05 aprile 2022

LA RESISTENZA NONVIOLENTA DI B. RUSSELL

 

Disegno di Mauro Biani, tratto da Azione nonviolenta

 Disegno di Mauro Biani, tratto da Azione nonviolenta


Guerra e non-resistenza

   Bertrand Russell
05 Aprile 2022


Articolo ripreso da https://comune-info.net/bertrand-russell-guerra-e-non-resistenza/

In queste settimane, nei vari interventi, comunicati e scritti pacifisti sull’efficacia della resistenza nonviolenta, ritornano gli esempi tratti dall’esperienza storica e i riferimenti ai grandi maestri della nonviolenza e alle loro opere: Tolstoj, Gandhi, Capitini. Molti altri autori e autrici possono essere ricordati per le loro riflessioni sulla resistenza civile nonviolenta. In questa pagina, alcuni brani salienti di un articolo di Bertrand Russell (1872-1970), War and Non-Resistance (lo scritto fu pubblicato per la prima volta nell’agosto 1915 sulla rivista Atlantic Monthly e nel 1916 fu incluso nella raccolta dal titolo Justice in War-Time, Chicago-London 1916, pp. 40-59, ora si può leggere su fair-use.org): era trascorso esattamente un anno dall’agosto 1914, quando la violazione della neutralità del Belgio e del diritto internazionale da parte della Germania aveva indotto la Gran Bretagna a intervenire. Da allora il conflitto si era esteso, la violenza si era intensificata ed era ormai chiaro che la guerra sarebbe stata estremamente sanguinosa e sarebbe durata a lungo. In questo articolo Bertrand Russell afferma che disarmo unilaterale e resistenza nonviolenta avrebbero potuto evitare la guerra o ridurne distruttività. Pur prendendo le distanze dal pacifismo assoluto e considerando ammissibile la violenza da parte di un organismo sovranazionale – in cui molti pacifisti allora riponevano le loro speranze – Russell concludeva il suo articolo con queste parole: “La guerra finirà solo e dopo un grande impegno per cambiare gli ideali morali dell’umanità, indirizzandoli verso il bene di tutto il genere umano e non solo in quello di nazioni separate in cui a ciascuno è capitato di venire al mondo”.

[B.B.]

***

Si dà per scontato che una nazione che non si oppone alla forza con la forza debba essere mossa da viltà, e debba perdere tutto ciò che di prezioso c’è nella sua civiltà. Entrambe queste supposizioni sono illusorie. Opporsi alla forza con la disobbedienza passiva richiede più coraggio e molto probabilmente conserverebbe gli aspetti migliori della vita nazionale. E inoltre sarebbe più efficace nello scoraggiare l’uso della forza. Sarebbe la via della saggezza pratica se gli uomini fossero indotti a credervi. Ma temo che essi siano troppo legati alla convinzione che il patriottismo è una virtù e troppo smaniosi di dimostrare la propria superiorità agli altri in un contesto di forza. […]

Immaginiamo che dopo una generazione di educazione nei principi della resistenza passiva come difesa migliore dalla guerra, l’Inghilterra sciolga il suo esercito e la sua marina. Supponiamo che allo stesso tempo l’Inghilterra annunci pubblicamente che non si opporrà con le armi a un invasore, che tutti possono entrare liberamente nel paese, ma che non sarà data alcuna obbedienza ad alcun ordine che un’autorità straniera potrebbe emanare. Cosa accadrebbe in questo caso?

Supponiamo, per continuare il ragionamento, che il governo tedesco desideri trarre vantaggio dalla condizione indifesa dell’Inghilterra. Dovrebbe affrontare, all’inizio, l’opposizione in Germania da parte di chiunque non fosse assolutamente brutale, dal momento che non si potrebbe trovare alcun mantello per coprire la nudità dell’aggressione. Tutti i paesi civili, quando intraprendono una guerra trovano qualche scusa dignitosa: essi combattono, quasi sempre, o per autodifesa o in difesa dei deboli. Nessuna scusa potrebbe essere avanzata in questo caso. Non si potrebbe più dire, come stanno dicendo ora i tedeschi, che il predominio navale dell’Inghilterra mantiene le altre nazioni in condizioni di schiavitù e minaccia l’esistenza stessa delle nazioni che dipendono dall’importazione alimentare. Non si potrebbe dire che stiamo opprimendo l’India perché l’India potrebbe separarsi dall’impero in qualsiasi momento. […]

Se l’Inghilterra non avesse né esercito né marina, i tedeschi avrebbero difficoltà a trovare un pretesto per l’invasione. Tutti i liberali in Germania si opporrebbero ad un’impresa simile; e altrettanto farebbero le altre nazioni, a meno che la Germania non offrisse loro una parte del bottino. Ma supponiamo che si vinca tutta l’opposizione interna e che una forza militare sia inviata in Inghilterra per occupare il paese. Questa forza, poiché non troverebbe opposizione militare, non avrebbe bisogno di essere grande e non ci sarebbe quello stato d’animo di paura e ferocia insieme che caratterizza un esercito invasore tra una popolazione ostile. Non ci sarebbe difficoltà a mantenere la disciplina militare e nessuna occasione per stupri e rapine che si sono sempre manifestate tra le truppe dopo una vittoria in battaglia. Non ci sarebbe gloria da acquisire né croci di ferro da guadagnare. I tedeschi non potrebbero vantarsi della loro prodezza militare o immaginare di stare manifestando l’austera abnegazione che si crede debba essere dimostrata dalla volontà di morire in battaglia. Per la mentalità militare, l’intera spedizione sarebbe ridicola, indurrebbe un sentimento di vergogna e non di orgoglio. Forse si dovranno dare dei ceffoni a qualche impudente ragazzo di strada, ma non ci sarebbe nulla che conferisse dignità alla spedizione.

