12 gennaio 2022

P. FREIRE: L'eredità di un Maestro senza ricette.


Ho avuto la fortuna e il piacere di incontrare e parlare direttamente con Paolo Freire, nel lontano febbraio del 1976, al Centro di Formazione di Trappeto (PA), nel corso dell'ultimo grande Seminario Internazionale di Studi, organizzato da Danilo Dolci nel suo mitico  "Borgo di Dio". In quel periodo lavoravo al Centro Studi e Iniziative creato da Danilo.

 A quel Seminario parteciparono i maggiori psicologi e pedagogisti del tempo. Ricordo ancora a memoria qualche nome: l' accademico polacco Bogdan Suchodolskij (autore del celebre Fondamenti di pedagogia marxista, tradotto in lingua italiana nel 1967 da La Nuova Italia, a cui devo la prima chiara visione della realtà del cosiddetto "socialismo reale". Il grande studioso che parlava perfettamente la lingua italiana, in una pausa dei lavori, mi confessò che era molto più facile essere marxisti in Italia piuttosto che in Polonia o in Unione Sovietica. Della sua Polonia diceva che era un Paese più cattolico che socialista!); J. Vonech (discepolo di J. Piaget);  Gastone Canziani, ecc.  (fv)


Un maestro senza ricette

Irene Culcasi
12 Gennaio 2022

C’è ancora spazio per Freire? Cosa accade quando la filosofia freiriana incontra la realtà degli studenti e delle studentesse? La visione pedagogica di Freire e la sua esperienza, sviluppatesi in diversi contesti del mondo, mostrano come in ambito educativo non ha alcun senso seguire ricette predefinite. Per le educatrici e gli educatori freriani, scrive Irene Culcasi su Educazione Aperta, si tratta di legare teoria e pratica, di coltivare prima di tutto una pedagogia della domanda, di mettere al centro le esperienze informali nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nei cortili dove si gioca… E di comprendere, insieme agli educandi, che ci sono spazi possibili per apprendere, cioè produrre ricerca e conoscenza, mentre si trasforma la realtà e la vita di ogni giorno


‌Origini del pensiero di un intellettuale di frontiera

Intellettuale di frontiera, Paulo Regulus Neves Freire, universalmente noto come Paulo Freire (1921- 1997), è un educatore, un pedagogista e filosofo dell’educazione la cui identità culturale ha attraversato i confini dell’America Latina estendendosi fino all’Africa e all’Europa. La sua storia “lo pone in una situazione di superamento della relazione fra identità individuale e soggettività collettiva […]. Essere esule, senza casa, significa, in altri termini, vivere costantemente l’attraversamento di luoghi dell’Alterità: questi sono i tratti che hanno caratterizzato la sua vita e la sua opera di educatore”[1]. Ripercorrere la biografia di Paulo Freire è un modo per comprendere le origini del suo pensiero che, anche partendo da una base teorica, fonda le radici nell’esperienza[2].

La sua visione dell’uomo e dell’educazione nasce nel contesto del Nord-Est brasiliano degli anni ‘60, dove la metà della popolazione del Paese – che allora contava trenta milioni di abitanti – viveva, per usare le parole di Freire, nella cultura del silenzio, era cioè analfabeta[3]. La ricerca di giustizia, perseguita inizialmente da Freire negli studi di Diritto, sembra divenire più attraente e possibile attraverso i cammini dell’educazione[4]Con il Movimento di Educazione Popolare, Freire mette in atto le prime campagne di alfabetizzazione, realizzando ciò che fino ad allora poteva essere concepito come il maggior sforzo di democratizzazione mai avvenuto nel Paese: aiutare l’uomo a leggere la parola per leggere criticamente il mondo. Un processo di alfabetizzazione per accompagnare l’uomo nella ricerca verso la sua umanizzazione che implica l’essere soggetto attivo della storia, in una ricerca continua di “essere di più”, ser mais. In altre parole, “l’alfabetizzazione rappresentava, per Paulo Freire, una possibilità di elevare la coscienza (conscientização) [delle classi oppresse] rispetto alla realtà effettiva dell’oppressione[5], rompendo il muro di quella presunta falsa inferiorità creata dai poteri egemonici. Rompere la cultura del silenzio, significa quindi, prima di tutto, rompere la sottomissione creata dai processi storici di colonizzazione[6]. Apprendendo dalla pratica, Freire divenne un educatore, “imparò a dialogare con la classe lavoratrice, [con gli oppressi], a comprendere il modo in cui apprendevano il loro linguaggio e il mondo. […] E fu così che imparò qualcosa da cui non si sarebbe mai più allontanato: a pensare partendo sempre dalla pratica[7]. Gli interventi pedagogici e le riflessioni di Freire – sviluppatesi in un intreccio molto stretto fra vicenda biografica e vicende politiche del Brasile, che lo hanno visto esiliato per sedici lunghi anni (1964-1980) – hanno preso il nome, in America Latina e poi nel mondo, di educazione popolare. Freire riceverà numerosi riconoscimenti per le sue idee e pratiche pedagogiche tra i quali: il premio UNESCO dell’Educazione per la Pace nel 1986, il Premio Re Baldovino per lo Sviluppo Internazionale in Belgio e Laurea Honoris Causa da molte università brasiliane, nordamericane e europee. In Italia è l’Università di Bologna ad attribuirgli il titolo nel 1989. Il riconoscimento forse più importante arrivò però con dieci anni di ritardo dalla sua morte, quando nel 2007 il Governo del Brasile, sotto la presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva, rilasciò a Ana Maria Araujo (Nita), seconda moglie di Freire, le scuse ufficiali per l’esilio a cui era stato condannato, scuse che lo stesso Governo estese ad ogni brasiliano analfabeta. Nonostante ciò, il Paese di Paulo Freire, il patrono dell’educazione brasiliana, conosciuto e rispettato in tutto il mondo per il suo lavoro, in quegli anni era ancora molto lontano dal raggiungere la meta del 6,7% di analfabetismo firmata con l’ ONU entro l’allora vicino 2015; addirittura nel 2012, sotto la presidenza di Dilma Roussef, il tasso, invece di diminuire, crebbe dell’un per mille. Oggi, è la stessa Nita ad affermare in diversi scritti che “l’acquisizione della lettura della parola per una lettura del mondo cosciente, critica, come diritto umano fondamentale, motore di cittadinanza, capace di rendere visibile il sogno più grande della democratizzazione etica e politica della nostra società, può essere sotto minaccia”[8].

