06 aprile 2022

NON SMETTERE DI PENSARE

 


Non smettiamo di pensare

Enrico Euli

06 Aprile 2022

da  https://comune-info.net/non-smettiamo-di-pensare/


Mentre assistiamo impotenti al disastro in corso, non dovremmo smettere di pensare a quel che potrebbe avvenire – contro tutti noi – nel prossimo futuro. I nuovi pontificanti esperti sul virus della guerra potrebbero finalmente riflettere sui troppi, gravissimi fattori di escalation in corso, provocati dalle scelte di entrambe le parti nel tempo: episodi d’attacco al di fuori del territorio ucraino (come già accaduto a Belgorod, in Russia, o come potrebbe accadere in territorio polacco o rumeno, per errore o per scelta deliberata); prolungamento, intensificazione e brutalizzazione ulteriore del conflitto armato (genocidi, stragi, pogrom e pulizie etniche, rastrellamenti e trasferimenti forzati detentivi…); catastrofi radioattive nei pressi di centrali nucleari ucraine (forse già in corso, ma sottaciuta, a Cernobyl); aumento reciproco delle sanzioni, sino alla crisi economica, energetica, alimentare di una o di entrambe le parti (Russia e Occidente); attentati terroristici ed hackeraggi di stato contro paesi Nato o contro la Russia con conseguenti paralisi elettriche, elettroniche, informatiche di una o entrambe le parti; presunte prove sullo stoccaggio di armi di distruzione di massa non convenzionali, batteriologiche e chimiche quale giustificazione per un attacco, come già accaduto in Iraq.

Quando una di questi fatti accadrà e farà espandere la guerra, anche coinvolgendoci direttamente, gli attuali sicofanti accentueranno ulteriormente la loro propaganda, spacciandola per storia o giornalismoLa pandemia stava dentro quella che chiamavamo “salute”. Così la guerra sta dentro quella che chiamavamo “pace”. E la catastrofe climatica sta dentro quella che chiamiamo “economia”. Se non cambiamo premesse su ciò che riteniamo “bene”, avremo il “male”.

Se non immagineremo l’impensabile, accadrà il già pensato, il già visto, già temuto, già sofferto. O qualcosa di ancor più terribile che, nelle nostre vite, non avevamo ancora dovuto vivere. Vi stiamo precipitando.

Ma intanto invece continuiamo a nutrire false e ipocrite speranze e auspici. Ora speriamo che il fuoco non divampi e cessi. Dopo averlo alimentato e mentre continuiamo a incendiarlo sempre di più. Ora diciamo di essere vicini alle popolazioni devastate, in fuga, morte. Dopo averle esaltate dai nostri divani per la loro resistenza, il loro eroico persistere in città, in attesa di vincitori e liberatori che non arriveranno prima che la loro vita sia finita. Ora gli americani chiariscono finalmente che non si tratta più di difendere l’Ucraina, ma di vincere la guerra contro i russi (e Zelensky conferma su Foxtv: “Non accetteremo alcun risultato che non sia la vittoria!”). Dopo che metà Ucraina è già stata distrutta e non è stata difesa nei suoi palazzi, ospedali, scuole, natura, ponti, università, aziende, persone. Ora ci si appella alle convenzioni internazionali. Dopo che noi abbiamo già ammazzato milioni di civili inermi in Iraq, Libia, Siria,Yemen, Afghanistan… E ben sapendo che proprio Usa, Russia, Cina e Ucraina non hanno mai voluto ratificare la costituzione della Corte Internazionale né firmare la convenzione contro l’uso di bombe a grappolo (ma ora protestano e chiedono processi e condanne per i nemici…).

Immaginare l’impensabile… Due esempi.

