendo l’intero pianeta nella direzione di una globale terra incognita.

Il nostro pianeta sta rapidamente perdendo la sua biodiversità, la sua vegetazione, sarà molto più caldo e probabilmente più umido e tempestoso” (pag. 58) Queste parole scritte parecchi anni fa sono state ampiamente confermate dagli eventi climatici successivi e che tendono a diventare ancora “più estremi”, ma finora pochissimi ambiti governativi hanno accettato un mutamente così profondo della visione del pianeta. Sono invece rapidamente aumentati gli scienziati che studiavano la Terra come sistema complesso integrato; inoltre dagli anni ’80 iniziavano ad essere disponibili i dati rilevati dai satelliti  ed emergevano ulteriori elementi che confermavano la nuova visione e quantificavano i molteplici danni causate alla intera natura dalle attività umane.

A metà degli anni ’80, diversi congressi scientifici sottolinearono la necessità di avviare e realizzare ampi programmi di ricerche su tutti i processi del pianeta che risultavano gravemente danneggiati o minacciati dalle attività umana.

E nel 1986 l’ICSU, International Council for Scientific Unions avviò l’IGBP, il Programma Internazionale Biosfera-Geosfera, che a metà degli anni ’90 coordinava ormai molte decine di progetti e il lavoro di molte migliaia di scienziati e fu all’interno di uno dei suoi congressi che nel 2000 Crutzen fece emergere la definizione dell’Antropocene, che quindi si basava già sulla massa di ricerche che era stata svolta in modo coordinato da almeno quindici anni. (pag. 62-63).

Ma fu ad Amsterdam, nel luglio 2001, in un altro dei congressi dell’IGBP, organizzato insieme a tre altre  grandi organizzazioni di ricerca internazionali, che venne distribuito un fascicolo di 32 pagine (che in seguito diventò un libro di 350 pagine), intitolato “Il cambiamento globale e il Sistema Terra: un Pianeta sotto pressione”, che includeva un capitolo su “L’ Era dell’Anthropocene” (pag.64).

Tuttavia il termine non si trova nel documento finale della conferenza, Dichiarazione sul Cambiamento Globale, pur affermando   che “il sistema terrestre si è mosso ben al di fuori del campo di variabilità naturale esibito nell’ultimo mezzo milione di anni almeno” e che ” la Terra sta attualmente operando in uno stato senza precedenti”, il documento non menziona una nuova era geologica nè usa la parola Antropocene. (pag. 65)

Invece Paul Crutzen ha presentato un articolo più incisivo su Nature nel gennaio 2002, nel quale si sostiene specificamente che era iniziata una nuova era geologica e si elencavano le attività umane che stavano cambiando la  faccia della Terra e soprattutto si prevedeva un aumento del riscaldamento globale per tutto il secolo in corso, causato fra l’altro solo da meno di un quarto della popolazione mondiale. Nel frattempo un gruppo di undici scienziati, guidato da Will Steffen, stava completando il libro di notevoli dimensioni (già citato) che venne pubblicato nel 2004 e che rimane il testo essenziale per chiunque voglia conoscere gli elementi costitutivi di una nuova epoca (pag. 66-67).

Questo gruppo, durante i suoi lavori per il Global Change and the Earth System, decise di elaborare una serie di indici relativi ai principali fenomeni in corso tra il 1750 fino al 2000. Questo complesso di dati rivelò un fatto di estrema importanza: le curve mostravano una graduale tendenza alla crescita a partire dall’anno 1750, per poi evidenziare  un incremento repentino a partire dal 1950 circa. E quindi gli ultimi 50 anni del secolo hanno visto la trasformazione più rapida e radicale del rapporto tra genere umano e la natura. (pag. 69-70)

Mentre l’IGBP procedeva alla pubblicazione del suo rapporto, un altro progetto scientifico globale veniva terminato. Il Millennium Ecosystem Assessement  (MEA), coordinato dal Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite, aveva infatti lanciato nel 2001 un altro tentativo di raccogliere e confrontare tutte le conoscenze scientifiche autorevoli relative ai cambiamenti degli ecosistemi mondiali, dell’ambiente e delle attività di sussistenza umana.

