26 febbraio 2024

SULLA SCALATA AL POTERE DI GIORGIA MELONI

 


Quella scalata al potere

Lea Melandri
22 Settembre 2022

Una società è sempre più complessa, e spesso migliore, rispetto a quella che emerge dalle elezioni. Tuttavia è importante chiedersi le ragioni dell’ampio consenso riscontrato da Giorgia Meloni presso uomini e donne. Scrive, tra l’altro, Lea Melandri: «Per fortuna non sono mancate in questi giorni prese di posizioni della maggior parte del femminismo, in cui si dice con chiarezza che le donne, avendo fatta propria, sia pure forzatamente, la visione maschile del mondo, hanno fatto dell’emancipazione una scalata al potere nelle stesse forme in cui lo abbiamo ereditato, senza mettere in discussione il patriarcato, le sue gerarchie, i suoi “valori”…»

Se Giorgia Meloni dovesse diventare realmente presidente del consiglio, dovremmo chiederci innanzi tutto la ragione per cui ha ottenuto un così ampio consenso presso uomini e anche donne, purtroppo.

Il “familismo” italico è ancora fortemente radicato, tanto da poter essere visto come uno dei fondamenti del vivere sociale. All’interno, dominante è la figura della donna-madre, forte del suo potere di indispensabilità alla famiglia, cura di figli, malati, anziani e uomini in perfetta salute, ma abituati a delegare alla donna cura e lavoro domestico. Giorgia Meloni, non ha solo rivendicato spesso il suo ruolo materno, la sua contrarietà all’aborto, la sua più volte conclamata preoccupazione per la denatalità nel nostro Paese, ma si presenta come una specie di ibrido, mescolanza di tratti femminili e virili, fisico aggraziato e aggressività, un machismo temprato da astuzia femminile.

Per molti uomini, vissuti all’ombra di madri spesso più forti e combattive dei padri, è una figura familiare che non sentono come competitiva, che non minaccia il loro potere, perché dimostra di averlo assorbito senza alcuna critica o presa di distanza. Tutto sommato, un duplicato che, sia per ragioni diverse – di rivalsa, uscita dalla posizione di vittime -, piace e rassicura anche le donne.

La sua presenza a capo della coalizione di destra non è stata vista come una svalutazione, ma quasi un valore aggiunto. La sua tenacia e grinta hanno avuto il sopravvento sui leader di sesso maschile, in evidente crisi di credibilità, e in quanto donna, con una visione del mondo tutta interna alla cultura patriarcale, li ha in qualche modo legittimati. Possono vantare una rara presenza femminile ai vertici del potere, senza averne un danno di ritorno.

Nella campagna elettorale, ma anche nell’ascesa sorprendente del suo partito, ha contato sicuramente per Giorgia Meloni il fatto di essere una donna, ma una donna capace di comando, convinzioni forti, aggressività nel contrastare i nemici politici. Ha curato sempre le sue apparenze femminili nel vestire, quanto la risolutezza nei suoi interventi pubblici, una modalità di comunicazione a volte persino violenta.

Rossana Rossanda ha detto una volta che le donne possono essere “reazionarie o rivoltose, raramente democratiche”. Mi viene da dire che il successo di Giorgia Meloni, ma anche il pericolo che rappresenta per il nostro Paese già in fase di democraticità vacillante, sta nell’accoppiata di entrambi questi elementi. Ci si può chiedere perché non c’è stata una forte reazione da parte delle donne a una destra che minaccia conquiste e diritti raggiunti con fatica.

Purtroppo in Italia il femminismo, fin dai suoi inizi negli anni Settanta è stato non solo ostacolato ma osteggiato da quelle stesse forze politiche – penso in particolare ai gruppi extraparlamentari – che avrebbero dovuto esserne potenziati e arricchiti. È vero che, nella sua radicalità, nelle sue anomale pratiche politiche, quali l’autocoscienza e la pratica dell’inconscio, nel suo tentativo di riportare alla cultura tutto ciò che è stato così a lungo considerato “non politico” – la sessualità, la storia personale, la maternità , la cura ecc. -, si capì subito che non era un complemento della “cultura altra”, neppure di quella marxista che parlava di lotta di classe e rivoluzione, ma una cultura antagonista, che la metteva in discussione. Rappresentò allora, e si può dire ancora oggi, il sintomo della crisi della politica e insieme l’embrione di una sua necessaria ridefinizione.

