01 ottobre 2014

ENRIQUE IRAZOQUI PARLA DEL SUO PRIMO INCONTRO CON PASOLINI




Una cara amica  mi ha fatto avere oggi il testo di un breve articolo, pubblicato ieri dalla redazione fiorentina di Repubblica, in cui Enrique Irazoqui racconta il modo in cui avvenne il suo primo incontro con Pier Paolo Pasolini




  I ricordi di Enrique il comunista:
 “Quel difficile Gesù di Pasolini”
di MARCO BERNARDINI

«SOLTANTO per caso, una volta, uscito di galera riuscii a scappare dalla Spagna per raggiungere Parigi». Per Enrique, che a fare l’attore manco aveva pensato, le “guide” inconsapevoli furono due coetanei fiorentini arrivati a Barcellona con il visto di turisti ma in realtà attivisti del Partito socialista italiano. «Un giorno prima di Natale, era il 1963, venni convocato nella sede clandestina del sindacato del quale ero segretario. Mi dissero che, da qualche tempo, due italiani andavano in giro facendo strane domande sul movimento antifranchista. C’era il sospetto che fossero due spie. Indagai, li frequentai e ogni dubbio venne fugato. Si trattava di due compagni. Ebbi un’illuminazione. Chiesi loro di accompagnarmi in Italia dove, ne ero certo, avrei potuto trovare nuovi sostegni economici per la causa antifranchista insieme con la disponibilità di intellettuali disposti a venire in Spagna per alcuni cicli di conferenze. Mia mamma era veneta e io sapevo bene l’italiano. Arrivai a Firenze con i due compagni, e la prima persona con la quale entrai in contatto fu l’allora sindaco Giorgio La Pira. Fu con lui che scesi a Roma».
Si infoltì il gruppo, nella capitale. Tutti quanti decisero di raggiungere in autobus il numero 9 di via Eufrate, all’Eur. C’erano La Pira, Elsa Morante con il suo ex marito Alberto Moravia, Vasco Pratolini, Giorgio Manacorda e naturalmente il giovane Enrique. Suonarono il campanello di Pasolini che li aspettava per cena. «Venne ad aprirci un ragazzo che aveva una selva di capelli neri in testa. “Niné” falli entrare disse una voce dalla cucina. Era il regista che si rivolgeva a Davoli. Il suo ragazzo. Ninetto aveva quindici anni. Scandaloso? Affatto. In seguito scoprii che quello di Pasolini con lui era un rapporto puro che nulla aveva a che fare con il plagio. Cenammo. Pier Paolo non mi staccava gli occhi di dosso. Ad un tratto disse forte: “È lui il mio Gesù”. Io mi misi a ridere. Per nulla al mondo avrei fatto l’attore. Alle cinque del mattino eravamo ancora lì a discutere. La più infervorata per convincermi era Elsa Morante, che poi sarebbe diventata mia grande amica. Crollai che stava albeggiando sotto il peso della promessa fattami dal produttore Alfredo Bini. Tutti i soldi che avrei dovuto incassare sarebbero andati al mio sindacato. Ne valeva la pena».
I risultati di quel lavoro si possono vedere stasera all’Istituto Stensen di Firenze, che ne propone (ore 21) l’unica copia esistente in pellicola. Per Enrique, irriducibile ateo, non fu facile rivestire i panni di Gesù. E ancora oggi dice: «Il fatto di aver fatto rivivere Cristo non mi ha cambiato la vita. Mi sono sempre attenuto a ciò che, fin dall’inizio, mi avevano promesso sia Pasolini sia Elsa Morante: il loro sarebbe stato un Gesù gramsciano. Certo provai un grande imbarazzo quando, dopo aver girato una scena nelle campagne di Barletta, un gruppo di donne in nero si inginocchiarono intorno a me pregandomi di fare un miracolo. La mia vita, invece, venne segnata da Pier Paolo e da Elsa. Lei, per me, fu un autentico dono del cielo, un’amica straordinaria. Lui, un ciclone in grado di far vacillare ogni certezza. “Senorito”, mi chiamava alludendo alle mie origini borghesi. Cosa che mi faceva incazzare, perché io non ero così. Poi, il giorno in cui si schierò con i poliziotti “figli del popolo” che venivano picchiati dagli studenti figli dei ricchi, lo invitai in Spagna per vedere cosa faceva la milizia franchista. Eppure, tra mille contraddizioni, l’ho amato. Ho amato soprattutto il Pasolini poeta oltreché l’autore di “Uccellacci e uccellini”. Il resto non mi ha mai interessato e le “120 giornate di Sodoma” non l’ho visto».
Già, la vita non è cinema. Specialmente non per Irazoqui, ex combattente per un mondo migliore: «Abbiamo perso definitivamente e su tutti i fronti. L’unica soddisfazione è poter dire che non ho mai ceduto alle lusinghe del nemico». E si lascia andare nel suo mondo virtuale. Quello degli scacchi, è un campione. Muove i pezzi nel suo appartamentino affacciato sul mare di Cadaques da dove, talvolta, si possono vedere le ombre di Picasso e Dalì che decisero di chiudere lì il loro viaggio terreno.

Da La Repubblica, cronaca di Firenze 30/09/2014


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