31 gennaio 2022

SUL ROMANTICISMO REAZIONARIO DI HOUELLEBECQ

 


Questa recensione è uscita, con qualche taglio, su «Alias», domenica 23 gennaio. Nei prossimi giorni, per moltiplicare i punti di vista e alimentare la discussione sull’ultimo libro di Houellebecq, pubblicheremo anche la recensione di Annientare scritta per noi da Gilda Policastro.

  Dalla redazione del sito https://www.leparoleelecose.it/?p=43356

ROMANTICISMO REAZIONARIO

di Pierluigi Pellini



Titolo incendiario, sostanza pompier. Se voleva stupire, con il suo ultimo romanzo (Annientare, nella traduzione, scorrevole ma non sempre precisa, di Milena Zemira Ciccimarra, per La Nave di Teseo: pp. 752, euro 23), Michel Houellebecq c’è riuscito: pochissimo sesso, quasi nessuna provocazione politica; molto amore coniugale, molti buoni sentimenti. Soprattutto, pochissime idee: è un romanzo-romanzo, perfino ‘di genere’; non un romanzo a tesi, come i suoi libri più interessanti. Che manchino i consueti rigurgiti razzisti e islamofobi, o che il primo «pompino», peraltro interrotto, arrivi dopo più di quattrocento pagine, potrebbe essere una buona notizia. In realtà, svestiti i panni che più gli sono consoni, quelli dell’erotomane profeta reazionario, Houellebecq annienta il suo fascino ambivalente, rivelandosi scrittore mediocre e noioso.

 

Annientare è ambientato alla fine del secondo mandato di un mai nominato (ma riconoscibile) Macron; e con mossa furbesca – in Francia si avvicinano le presidenziali – mette in scena la campagna elettorale del 2027: è un racconto d’anticipazione che intreccia, senza mai fonderli, romanzo politico, storia familiare, thriller apocalittico. Dove i politici sono brave persone, la famiglia è rifugio sicuro, e perfino i misteriosi terroristi, mescolando magia bianca Wicca e hackeraggio, per un po’ rischiano di sembrare simpatici.

 

Il protagonista, Paul Raison (nomen omen: uomo pacato, triste, molto ragionevole), è collaboratore e amico del potente ministro dell’economia Bruno Juge, un tecnocrate pragmatico che ha saputo rilanciare l’industria francese, con una politica statalista incurante dei veti europei; e che in campagna elettorale affianca il candidato del partito presidenziale, una celebrità televisiva di nome Sarfati. Il padre di Paul, ex agente dei servizi segreti, vive invece nel Beaujolais, fra vigneti autunnali dai riflessi meravigliosamente kitsch (le descrizioni sembrano fare il verso, ma senza ironia, a un dépliant turistico); un ictus, che lo rende disabile, ha il merito di riavvicinare i suoi tre figli: oltre a Paul, il fragile Aurélien e la cattolica Cécile; quest’ultima, ottima cuoca (com’è giusto), è felicemente sposata con Hervé, notaio disoccupato a Arras (esistono notai disoccupati? forse chez les Ch’tis, nel depresso Nord…), legato a ambienti dell’estrema destra identitaria; Aurélien, invece, è sposato con una giornalista fallita, unico personaggio negativo del romanzo: naturalmente femminista e di sinistra, ancorché interessata solo ai soldi – con un articolo rancoroso provocherà il suicidio del marito. Infine, i terroristi, sempre fuori scena: con mezzi tecnologici sofisticatissimi, affondano portacontainer cinesi e bruciano banche dello sperma, avendo cura di danneggiare il commercio mondiale neo-liberista e gli immorali supermercati della vita, senza causare vittime; i capi dei servizi segreti, e lo stesso protagonista, non nascondono un certo ammirato rispetto. E quando alla fine (solo un dettaglio?) affondano anche un barcone con cinquecento migranti, l’indignazione, nel testo, sembra dividersi equamente fra loro e Macron, che strumentalizza il massacro, a pochi giorni dalle elezioni – infatti vinte con margine ridotto dal suo (mediocrissimo) delfino, e perse dal giovane candidato del Rassemblement National, a più riprese definito «bravissimo».