Tra il 2004 e il 2005 vennero resi pubblici sette rapporti sintetici, quattro volumi tecnici e numerosi altri materiali di documentazione, che erano il risultato dei lavori di oltre 1400 scienziati. A conclusione di questo grande sforzo conoscitivo il MEA nel marzo 2005 affermò che “Nella storia umana nessun periodo ha registrato una perturbazione del meccanismo biologico del pianeta su una scala comparabile a quella alla quale abbiamo assistito nella seconda metà del ventesimo secolo” (pag.70-73) A questo periodo venne dato un nome,  “La Grande Accelerazione”, che con ogni probabilità è ancora in atto ai nostri giorni, ma che incontra molte difficoltà ad essere accettata a livello della stragrande maggioranza dei governi, in particolare da quelli responsabili dei principali inquinamenti e delle più drammatiche distruzioni.

Nel primo resoconto sulla Grande Accelerazione, pubblicato nel 2007 su una rivista che ne aveva verificato la validità scientifica, da Steffen e altri,  si sosteneva che l’Antropocene si fosse sviluppato in due fasi distinte. La prima, quella dell’era industriale, andava dall’inizio del 1800 al 1945, durante la quale la Co2 atmosferica ha superato il limite superiore di variazione dell’Olocene; una seconda fase, quella della Grande Accelerazione, dal 1945 fino ai giorni nostri, in cui è iniziata la trasformazione più rapida e pervasiva nel rapporto tra essere umani e ambiente.

A tale proposito, è interessante rilevare che gli autori, con un ottimismo che si sta rivelando sicuramente eccessivo, prevedevano anche una terza fase che avrebbe dovuto iniziare nel 2015, quella degli “Amministratori della Terra”, cioè un comportamento da parte dell’umanità  di completa tutela dei fenomeni climatici e di modifica sostanziale di tutti i meccanismi dannosi per la natura.

Oggi sappiamo quanto gravi siano i ritardi o il totale disinteresse verso questi temi, specie da parte dei paesi maggiori inquinatori, e quanto cadano nel vuoto i pochi messaggi a livello internazionale diretti ad una assunzione globale di una responsabilità esplicita in materia. (pag. 73)

Il termine “Grande Accelerazione” viene molto spesso utilizzato per indicare il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, però il modello in due fasi di Crutzen e di Steffen non è sopravvissuto. Invece sono stati più volte aggiornati i dati relativi ai principali processi in corso, evidenziando anche altri fenomeni, quasi tutti negativi in fase di emersione in tutto il periodo. (pag.74)

Nel gennaio 2015 Steffen e altri ricercatori associati all’IGBP e allo Stockholm Resilience Center, hanno elaborato una serie di dati che arrivavano al 2010, per mostrare quella che hanno definito “la traiettoria dell’Antropocene”. Tutte le curve risultano in aumento, tranne due che in realtà quantificano fenomeni molto gravi. La prima riguarda la perdita dell’ozono atmosferico, probabilmente a seguito di un trattato internazionale che cercava di prevenire i “buchi” nella fascia di ozono che difende la terra dai raggi del sole; la seconda la pesca marittima, che in realtà misura il progressivo esaurimento della presenza di pesci negli oceani, e quindi non si tratta certo di fenomeni positivi.

Inoltre gli autori erano coscienti del fatto che i dati utilizzati avrebbero dovuto essere molto più disaggregati (ad esempio per paesi o gruppi di paesi, o addirittura all’interno dei paesi per classi sociali). E in effetti  Angus, in una apposita appendice (pag. 263) dà alcune risposte a queste critiche.

Nelle volume, Angus fornisce una accurata descrizione delle successive evoluzioni del termine Antropocene, che si cercava di far uscire dalla sua veste informale per farlo diventare una epoca accettata nelle classificazioni formalizzate dei geologi. In primo luogo, la Commissione Internazionale sulla Stratigrafia, ICS, che è il comitato dell’Unione Internazionale delle Scienze Geologiche, IUGS, ha chiesto che venisse costituito un apposito gruppo di lavoro sull’Antropocene, AWG, per studiare e riferire se fosse opportuno definire l’Antropocene una nuova epoca geologica.

