26 giugno 2022

NON CI SIAMO ANCORA LIBERATI DALLA SESSUOFOBIA

 


La sessualità che produce fantasmi

Nuria Alabao
25 Giugno 2022

La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti riporta l’affermazione dei diritti delle donne indietro di cinquant’anni, ma non è certo un fulmine orrendo a ciel sereno. Né in quel paese, né altrove. Nuria Alabao ne deduce che dobbiamo tornare a parlare di sesso, un tema che ha ancora qualcosa di sfuggente, di sacro, qualcosa che ha la capacità di farci ruggire. E di far attivare nefaste e artificiose “guerre di genere” per le quali è necessario fabbricare vittime. Sono armi potenti, forse oggi come mai prima, perché profondamente emotive e perché è più facile alimentarle con la polarizzazione stimolata dagli algoritmi della rete. È il pane quotidiano delle culture politiche di destra, ma quelle guerre non sono più usate solo dalla destra. Anzi, sono arrivate a permeare perfino delle pratiche che si dicono nate per liberare le donne. Ma come? – si chiede e ci chiede Nuria – il mondo va in pezzi (nel titolo originale dell’articolo lo si dice in modo più colorito) e noi dobbiamo star qui a parlare di sesso? Parlare di sesso significa guardare dentro una struttura che detiene un ordine di dominio, un ordine che conduce al disastro. La sessualità serve perché permette di costruire fantasmi, di creare guerre culturali che distolgono l’attenzione dal mondo che sta crollando, indirizzandola verso passioni che ci agitano e ci turbano da sempre, che condensano le paure e costruiscono, sulle insicurezze della vita, una qualche direzione per vite senza significato, soprattutto collettivo. Mettere in discussione i ruoli di genere, come fa il femminismo, può avere conseguenze più destabilizzanti di quanto potrebbe sembrare, ma perfino il femminismo può essere strumentalizzato per fabbricare nuove guerre di valori o per provare a riconquistare perdute legittimità politiche. Per questo è così importante continuare a provare a sconfiggerlo. Il premio, nel caso di esito positivo, si pagherebbe come sempre in potere

La protesta di fronte a un’ambasciata degli Stati Uniti in Gran Bretagna dopo la decisione sull’aborto della Corte Suprema. Foto tratta da Abortion Rights

Sì, a volte ho quella sensazione. Vorrei parlare di sesso, godimento, piacere, vorrei parlare di Pride, di amore senza regole, ma poi penso: il mondo sta andando in pezzi, che importanza possono avere queste cose? Quale verità vale la pena dire quando l’orizzonte sembra essere il collasso ecologico, la crisi permanente, una violenza sempre più sfacciata? 

Da questo piccolo paese liberale (la Spagna, ndt) in un angolo d’Europa – sì, liberale nei valori, non fraintendetemi – le battute d’arresto possono sembrare qualcosa di lontano. Ma l’esempio statunitense sull’aborto segnala un’altra direzione. In molti altri luoghi, poi, sempre più persone  esibiscono la propria identità e si organizzano per attaccare i gay. o i migranti. Vengono proibiti i Pride – come a Mosca – oppure la vita del nascituro viene considerata superiore a quella che la crea, come in Polonia, Honduras, Nicaragua, Vaticano… In ogni caso, in vari paesi del mondo, le questioni di genere – cioè delle donne, delle persone LGBTIQ –, trasformate in guerre, sono strumenti utili per conquistare e mantenere il potere, per generare coalizioni, tra religione e politica o tra religioni diverse. Sono temi adatti alla mobilitazione e all’agitazione sociale in tempi di disaffezione politica. La sessualità serve perché permette di costruire fantasmi, di creare guerre culturali che distolgono l’attenzione dal mondo che sta crollando indirizzandola verso altre passioni che ci agitano e ci turbano, che condensano le paure e costruiscono sulle insicurezze vitali una direzione per vite senza molto significato – soprattutto collettivo –; sono guerre culturali che creano comunità affettive. Uno scopo, un ordine, anche una guida morale. (Oggi abbiamo tutte le opzioni – ci dicono – possiamo vivere in qualsiasi modo, ma in realtà non possiamo scegliere quasi nulla perché non abbiamo soldi. La sensazione, per molte, è piuttosto che la vita ci sfugga di mano). 

Però non possiamo sfuggire. Sebbene non possa farlo come vorrei, parlare di sesso è inevitabile oggi, quando la reazione è in agguato in mezzo mondo, quando l’estrema destra gemellata con fondamentalismi religiosi di ogni segno torna ad assediare la nostra sessualità e ciò che è ad essa associato, sia esso il sesso in sé – chi può scopare con chi – ; o chi ha il diritto di riprodursi – o addirittura l’obbligo – e chi no, perché straniero, nero, non occidentale, musulmano. C’è inoltre, implicito, in buona parte di questi progetti un modello di come dovrebbe essere organizzata la genitorialità perché il futuro umano diventi un valore per il capitale, un lavoratore – nazionale, ovviamente. Le istruzioni sono nella tradizione, ci dicono, in quella fantasia che chiamano la “famiglia naturale”. In realtà, parlare di sesso oggi è anche parlare di una struttura che detiene un ordine di dominio, un ordine che ci conduce al disastro.

