31 gennaio 2022

ARTICOLI DI AMADEO BORDIGA CONTRO LA DC (1951-1955)

 



Copertina di un libro dell'ingegnere AMADEO BORDIGA dove sono raccolti,
come mostra l'indice successivo, un gruppo di suoi articoli pubblicati tra il 1951/55.



La storia delle minoranze comuniste in Italia, o eresie come piace oggi chiamarle inserendo nel concetto personaggi come Rossana Rossanda o Magri che tutto furono meno che eretici, resta nonostante i lavori di Sandro Saggioro, Arturo Peregalli, Diego Giachetti, Paolo Casciola ancora in larga parte da fare. Può essere perciò interessante scoprire cosa nel gennaio 1952, esattamente settanta anni fa, pensassero della Democrazia cristiana e della sua politica i bordighisti che, solitamente, si ritiene fossero solo interessati a tallonare da sinistra il PCI e il PSI. Naturalmente, come ben si vede dall'articolo che presentiamo, l'analisi della natura della DC diventa occasione per ribadire la critica rivoluzionaria alla politica di Togliatti e di Nenni. (G. Amico)



Democrazia Cristiana

Partito totalitario borghese


Alla Democrazia Cristiana non abbiamo mai riconosciuto né i carattere di partito democratico nonostante le retoriche affermazioni antitotalitarie, né quello di partito clericale, nonostante l'innegabile puzzo di sacrestia che ne emana. Tanto meno le riconosciamo di seguire, stando al timoni dello Stato, le mistiche fantasie di Cristo. E ciò, bene inteso, non perché rivendichiamo al partito proletario la democrazia e il cristianesimo sociale, siccome fanno gli scribi e i farisei dei partiti predicanti la solidarietà delle classi. Alla Democrazia Cristiana non riconosciamo di essere né democratica né clericale, per il semplice fatto che non crediamo né nella possibilità di sopravvivenza della democrazia come forma di governo borghese in opposizione al grande capitale, né nella esistenza di una classe ecclesiastica dominante.

Il partite marxista rivoluzionario non è democratico: è antiborghese; non è anticlericale: è antireligioso. Propugna la distruzione . del potere borghese nella sua duplice forma liberale e totalitaria: non preferisce la democrazia al fascismo. Propugna la scomparsa dalla mente degli uomini delle nebbie preistoriche della superstizione religiosa; non preferisce il laicismo al clericalismo. Ma, allorché i rivoluzionari mettono la D. C. sullo stesso piano di qualunque partito borghese, o meglio grande-borghese, e le negano di rappresentare altro potere che quello capitalista, essi non traggono risultanze da deduzioni puramente dottrinali. Al contrario, si lasciano impartire lezioni dai fatti, come è nel metodo scientifico del marxismo.

Alla D. C. non abbiamo mai riconosciuto natura e funzioni di democrazia sociale, e pertanto abbiamo bollati come traditori della fiducia cieca delle masse lavoratrici quei partiti che con essa collaborarono al tempo della Esarchia e del Tripartito, per il semplice fatto che nella politica borghese la democrazia esiste come i fossili nella storia naturale. La storia della democrazia sociale, cioè della direzione piccolo-borghese della società capitalistica, è breve e triste, come quella di Mimi nella Bohème: nata debole e impotente, essa morì di consunzione.