Tuttavia, supporremo che l’esercito invasore arrivi a Londra, dove caccerebbe da Buckingham Palace il re e dalla Camera dei Comuni i parlamentari. […] Non ci sarebbe alcuna difficoltà nel gestire una nazione così docile e all’inizio quasi tutti i pubblici ufficiali sarebbero confermati nei loro ruoli. Infatti, il governo di un grande stato moderno è una faccenda complicata e sarebbe saggio facilitare la transizione con l’aiuto di uomini che hanno familiarità con la struttura esistente.

Ma a questo punto, se la nazione dimostrasse lo stesso coraggio che ha sempre dimostrato in battaglia, inizierebbero le difficoltà. Tutti i pubblici ufficiali rifiuterebbero di collaborare con i tedeschi. Alcuni tra i più influenti sarebbero imprigionati, forse anche fucilati per spingere gli altri. Ma se questi resistessero e si rifiutassero di riconoscere o trasmettere gli ordini […] dovrebbero essere tutti licenziati, sino al più umile postino […]. E sarebbe molto difficile per i tedeschi creare immediatamente dal nulla una macchina amministrativa. Qualsiasi editto volessero proclamare sarebbe tranquillamente ignorato dalla popolazione. Se ordinassero che il tedesco dovesse essere la lingua insegnata nelle scuole, i maestri continuerebbero come se non ci fosse stato alcun ordine; se i maestri fossero licenziati, i genitori non manderebbero più i bambini a scuola. Se ordinassero che i giovani inglesi dovessero prestare servizio militare, quei giovani semplicemente si rifiuterebbero; dopo averne fucilati alcuni, i tedeschi sarebbero costretti ad abbandonare l’impresa disperata. Se tentassero di riscuotere le tasse doganali, dovrebbero avere doganieri tedeschi; ciò condurrebbe a uno sciopero di tutti i lavoratori del porto, così che questo sistema di riscossione tributaria diverrebbe impossibile. Se tentassero di impadronirsi delle ferrovie, ci sarebbe uno sciopero dei ferrovieri. Qualsiasi cosa toccassero si paralizzerebbe immediatamente e sarebbe subito evidente, anche a loro che niente si potrebbe trarre dall’Inghilterra senza conciliarsi la popolazione.

Un tale modo di affrontare l’invasione, naturalmente, richiederebbe forza d’animo e disciplina. Ma la forza d’animo e la disciplina sono richieste in guerra. Per secoli l’educazione è stata ampiamente indirizzata a formare queste qualità in funzione della guerra. Ora esse sono così diffuse che in ogni paese civile ogni uomo è pronto a morire in battaglia in qualsiasi momento il governo lo richieda. Lo stesso coraggio e idealismo che ora sono riposti nella guerra possono facilmente essere indirizzati con l’educazione verso la resistenza passiva. Non so quante perdite l’Inghilterra potrebbe subire prima che la guerra sia conclusa, ma se ammontassero a un milione nessuno se ne stupirebbe. Un numero immensamente minore di perdite con la resistenza passiva proverebbe a ogni esercito invasore che il compito di soggiogare l’Inghilterra al dominio straniero sarebbe impossibile. E questa dimostrazione sarebbe fatta una volta per tutte, indipendentemente dagli incerti eventi di guerra. […]

È la viltà che rende difficile affrontare un’invasione con il metodo della resistenza passiva. Una pratica efficace di questo metodo richiede più coraggio e più disciplina dell’affrontare la morte nel fervore della battaglia […]. È la viltà che induce a preferire il vecchio metodo di cercare di essere più forte dell’avversario (in cui solo una parte può vincere) piuttosto di un nuovo metodo che richiede immaginazione e revisione dei criteri di giudizio tradizionali. Eppure, se gli uomini potessero pensare al di fuori dei logori solchi, ci sono molti semplici fatti che dimostrano la follia del modo convenzionale di governare. Perché la Germania ha invaso la Francia? Perché i francesi hanno un esercito. Perché l’Inghilterra ha attaccato la Germania? Perché i tedeschi hanno una marina. Eppure le persone persistono nella convinzione che l’esercito francese e la marina tedesca contribuiscono alla sicurezza nazionale. Niente può essere più ovvio dei fatti; niente può essere più universale della cecità umana di fronte ad essi. […]

La resistenza passiva, se fosse adottata deliberatamente dalla volontà di una intera nazione con lo stesso coraggio e la stessa disciplina che oggi si manifesta nella guerra potrebbe raggiungere una protezione di ciò che c’è di buono nella vita nazionale che eserciti e marine non potrebbero mai raggiungere, senza richiedere il coraggio, le perdite e l’immensa brutalità implicate nella guerra moderna.

(Traduzione per Comune-info di Bruna Bianchi).


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