03 giugno 2022

ARTE e DITTATURE

 


Avanguardie artistiche e regimi totalitari 

 L’arte sostituisce la religione, nel processo di secolarizzazione in corso. È la premessa di Todorov, “Avanguardie artistiche e regimi totalitari” (conferenza a Siena, 23 novembre 2007, al dottorato in Antropologia, Storia e Teoria della Cultura). In cui però non parlerà di avanguardie, ma di dittatori, Mussolini, Hitler e Stalin, e di arte - che è l’Assoluto, si può aggiungere, di cui l’assolutismo si nutre, dal primo re all’ultimo aristocratico, da Augusto ai papi e ai principi (ai marchesi se non ai baroni, ancora legati all’accumulo).
Todorov esamina in dettagli i casi di Mussolini - “Il popolo italiano in questo momento è una massa di minerale prezioso. Un’opera d’arte ancora possibile. Occorre un governo. Occorre un uomo. Un uomo che abbia il tocco delicato dell’artista e il pugno di ferro del guerriero”, “Popolo d’Italia”, novembre 1927. Di Hitler. E di Stalin.
A Mussolini, come si sa, l’opera riuscì male perché l’Italia non era di marmo. “È la materia che manca”, confida al genero Ciano poco prima di mandarlo a morte: “Lo stesso Michelangelo ha avuto bisogno del marmo per le sue statue. Se avesse avuto a disposizione soltanto dell’argilla, non sarebbe stato altro che un ceramista”.
Hitler, di suo “pittore” e “architetto”, ha vissuto nel mito di Wagner, dell’arte “religione vivente rappresentata”. Curiosamente, va rilevato, Wagner abbandona presto gli interessi politici, per consacrarsi all’arte, Hitler fa l’inverso. Ma sugli stessi presupposti, come Wagner li delinea in “L’arte e la rivoluzione” e “L’opera d’arte del futuro”: “L’obiettivo supremo dell’uomo è l’obiettivo artistico”, “l’arte è la più elevata attività dell’uomo”, l’arte autentica è la libertà più alta” e la parola che sarà al cuore dell’hitlerismo, il popolo: “Chi sarà l’artista del futuro? Il poeta? L’attore? Il musicista? Lo scultore? Diciamolo con una parola sola: il popolo”. L’artista Hitler si fa il compito di creare il “nuovo popolo tedesco”. Col razzismo, la propaganda, l’eugenetica.
Stalin, che tanti poeti ha voluto eliminati, pure s’intratteneva con loro: li chiamava, a volte li ascoltava anche. Era scrittore egli stesso, di teorie politiche, “Il materialismo dialettico e il materialismo storico”, “Il marxismo e la questione nazionale” - le “opere complete” di Stalin edizioni Rinascita prendevano undici volumi, con testi dal titolo “Per una vita bella e felice”, “Il socialismo e la pace”. E gli scrittori definiva “ingegneri dell’animo umano”.
Pasternak gratificherà Stalin, il primo gennaio 1936, in pieno tempo di “purghe” politiche, di un poema, “L’artista”, che ne fa uno dei due poli della storia, il potere, l’altro essendo la poesia: la storia è “una fuga a due voci”, la poesia e il potere, “due principi estremi che sanno tutto l’uno dell’altro”. Pasternak aveva un debito con Stalin: quando gli avevano arrestato l’amico del cuore Mandel’stam, aveva protestato scrivendo a Stalin, e Stalin lo aveva esaudito, facendo liberare il grande studioso e poeta – salvo ostracizzarlo nuovamente due anni dopo, nel 1938.
Il dittatore come artista è anche questa, seppure incidentale, intuizione o ipotesi di Walter Benjamin: “Il fascismo tende in modo del tutto naturale a una estetizzazione della vita politica… La risposta del comunismo è di politicizzare l’arte”.


Pezzo ripreso da  http://www.antiit.com/2022/05/secondi-pensieri-483.html



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