Approssimarsi all’eredità di Paulo Freire

Leggendo le opere che più evidenziano le linee maestre della visione pedagogica di Paulo Freire ci si può porre i seguenti interrogativi: “Si può dire che c’è ancora spazio per Freire: oggi e nel futuro? Si può sostenere che la pedagogia freiriana sia a tutt’oggi rilevante? Per chi? Per cosa? Come?”[9] E ancora: si può trasportare nell’aula il suo pensiero politico-educativo? “Siamo partiti da una domanda. E siamo convinti che una domanda (o molte domande) sia un buon punto di partenza, un buon camino, un buon approdo. Insomma, una buona pedagogia della domanda[10]. Seguiamo d’altronde lo stesso percorso metodologico che Paulo Freire adottava quando veniva invitato a discutere pubblicamente su un tema: partendo dalla ricerca di significato, sviluppava riflessioni e apriva un dialogo con gli interlocutori, cercando di accorciare la distanza tra la conoscenza specializzata-accademica, che occupa solitamente il luogo ideale del “come dovrebbe essere” e la sua traduzione in strumento del processo educativo. In questo tentativo di avvicinamento all’eredità freiriana, l’aspetto fondamentale riguarda il comprendere come porsi di fronte ai suoi insegnamenti. Lo stesso Freire, in diverse occasioni pubbliche e nei suoi scritti, suggerisce ai suoi interlocutori di non cercare ricette magiche che li aiutino a ottenere meccanicamente risultati migliori nella loro pratica pedagogica. Con ancora più forza e convinzione ha sempre esortato i suoi lettori a non sottrarsi dal reinventare costantemente le sue idee, mosso dalla convinzione che quando la storia o le idee si congelano, si eclissa la possibilità della creatività e si annulla l’opportunità di sviluppare un progetto politico e educativo. È questa la nostra sfida nell’avvicinarci all’eredità freiriana: “riscrivere” le idee apparentemente immobilizzate, utilizzando i suoi testi come veicolo per dialogare potenzialmente con lui e superare l’incompiutezza possibile dei concetti. Il significato più profondo dei testi e delle idee di questo educatore diventa allora creazione del lettore che, sforzandosi con lealtà di non tradire lo spirito dell’autore, “riscrive” le sue stesse idee[11]. L’indicazione pratica su come rendere realizzabile questo processo di reinvenzione proviene dallo stesso Freire quando spiega che la chiave sta nel comprendere la sostanza delle sue idee:

“nel mio caso particolare, considero che la sostanza delle mie idee […] sta nella necessità di rispettare l’Altro [che implica] necessariamente il mio rifiuto ad accettare qualsiasi tipo di discriminazione, la mia opposizione radicale alla discriminazione razziale, di genere, di classe e culturale”[12].

Altri topoi della sua visione pedagogica consistono nella comprensione della storia come possibilità, ossia il rifiuto di qualsiasi visione determinista della storia; nell’amore incondizionato per la libertà e nella certezza che gli uomini possano tornare ad essere trasformatori, dialogici e costruttori nel prendere decisioni e sviluppare capacità di rottura. A partire da questi contenuti che non possono essere “traditi”, avvicinarsi a Freire significa rielaborarli nel proprio contesto storico-culturale specifico, in differenti momenti e condizioni. “Pertanto, come si può vedere, non solo è impossibile ma è anche una vera tragedia ridurre la sostanza delle mie idee in mera tecnica”[13].