 

Fin dalle Particelle elementari, che resta il suo libro migliore (insieme a Extension du domaine de la lutte: ma i traduttori si ostinano a rendere con Estensione del dominio della lotta, anziché dell’‘àmbito’), Houellebecq interroga con acre pessimismo il futuro della Francia e dell’Occidente. A prima vista, Annientare è l’opposto di Sottomissione: se nel controverso romanzo del 2015 a Parigi prendeva il potere un partito islamico, cancellando ogni traccia di identità europea, nel nuovo libro vince la tecnocrazia. Debitamente riconvertito a un protezionismo soft, il Macron II ha fatto un buon lavoro. Certo, la disoccupazione cala poco, le RSA offrono ancora uno spettacolo indegno; ma le condizioni medie di vita sono accettabili, gli indicatori economici inducono all’ottimismo; e se la solitudine e l’individualismo continuano a dominare, il deserto affettivo del 2027 è punteggiato di oasi d’amore: dopo una lunga crisi coniugale, c’è un ritorno di fiamma fra Paul e Prudence; Aurélien vive una parentesi di felicità con un’infermiera nera; e perfino Bruno, l’algido ministro, si consola delle infedeltà della consorte con un’affascinante personal trainer di origine iraniana. C’è tanto amore, perfino inter-etnico. E sarebbe ingeneroso rimproverare a Houellebecq – che ha sempre rifuggito ogni forma di psicologismo – la repentina trasformazione di Prudence, motivata soltanto dalle suggestioni magiche (ancora!) del neopaganesimo Wicca.

 

Il punto è un altro: fluviale e ambizioso, programmaticamente molto diverso dai precedenti, adottando la trasparenza di una riconoscibile normalità, di un generalizzato ‘grado zero’, di una realistica medietas (scrittura piana, ambientazione rassicurante, personaggi pieni di buon senso, serietà del quotidiano), Annientare dice la verità su Houellebecq. Porta allo scoperto quel romanticismo frustrato e un po’ melenso, quel lirismo un po’ adolescenziale, che spesso, altrove, covava nelle ceneri del fuoco misogino; e conferma oltre ogni ragionevole dubbio che l’ideologia dei suoi romanzi (oltre che dell’autore) è di estrema destra. Se infatti dell’invettiva politicamente scorretta può darsi un’interpretazione allegorica, se l’iperbole si presta sempre (almeno da Céline in poi) a una lettura antifrastica – per questo Houellebecq (soprattutto in Italia) ha tanti estimatori di sinistra, che ne colgono le provocazioni anti-liberiste e anti-globalizzazione, affrettandosi a declinarle in senso progressista –, qui non può esserci ambiguità: i militanti anti-eutanasia che rapiscono il padre di Paul, per sottrarlo agli orrori della sanità pubblica francese, sono bravi ragazzi;  le tesi dei presentabilissimi eredi dei Le Pen sono ben motivate, lo riconoscono anche i ministri di Macron; ai terroristi eco-identitari non manca un’aura; il male è la Rivoluzione francese (e, sullo stesso piano, Hitler). Del resto, i modelli culturali sono espliciti: il padre di Paul legge con passione De Maistre; il ministro di Macron recita con enfasi Musset (!). Romanticismo e reazione.

 

Annientare è perciò il negativo fotografico, non l’opposto, di Sottomissione; e soprattutto dice la verità su Houellebecq scrittore. Le tre storie – politica, familiare, terroristica – si giustappongono senza mai integrarsi; l’enigma irrisolto degli attentati è addirittura lasciato cadere nell’ultima parte. La trama avanza (faticosamente) grazie a coincidenze che pure a Dumas père sarebbero parse un tantino azzardate: per dirne una, quando Paul, dopo anni di astinenza sessuale, percepisce la possibilità di riavvicinarsi alla moglie, reputa necessario un po’ di allenamento; e nell’immenso catalogo online delle escort parigine, sceglie precisamente la figlia di sua sorella (la cattolica integralista): se ne accorge nel bel mezzo di una fellatio di ottima fattura, che rimane perciò sfortunatamente inconclusa. Il suicidio di Aurélien, che ha appena trovato l’amore, è un capolavoro d’inverosimiglianza. Va ancora peggio con i sogni del protagonista, che infarciscono il libro intero di mere digressioni: sogni, direbbe Freud, senza ombelico, e quasi intercambiabili con il piano della realtà – unica funzione strutturale, allungare il brodo. 

Alla fine, Paul scopre di avere un tumore alla mascella. C’è qualcosa di pirandelliano, in Annientare: incesto mancato e suicidio, come nei Sei personaggi; e pure il fiore in bocca. Delle pagine finali il nume tutelare è Pascal; e l’addio alla vita, con la felicità quasi postuma al fianco di Prudence, è struggente (quasi senza enfasi kitsch). Sono le pagine migliori del libro. Non so quanti lettori riusciranno a arrivarci.


Articolo ripreso da https://www.leparoleelecose.it/?p=43356



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