06 novembre 2014

RISPETTO PER BRITTANY MAYNARD









Sia pace ai frati purché sfratati: E pace ai preti ma pochi e quieti: Cardinalume non tolga lume: Il maggior prete torni alla rete”. Sono versi dell'Alfieri. Decisamente brutti, ma simpatici e soprattutto condivisibili se confrontati alle parole di un tal Ignacio Carrasco de Paula, che dall'alto del suo essere vescovo della chiesa cattolica e presidente della “Pontificia Accademia per la Vita” (che non capiamo bene cosa sia, ma da cui, vista la propensione storica dei papi a benedire guerre e roghi, non ci aspettiamo nulla di buono) pontifica sulle scelte di vita di una donna segnata dalla sofferenza e dal dolore.

Massimo Gramellini

Dignità

Per il Vaticano la scelta della malata terminale californiana Brittany Maynard di anticipare di qualche settimana una fine dolorosa e scontata è da considerarsi «priva di dignità». La Chiesa ha ovviamente tutto il diritto di fare la Chiesa e di interpretare i dettami della divinità a beneficio di coloro che le riconoscono la funzione di intermediaria.

Ma definire indegna la decisione di una donna colpita da un tumore devastante al cervello significa non sapere più dove stia di casa la parola «umanità». Nelle astrazioni della dottrina si possono anche costruire scintillanti cattedrali di ghiaccio. Ma la vita, per chi la conosce e la ama, è un’altra storia e ci racconta che qualsiasi strada percorsa con coraggio conduce a destinazione. Una persona che combatte fino all’ultimo contro il dolore e l’umiliazione della malattia ha la stessa dignità di chi preferisce sottrarre il suo corpo e i propri cari a un simile strazio.

Nessun condannato a morte si avvia volentieri al patibolo, a meno che sia un martire invasato: categoria di cui da sempre abbondano soprattutto le religioni. Se sceglie di anticipare l’esecuzione, è solo perché vuole andarsene con consapevolezza. C’è molta più dignità nelle lacrime di congedo della vitalissima Brittany che in chi, ancora una volta, ha deciso di salire sull’onda di un caso mediatico per zavorrare di aggettivi infamanti la libera e drammatica scelta di un essere umano.


La Stampa – 5 novembre 2014

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