17 maggio 2022

LA PARTE D' OMBRA DELLE COSE

 


“LA PARTE D’OMBRA DELLE COSE. LETTERE DI UN UMANISTA IMPENITENTE” DI STEFAN ZWEIG: UN ESTRATTO

Pubblichiamo, ringraziando il curatore e l’editore, una lettera dall’epistolario di Stefan Zweig, pubblicato da L’Orma con la cura di Marco Federici Solari e il titolo “La parte d’ombra delle cose. Lettere di un umanista impenitente”.

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Nel cuore del naufragio dell’Europa, molti intellettuali si interrogano sul percorso che ha condotto gli Stati a un simile sfacelo. Zweig legge in anteprima alcune riflessioni politiche del romanziere Hermann Broch in esilio a Yale: pagine dedicate ai rapporti tra dittatura, totalitarismo e democrazia. Rispondendogli per lettera, ragiona sulla crisi delle istituzioni che ha aperto la strada al fascismo e teorizza un modo paradossale e salvifico per sopportare le terribili notizie dei giornali.

A Hermann Broch

Scriva all’indirizzo di Londra, sono qui solo il fine settimana e privo di macchina da scrivere.

Grand Pump Room Hotel, Bath 7 maggio 1939

Caro amico, la ringrazio molto per la bella e dettagliata lettera e per avermi fatto parte con parole tanto convincenti della sua idea di un «sovrastato». Mi pare infatti che proprio questo sia il cuore del problema. Qualcosa è andato perduto. In origine, un’istanza più alta si ergeva sopra lo Stato, dapprima la Chiesa, poi in epoca liberale la filosofia morale e l’idealismo cosmopolita: potenze invisibili a cui ci si poteva appellare e che con la loro autorità impedivano violenze e abusi all’interno del proprio campo d’azione. Esisteva un’opinione pubblica mondiale (caso Dreyfus, massacri turchi…) temuta dagli aspiranti dittatori. Durante la guerra la divisione del mondo in due gruppi ha distrutto questa istanza. Tale suddivisione si è quindi più volte confermata attraverso diverse azioni politico-rivoluzionarie (ad esempio il fascismo e il nazionalsocialismo). Va dunque ricostruita da capo e non sono sicuro che il rinnovamento dell’organizzazione interna delle vecchie democrazie sia sufficiente, perché le democrazie, che prima esprimevano l’opinione pubblica mondiale, si ritrovano adesso a esercitare per loro stessa natura una resistenza contro l’altra metà del mondo. Ogni rivendicazione formulata unilateralmente dagli Stati democratici verrà rifiutata per principio dalla parte avversa, e allora mi pongo la questione se l’istanza superiore non si debba edificare al di là delle democrazie e indipendentemente da esse. Un programma del genere mi pare oggi il progetto più importante a cui dedicarsi. Lei ne ha già stabilito alcuni punti in maniera definitiva. […] In contemporanea al mio libro, che qui è stato accolto sorprendentemente bene, è uscito anche il nuovo Joyce che non mi sono ancora arrischiato ad affrontare. […] Con amicizia il suo

Stefan Zweig

P.S.: Alle volte mi scopro del tutto indifferente alla politica. I nervi non reagiscono più ai titoli, ai discorsi, agli annunci. Ma non faccio in tempo a sperare in una devitalizzazione della sensibilità, come un doloroso nervo dei denti finalmente morto, che arriva una notizia come quella della destituzione di Litvinov ed ecco che ritorna una fitta. Mi è sempre più evidente: per gli spiriti creativi quali noi siamo questo ancoraggio costante al filo del mondo è una sciagura, dovremmo imparare a «désolidariser»! Quanto a lungo possiamo ancora sopportare una tale tensione prima che le nostre parti più sensibili non ne vengano irreversibilmente danneggiate? Spero che oltreoceano, lì da lei, la lunghezza del cavo indebolisca la scossa elettrica degli avvenimenti e la renda più sopportabile per i nervi. A volte mi viene la voglia di tentare di leggere sistematicamente il giornale come se parlasse della Storia di cento anni fa. Dobbiamo eliminare l’idea che un evento sia vero e importante solo perché è accaduto oggi; mi sembra l’unica possibile salvezza interiore. Oppure potremmo racchiudere gli avvenimenti in una formula, apprenderli in maniera matematica e metodica invece di considerarli come qualcosa di attuale (lei stesso tenta giustamente di farlo), un po’ come di fronte a un terremoto uno scienziato misura l’intensità delle scosse invece di andare a guardare i cadaveri.

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