C’è un tratto anti-istituzionale nel movimento delle donne in Italia che ho ritrovato in tutte le “maree” di nuove generazioni incontrate nel mio lungo percorso femminista, e che è presente marcatamente oggi anche nella rete Non Una Di Meno. Non so quanto questo abbia contribuito a far sì che le questioni di genere siano quasi del tutto assenti dal dibattito pubblico, e persino nella produzione di intellettuali e politici di sinistra. Negli stessi movimenti, antirazzisti, ambientalisti, ecologisti, anticapitalisti, benché abbiano al loro interno una forte presenza femminile e femminista, le problematiche più specificamente legate al sessismo raramente vengono nominate. Sicuramente ciò ha anche a che fare con il familismo di cui parlavo prima, con un’idea di “normalità” che ha perversamente integrato amore e violenza, protezione e controllo del corpo femminile, l’esaltazione della maternità e la sua insignificanza storica, per citare Virginia Woolf.

I rischi di un governo con una forte presenza di Fratelli d’Italia per i diritti delle donne, faticosamente conquistati, ci sono. In particolare per la questione dell’aborto. Non impugneranno direttamente la Legge 194, ma, come del resto i “movimenti per le vita”, i gruppi del fondamentalismo cattolico, hanno fatto finora, lo renderanno impraticabile, con l’obiezione di coscienza dei medici, la colpevolizzazione delle donne. Meloni ha già parlato di sepoltura e cimiteri dei feti senza dover chiedere il consenso della donna. Nella campagna elettorale ha tenuto un comportamento più diplomatico, visto il dibattito che si è acceso soprattutto sui social, nelle radio. Quello che è più temibile, a mio avviso, non è l’attacco diretto a diritti come il divorzio, l’aborto, la riforma del diritto di famiglia, etc., ma il consenso che purtroppo incontra la sua battaglia per i valori tradizionali “famiglia, patria, nazione”, e l’“integrità della specie” minacciata dalla presenza crescente di donne “straniere”, più prolifiche delle italiane.

Il rapporto tra i sessi è arrivato alla coscienza storica, ma le donne stesse stentano a vederne la portata. Può sembrare una conquista importante, anche ad alcune femministe, veder comparire una donna in ruoli apicali di potere, ma per fortuna non sono mancate in questi giorni prese di posizioni della maggior parte del femminismo, in cui si dice con chiarezza che le donne, avendo fatta propria, sia pure forzatamente, la visione maschile del mondo, hanno fatto dell’emancipazione una scalata al potere nelle stesse forme in cui lo abbiamo ereditato, senza mettere in discussione il patriarcato, le sue gerarchie, i suoi “valori”.

Che le donne che salgono al potere, fatte poche eccezioni, siano prevalentemente di destra non dovrebbe meravigliare. Le destre, soprattutto come nel sud Europa dove è più diffusa la religione cattolica, hanno sempre saputo amalgamare abilmente la violenza del potere con la demagogia, il pugno di ferro con la retorica della difesa della famiglia e della nazione. La sinistra paga il prezzo di un “illuminismo”, che separando razionalità e sentimenti, ha regalato alle destre una materia enorme di esperienza, tra cui vicende considerate “intime” – come la sessualità e la maternità -, “non politiche”, e relegate come tali nel privato. A nulla sembra essere valsa, a questo proposito, la “rivoluzione” del femminismo, e cioè la riscoperta della politicità della vita personale e del patrimonio enorme di cultura che vi è rimasto sepolto per millenni.


Pubblicato su Il Riformista (e qui con l’autorizzazione dell’autrice). Altri articoli di Lea Melandri sono leggibili qui. Questa la sua adesione alla campagna di Comune Dieci anni e più:

Nessun commento:

Posta un commento