Immagine di J.R.Mora tratta da Cxtx

Passioni esplosive, potenza politica

Le guerre del genere non sono esattamente nuove, anche se oggi hanno un nuovo significato. Gayle Rubin le descriveva come “momenti politici” del sesso, in cui le passioni scatenate dalle questioni morali vengono convogliate nell’azione politica e da lì nel cambiamento sociale, siano esse leggi o linciaggi. Come esempi storici di queste situazioni di “panico morale” citava l’isteria sulla schiavitù sessuale dei bianchi – la “tratta delle bianche”– degli anni Ottanta dell’Ottocento o il terrore sulla pornografia infantile della fine degli anni Settanta, che si cercava di collegare agli omosessuali. Il meccanismo è questo: i mezzi di comunicazione si indignano, la gente si comporta come una folla inferocita, la polizia viene attivata e lo Stato emana nuove leggi, dice Rubin. E ogni panico morale ha conseguenze su due livelli: la popolazione che ne viene fatta oggetto soffre di più, ma i cambiamenti sociali e di legge ci toccano tutti.

Per attivare le guerre di genere è necessario fabbricare vittime, il che permette di giustificare le reazioni, siano esse nuove leggi punitive, restrizione dei diritti o proteste che additano e svergognano i responsabili. (Non è necessario entrare nei dettagli su come questa si intersechi con una caratteristica della politica odierna – anche quella delle sinistre – molto incentrata sulla costruzione della figura della vittima.) Così, temi come l’espressione di dissidenze sessuali, la prostituzione, il porno o l’educazione sessuale-affettiva nelle scuole vengono collegati ad altri significanti per mostrarli come minacce alla salute, alla famiglia, alle donne o ai bambini, alla sicurezza nazionale o alla stessa civiltà, dice Rubin. Le attuali estreme destre sono esperte in questo tipo di meccanismi, nell’utilizzare lo scandalo e nel gestire i suoi retroscena, nel costruire vittime, spesso molto lontane dalle persone che si trovano realmente in posizioni di maggiore vulnerabilità sociale. Sono efficaci nell’innescare e fabbricare crisi, alimentandosi delle loro conseguenze.

Le guerre di genere sono armi potenti perché sono profondamente emotive. Negli Stati Uniti, hanno attaccato il diritto all’aborto fin dagli anni Settanta con questa strategia: identificare gli aborti come “omicidi nell’utero” e le leggi favorevoli come “leggi di mattanza infantile”. Queste campagne aggressive che abusavano dello scandalo morale si sono rivelate in grado di mobilitare le passioni di molti militanti pro-vita e di segnare il dibattito su questo diritto fino ad oggi. Gli attivisti anti-aborto pubblicano foto di feti non nati, dicono che si tratta di “infanticidio” e lo paragonano alle pratiche eugenetiche della Germania fascista. Un carico emozionale e delle iperboli espressive che sono state, da allora, caratteristiche del trattamento che i fondamentalisti riservano a questi temi. Sembra che abbia funzionato come perno per costituirsi in blocco di potere.

Mettere in discussione i ruoli di genere, come fa il femminismo, può avere inoltre conseguenze più destabilizzanti di quanto potrebbe sembrare a prima vista. Per molti questo comporta un attacco alla propria identità, alle coordinate che organizzano il nostro mondo e alle stesse relazioni sociali. Le argomentazioni non sono cambiate molto: siccome gli omosessuali non possono riprodursi, cercano di convertire i nostri figli nelle scuole – sembra assurdo, ma è uno degli argomenti classici della destra radicale fin dagli anni Settanta. Da questo tipo di narrazioni nascono le guerre virulente contro l’educazione sessuale-affettiva e contro l’educazione egualitaria in tutto il pianeta, quella che “sessualizza” i nostri piccoli mentre la famiglia si dissolve insieme all’autorità paterna e tutto è crimine e caos intorno a noi. Intanto, per altri versanti, si cerca anche di moralizzare, di purificare la società in una sorta di fuoco redentore e ci viene detto che gli adolescenti stuprano in branco perché guardano i porno, che la prostituzione è la principale causa delle aggressioni sessuali e chi paga per il sesso – il “puttaniere” – diventa un mostro sociale, l’epitome di tutto ciò che è sbagliato nell’ordine di genere. “Il panico morale cristallizza paure e ansie molto diffuse e spesso le affronta, non cercando le vere cause dei problemi e le caratteristiche che mostrano, ma le rivolge verso i ‘tipi diabolici’ di qualche gruppo sociale concreto”, spiega Jeffrey Weeks.