Marx ne celebrò il funerale sin dalle giornate di giugno del 1848, che videro l'aborto di governo repubblicano piccolo-borghese invocare le orde armate della reazione capitalistica contro le resistenze opposte dal proletariato parigino a lasciarsi imprigionare nelle maglie di ferro dello sfruttamento capitalista insito nella repubblica borghese. Disdicendo l'alleanza col proletariato per abbattere le ultime vestigia delle forme feudali dello stato, e cercando ed ottenendo l'alleanza del grande capitale e dell'alta finanza, la Democrazia piccolo borghese, che la rivoluzione rossa del proletariato riempiva di nevrastenico terrore, firmava la propria definitiva sentenza di morte. E nemmeno tirava le cuoia in un clima di epopea tragica, come cinquantacinque anni prima il Governo rivoluzionario del Terrore: spariva dalla scena della storia, buttata fuori da una pedata nel sedere, lasciando posto non a Napoleone il Grande, « eroe della rivoluzione », ma al filibustiero politico Napoleone III, detto il Piccolo. Finiva in Francia e nel resto del mondo l'epoca storica favorevole anche solo a esperimenti e tentativi di governi democratici piccolo-borghesi: Venne il massacro della Comune (1871), l'imperialismo, le guerre mondiali, il fascismo, cioè il dominio aperto e non più dissimulato delle grande borghesia, delle oligarchie industriali e finanziarie, cui la media e la piccola borghesia dovevano e devono lustrare le scarpe e fornire il personale subalterno delle forze della controrivoluzione.

Tuttavia l'alleanza con la Democrazia Cristiana, nell'immediato. dopoguerra e fino allo scoppio della guerra fredda, venne giustificata dagli stalinisti e dai socialisti con la tesi che il partito democristiano non impersonasse gli interessi del capitalismo italiano, ma militasse nel campo delle cosiddette « forze popolari e progressive », cioè nella coalizione antifascista delle masse lavoratrici e degli strati « più evoluti» della media e piccola borghesia. L'alone di militaresca gloria fumigante sui resti della guerriglia partigiana servi a condire di un pizzico dl pepe rivoluzionario l'unione sacra, e si parlò di una seconda rivoluzione democratica, di « secondo risorgimento.

Nenni, seguendo 'suo istinto istrionico, si drappeggiò da giacobino del ventesimo secolo: si inneggiò alla rinascita della Democrazia, alla riscossa sui « gruppi monopolisti », alla mortificazione della dominazione totalitaria del grande capitale portata all'acme dal fascismo mussoliniano. Ma era vero che, all'epoca della Esarchia e del Tripartito, il potere dello stato poggiasse altrove che sulla grande borghesia capitalistica? Era vero che « allora » la Democrazia Cristiana fosse un partito democratico, esponente degli interessi dei ceti medi, e quindi non ancora degenerato » nel totalitarismo, come pretendono, per scusarsi degli amori passati, stalinisti socialisti? E' chiaro che una risposta positiva significherebbe lo sconfessamento del certificato di morte steso dal marxismo alla democrazia. Eppure, la risposta positiva fu data, non solo nel campo dottrinale, ma in quello pratico politico, dai partiti di Togliatti e di Nenni.

Noi, invece, non abbiamo mai riconosciuto al partito democristiano una natura che non fosse capitalistica, e una funzione che non fosse antiproletaria e controrivoluzionaria, e quando Togliatti e Nenni sedevano accanto a De Gasperi e Scelba abbiamo riguardato costoro come espressioni politiche di un potere che derivava dalla forza materiale della classe capitalistica, e precisamente dalle forze armate degli eserciti anglo-americani. Se è vero che le forze del capitalismo italiano, dissestate ma non distrutte dalla sconfitta militare, sonnecchiavano e si mimetizzavano, non pertanto poteva parlarsi allora di governi fondati sull'alleanza della piccola e media borghesia e delle masse sfruttate. Dietro le forze sanculotte combattenti contro le orde reazionarie della Prussia e della Russia zarista si ergeva la Comune del 1792, questo sì un potere democratico fondato sulla piccola borghesia, sui contadini, sui proletari urbani. Ma dietro il governo dei pervertiti politici, spuntati nella fungaia dei C.L.N., e blateranti di democrazia, si ammassavano i carri armati e i cannoni degli Stati più capitalistici, più imperialistici, più antidemocratici della terra: gli Stati Uniti, l'Inghilterra, la Francia, per tacer della Russia.