Il primo: la colpa e la pena. Le prostitute e i protettori sono i colpevoli per una sessualità che induce a cercare donne a pagamento. Ma chi ci induce a vivere una sessualità tutta ipocritamente iscritta nella famiglia? I machi che violentano e uccidono sono i colpevoli di relazioni in cui non ci si sa (far) rispettare. Ma chi sono i padri e le madri che ci hanno educato a un’idea d’amore malato? Gli spacciatori e i consumatori di droghe sono colpevoli per coloro che li cercano per farsi. Ma chi costringe a vite insensate, disperate e dolorose che cercano ormai solo malefici rimedi? I bulli in classe sono i colpevoli per la passività di chi li subisce e che ha imparato a subire. Ma dove hanno imparato? Forse non proprio in un contesto di bullismo istituzionale (scuola, governi, eserciti…)? Chi corre troppo e investe qualcuno è il colpevole della violenza stradale. Ma chi è costruisce e vende auto che corrono a 300 all’ora per spingerli a comprarle? Chi uccide qualcuno è il colpevole per la morte di un altro (da qui ergastolo o pena di morte). Ma viviamo tutti in un sistema mortifero e brutalizzante, che invita a competere, sopraffare, eliminare l’altro. Chi commette crimini in guerra è un criminale di guerra? É la guerra che è un crimine, ed è un criminale chi vi partecipa.

Troppo costoso cambiare strada, e smetterla con le colpe e le pene verso individui per evitarci la responsabilità sistemica degli eventi. Alla fine, vogliamo davvero solo restare comodi a contemplare e spettacolarizzare il male, a creare professioni che lavorano a gestirlo, a metterci sempre e solo nel ruolo di giudici. Bene, ma su questa strada staremo sempre meno comodi, dobbiamo saperlo. La violenza cresce e crescerà, e ci sta arrivando addosso come uno tsunami. Non ci saranno servizi sociali, ospedali, tribunali, eserciti, governi che potranno più reggere l’urto.

Il secondo esempio: la sudditanza e l’indipendenza. Gli stati, se avessero voluto sopravvivere nella globalizzazione e darsi un futuro possibile, avrebbero dovuto democratizzarsi, cioè in primo luogo espandere la loro capacità di pluralizzare e far convivere differenze e mediare conflitti, al loro interno e tra loro. Hanno preso la strada opposta: identitarismo, nazionalismo, sovranismo, integralismo, tribalismo, feudalesimo. Mentre i liberal e i radical chic si pavoneggiavano nella multiculturalità, nell’illusione dell'”all inclusive“, nel cantar la solfa dei “diritti”, nel frattempo (col consenso aperto o coperto di gran parte dei loro elettori, piccoli e grandi, come di mostrano anche le recenti elezioni in Serbia e Ungheria) procedevano ad erigere muri invalicabili, a difendere frontiere, a costruire sicurezza solo per chi era già dentro contro chi stava fuori. Le frammentazioni localistiche e separatiste, gli indipendentismi (e non solo in Donbass, ma anche in Europa, in Italia e in Sardegna) appaiono a molti la soluzione, ma sono invece solo l’altra faccia della falsa alternativa (o sudditi o indipendenti). Appare solo come una risposta di ulteriore chiusura difensiva che, senza mettere in discussione la forma-stato, condurrebbe solo alla formazione di nuovi staterelli, peraltro ancora più sensibili alle pressioni, promesse e ricatti dei grandi imperi in formazione.

L’evoluzione, invece, sarebbe rappresentata da modelli reticolari, post-statali e trans-nazionali, che riconoscano come ineliminabile la reciproca interdipendenza, con autorevoli forme di coordinazione unica e concertata su questioni comuni (finanze, fisco, sicurezza, energia, mercato del lavoro, ecologia…) e significative, peculiari autonomie delle varie territorialità e culture. Complesso? Sì, certo. Ma è inutile, nocivo, distruttivo (lo vediamo) proseguire a semplificare la complessità in formule del passato che non possono più funzionare, che non reggono più, che non ci tutelano e che ci conducono al disastro.

Ma non vogliamo cambiare. Quel che credo (e scrivo) da tempo è che solo una catastrofe globale potrebbe forse costringerci (dopo) a provare a farlo, come già accaduto – seppure solo in parte e con mille contraddizioni – dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per chi ci sarà ancora, se ci sarà.



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