Foto Gaiathri Malhotra/Unsplash

Le guerre di genere, però, non sono usate solo dalla destra. Le loro forme, le argomentazioni, le cacce alle streghe le abbiamo trovate negli ultimi anni, schierate con tutta la loro brutalità, in un settore di femminismo contro le persone trans e la promozione dei loro diritti. Ricordiamolo: le donne trans che si mettono in agguato nei bagni o negli spogliatoi per violentarci, oppure associate, ancora una volta, alla pederastia, quelle che vengono a “cancellarci”, quelle colpevoli di avere o di aver avuto un pene. Se l’obiettivo era il miglioramento di una legge, o la sua messa in discussione e il dibattito, le modalità con cui ha avuro luogo questa discussione hanno avuto la conseguenza di rendere impossibile qualsiasi confronto. In una guerra ci sono solo due parti. Come discutere?

Le guerre di genere sono state usate anche contro le lavoratrici del sesso e il loro diritto minimo, in questo caso, semplicemente di esistere, di non essere criminalizzate e perseguitate, di non essere ancora più sottomesse al potere di giudici e poliziotti. Tutto il compenso per il sesso è stupro, il consenso non esiste, “vengono penetrate in tutti i buchi”… il linguaggio millenarista non molla, intanto si offre un’immagine semplificata di una realtà che è invece plurale: quella delle donne drogate, quasi legate a un letto, disponibili 24 ore su 24 per il “consumo”. La figura della puttana come vittima da salvare e, insieme, come vita sacrificabile in favore dell’uguaglianza per le donne. La guerra è contro i magnaccia e contro i protettori, dicono, non contro le donne che lavorano. Però abbiamo visto, nel frattempo, le lavoratrici del sesso molestate durante manifestazioni e incontri pubblici, espulse dai dibattiti universitari o private della possibilità di parlare nelle assemblee dell’8 marzo. È sorprendente che lo sfruttamento lavorativo non generi quasi nessun tipo di reazione, che se ne parli così poco, mentre invece lo si fa solo quando esso è legato al sesso. Sorprende l’indignazione ruggente contro magnaccia e protettori ma non contro i padroni che sfruttano le lavoratrici stagionali nei campi di Huelva, non contro i padroni che fanno lavorare le domestiche sette giorni su sette senza poter uscire, non contro i poliziotti che respingono i ragazzini alle frontiere, li inseguono per le strade di Ceuta, oppure gli sparano pallottole di gomma in mare finché non muoiono. Il sesso ha qualcosa di sfuggente, di sacro, che ha la capacità di farci ruggire. 

Queste forme di panico morale non vengono solo incanalate contro gli altri ambiti sociali, contro le persone emarginate – prostitute o trans –, ma si infiltrano anche nella narrazione sulla violenza sessuale che si trasforma in terrore sessuale, generando paura e rivoltandosi contro la nostra stessa autonomia. Sì, amiche mie, le guerre di genere non sono un’esclusiva dell’estrema destra, vengono dichiarate anche da femministe, da “socialisti”, dai nostri? Il panico morale è qui usato anche per agitare, per creare le proprie basi sociali, sebbene non siano maggioritarie, ma molto attive sì, pronte a diventare, come i fondamentalisti religiosi, “guerriere di valori”, in questo caso, in nome del femminismo. Come abbiamo già detto, una proposta al servizio del re-incanto della politica in tempi di disincanto generalizzato, di crisi di rappresentanza. Il femminismo è utile anche perché viene caricato di legittimità politica – soprattutto a sinistra –; sconfiggerlo aprendo nuove guerre può avere un premio. Il premio è il potere.

Stiamo vivendo un tempo in cui la polarizzazione è stimolata dagli algoritmi della rete e dall’ascesa delle teorie del complotto. Tutta la politica si sta impregnando di queste guerre culturali in tempi di futuri collassati. La domanda fondamentale è se queste forme politiche, se l’appello a emozioni forti, la creazione di vittime da salvare, l’indignazione sfrenata, la costruzione di scandali, paure e capri espiatori possano essere una strategia praticabile in un progetto di emancipazione. Le guerre di genere – come aspetto radicalizzato di quelle culturali – sono destinate anche a distogliere l’attenzione dai malesseri sociali, molti dei quali sono legati alle condizioni di vita, a deviare lo sguardo, come dicevamo, da un mondo che sta crollando, a reindirizzare l’energia politica verso questioni morali affinchè non si parli di sfruttamento – del lavoro o attraverso le rendite immobiliari –, del progressivo impoverimento che stiamo vivendo, della crisi eco-sociale. L’utilizzo di forme della politica che in fondo servono a suturare la lotta di classe – e a creare falsi colpevoli – può sfociare solo in una politica di conservazione. Non importa cosa ci si proponga di ottenere, ma se quelle proposte volte a risolvere i problemi che si sono tradotti in panico morale, finiscono sempre il loro percorso nel Codice Penale – come risorse per il sistema carcerario e le forze di sicurezza – non potranno dar vita ad altro che a una politica reazionaria. Chissà, forse dobbiamo semplicemente renderci conto che esiste un femminismo profondamente reazionario.  

Parlare di sesso, dunque, pare proprio inevitabile oggi.

L’articolo è uscito in versione originale su Cxtx con il titolo: El mundo se va a la mierda y nosotras hablando de sexo.

Traduzione per Comune-info: marco calabria

Nuria Alabao, giornalista e antropologa, fa parte della Fundación de los Comunes

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