Non c'era nemmeno e non c'è il potere della Chiesa, dietro la Democrazia Cristiana sortita dai Comitati di Liberazione. C'erano i generali di un paese capitalista, gli. U.S.A., che meno di tutti i poteri borghesi ha avuto bisogno degli strumenti ecclesiastici per assurgere alla strapotenza schiacciante, che oggi pesa sul proletariato mondiale. Perciò, non abbiamo mai riconosciuto alla Democrazia Cristiana il carattere dì partito clericale. Quale enorme confusione di termini! Partiti clericali erano, al tempo della rivoluzione antifeudale del secolo decimottavo, quelle forze politiche che riflettevano gli interessi della classe dominante aristocratico-ecclesiastica, e militavano per-tanto nel campo nemico della Democrazia, stendardo della borghesia. Clericali erano nel 1793 le orde controrivoluzionarie della Vandea, ribelli di fronte al governo rivoluzionario della Democrazia giacobina. Allora, non si poteva essere nello stesso tempo , democratici e clericali, non lo si può oggi, a meno che non si seguano le ciarlatanesche teorie storiche di un Nenni. Per noi la Democrazia Cristiana non è stata ieri, non è oggi, né democratica né clericale, ma è stata ed è soltanto borghese. E siccome non si può, dall'epoca del massacro della Comune, essere forza di governo del capitalismo senza essere totalitari, la D. C. doveva nascere e crescere totalitaria; fascista, se preferite.

Perciò, non abbiamo atteso che il Ministero De Gasperi imbavagliasse la stampa, permettesse le manifestazioni neofasciste, mettesse mano ai decreti legge, ecc., ecc. per scorgere in essa il partito qualificato della reazione capitalistica italiana. Non l'abbiamo atteso per vedere in essa l'erede dei fascismo, perché sappiamo con Marx che il potere della borghesia, lo Stato borghese, nacque storicamente come potere della grande borghesia detentrice dei mezzi di produzione e dei prodotti. Perché sappiamo che i brevi fugaci esperimenti di governi democratici piccolo-borghesi furono possibili solo in epoche anteriori al 1860-80 in cui il recente trionfo del modo di produzione capitalistico non aveva ancora per-messo in pieno la concentrazione dei capitali ín mostri industriali strapotenti e la necessaria progressiva espropriazione e subordinazione economica dei cosiddetti ceti medi, della piccola proprietà. in Italia, come ín tutti i paesi capitalistici, la concentrazione del capitale e la trasformazione dei « ceti medi » in lacchè del grande capitale era un fatto compiuto molto tempo prima che De Gasperi sbucasse dalle biblioteche vaticanesche e Togliatti dal bombardiere inglese proveniente da Algeri.

Se oggi succede che il capitalismo italiano abroga le concessioni formali, più apparenti che reali, e mostra senza dissimularlo il brutale e tirannico volto di uno spietato dominio di classe, ciò non ci sorprende. Se per fascismo si vuole intendere la dominazione spietata dei capitalismo, ebbene si può dire che il capitalismo è nato fascista. I regimi di Mussolini, di di Franco non dovevano che rendere palese questa verità, colta da un secolo dal marxismo. De Gasperi sta facendo del suo meglio per imitarli. Come movimento politico secolare, noi abbiamo visto morire la democrazia piccolo-borghese quando era veramente reale, e non abbiamo sprecato una sola lacrima sul suo miserabile cadavere. Non lo faremo oggi, che è solo un fantasma. Il partito democristiano non ha ritegno di invocare « un partito forte per uno Stato forte », cioè fascista? I proletari non debbono invocare la resurrezione del cadavere della Democrazia, ma lavorare a gettare le fondamenta di un partito di classe forte, più forte del partito e dello Stato borghese, prepararsi teoricamente e politicamente per rispondere alla violenza organizzata del totalitarismo borghese con la violenza organizzata della rivoluzione di classe.

Battaglia comunista, n.1, 9-23 gennaio 1952


Articolo ripreso da VENTO LARGO  il 31 gennaio 2022



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