Doveva cioè dimostrare che ci siano stati cammbiamenti molto rilevanti nel sistema Terra, con le relative prove geologiche, e nel caso, precisare quando si è verificato il passaggio tra l’Olocene e la nuova epoca, indicando o uno specifico marcatore stratigrafico, chiamato “chiodo d’oro” (golden spike) o una specifica data, o ambedue. Il gruppo di lavoro si era proposto di termnare i suoi lavori entro il 2016; in pratica, sembra che solo il 21 maggio 2019 ha definito formalmente l’Antropocene come una distinta unità cronostratigrafica. Si attendono però i pareri degli altri istituti di ricerca. (pag. 83)

Il testo di Angus riporta poi  una serie di proposte alternative sempre relative all’idea di un Antropocene, emerse nel corso degli anni e le divide in due gruppi, il primo relativo all’inizio del periodo, il secondo relativo ad un “recente Antropocene”, il nome è piaciuto, ma i suoi contenuti variano moltissimo. Le posizioni emerse raccolte nel primo gruppo sono le seguenti:

  • Un geologo, Ruddiman, sostiene che ebbe inizio tra  ottomila e cinquemila anni fa, quando iniziarono le attività agricole, quando cioè le prime emissioni di anidride carbonica impedirono una nuova era glaciale;
  • Altri suggeriscono di datare l’inizio dalla sparizione dei grandi mammiferi,
  • una terza proposta indica come data il 1610, basandola sugli scambi di specie che seguirono l’invasione delle Americhe da parte degli europei;
  • Alcuni archeologi propongono di estendere l’inizio fino alle prime tracce dell’attività umana, il che includerebbe gran parte del Pleistocene;
  • Altri, infine, hanno proposto che l’intero Olocene dovrebbe essere ridenominato Antropocene, perchè è il periodo in cui sono apparsi i primi insediamenti tipici della civiltà umana.

Questi suggerimenti però sembrano tutti riferirsi all’impatto dell’uomo sul pianeta, mentre il concetto di Antropocene si riferisce alla capacità delle attività umane di incidere sui processi che regolano l’evoluzione geologica del pianeta. (pag.84)

Il noto climatologo James Hansen infatti scrive: “Anche se l’Anthropocene ha avuto inizio millenni fa, una fase fondamentalmente diversa, una iper-Anthropocene, è stata innescata da una crescita esponenziale nell’uso di combustibili fossili nel corso del ventesimo secolo. Le forze climatiche di origine antropica adesso superano le forze naturali” (pag.85) Conservatori e antiambientalisti, inoltre, preferiscono descrivere una lenta trasformazione, durata millenni, delle attività umane, senza evidenziare meccanismi come la crescita rapidissima dell’uso dei combustibili fossili, poichè questa visione “edulcorata” permette di suggerire cambiamenti graduali dei danni ambientali, che non mettono in discusssione il sistema economico dominante. (pag.86)

La seconda serie di suggerimenti, sempre secondo Angus, riguarda un possibile, secondo Antropocene e vede in prima fila due articoli (gennaio 2015 e gennai 2016), scritti da una parte consistentie del gruppo di lavoro. Il titolo del secondo era inquivocabile: “L’Anthropocene è funzionalmente e stratigraficamente distinto dall’Olocene” e nel testo si parla di “una transizione radicale da un mondo ad un altro, che giustifica il fatto di essere chiamato epoca” e si riportano le principali differenze con l’Olocene, concentrazione della Co2 nell’atmosfera, le temperature medie in aumento, il livello medio dei mari al suo massimo da 115mila anni, il tasso di estinzione delle specie.

E così via. In particolare, c’è una osservazione spaventosa: “Anche se i livelli di emissioni climalteranti sarà ridotto, nel 2070 la Terra sarà più calda di quanto lo sia stata negli ultimi 125mila anni” e la nostra specie è apparsa 200mila anni fa. (pag. 87-88)

Infine, per quanto riguarda l’inizio della nuova epoca, gli autori concordano sulla metà del ventesimo secolo, e come date indicano anni compresi tra il 1945 e il 1964, mentre per quanto riguarda le classifiche geologiche non insistono particolarmente, anche perchè ormai il termine Antropocene è  largamente conosciuto ed usato. (pag.89)

Nessun commento:

Posta un commento