In definitiva, la visione pedagogica di Freire e la sua esperienza, sviluppatesi in diversi contesti del mondo, ci aiutano a comprendere che in ambito educativo non ha alcun senso seguire ricette predefinite ma occorre accettare e utilizzare in maniera costruttiva e creativa i limiti che il contesto stesso impone per rendere il nostro intervento pedagogico efficace[14].

In un’intervista rilasciata in occasione dei 30 anni da quando l’Università di Barcellona ha conferito, nel 1988, il Dottorato Honoris Causa a Paulo Freire, José Eustáquio Romão[15], segretario generale del Consiglio Mondiale degli Istituti Paulo Freire, ha evidenziato come il pedagogista brasiliano, molto conosciuto per la sua metodologia di alfabetizzazione di adulti, non abbia creato alcuna tecnica miracolosa; l’intuizione fondamentale di Freire è quella di aver compreso che “gli esseri umani apprendono quando il messaggio è vissuto e non semplicemente ricevuto/consegnato. Non è una comunicazione tra un emittente e un destinatario, quanto più una comunicazione integrale con la dimensione politica di tutta la relazione umana. Io non parlo né di elezione né di partito ma del fatto che tutta la relazione umana ha una dimensione specifica (per esempio affettiva, emozionale o pedagogica) e un’altra politica”[16]. In altre parole, l’educazione popolare, nella sua semplicità e nella sua natura, ci guida verso la progettazione di spazi di creazione culturale, impegnando chi apprende nella scoperta comunitaria, valorizzando il dialogo e lo scambio permanente[17].

Educazione e limite verso un cambiamento possibile

In occasione della conferenza Derechos humanos y educación liberadora[18], tenutasi nel ’98 presso l’Università di San Paolo, in Brasile, Paulo Freire spiegava al suo auditorio che l’efficacia dell’educazione risiede nel suo stesso essere limitata, sottomessa cioè a limiti storici, politici, ideologici, culturali, economici, sociali; limiti che sono parte della sua naturale pratica e che sono impliciti nell’incompiutezza dei soggetti che la vivono.

“Se l’educazione ‘potesse tutto’ non ci sarebbero tante riflessioni o studi intorno ai suoi limiti ma è anche vero che se l’educazione non può tutto, ‘può alcune cose’ ed è in questo ‘potere alcune cose’ che risiede la sua efficacia. […] Il grande problema dell’educatore non è dunque discutere se l’educazione può o non può ma dove può, come può, con chi può, quando può; è riconoscere i limiti che la sua pratica impone”[19].

È intuire che nonostante l’educazione non sia la chiave della trasformazione sociale, è senza dubbio fondamentale per la sua realizzazione. In altre parole, è comprendere che si sono spazi possibili per trasformare la realtà. Accettare l’educazione nei suoi limiti è, pertanto, fare ciò che storicamente può essere fatto, anche con e attraverso l’educazione. Ed è a partire da questo sapere fondamentale – ovvero che cambiare è possibile anche se difficile – che si apre il cammino all’azione politico-pedagogica. Educare esige riconoscere che il cambiamento è possibile. Scriveva Freire in Pedagogia dell’autonomia:

“nessuno può stare nel mondo, con il mondo e con gli altri in modo neutrale. Non posso stare nel mondo con i guanti, limitandomi a constatare […] il che implica decisione, scelta, intervento nella realtà”[20].

E l’educazione è il processo che porta all’intervento nella realtà perché è impossibile concepire uno studio per lo studio, uno studio senza impegno come se fosse svincolato dal mondo in cui viviamo, come se fosse “un qualcosa di esterno e distante, un mondo che è estraneo quanto noi lo siamo ad esso”[21]. Con le parole di Salvatore Colazzo, per comprendere realmente Freire “bisogna abitare una pratica, accettare l’idea che la pedagogia sia essenzialmente una scienza pratica che si realizza in una condizione di relazionalità”[22]. In questo senso, continua Colazzo, “la pedagogia non è occupazione solitaria di uno studioso, ma movimento collettivo che modifica la realtà”[23]. Quando il pedagogista brasiliano in Pedagogia dell’autonomia parla di educazione come intervento nel mondo si riferisce sia al fatto che aspira a creare le condizioni di cambiamento nelle relazioni umane, nella società, nell’economia, nel diritto alla salute, alla terra e all’educazione, sia al fatto che con essa si possono mantenere disumanizzazione e ingiustizie, fermando la storia. Sono due forme di intervento che dividono gli uomini nelle scelte. C’è però sempre un’intenzionalità e, scrive Freire:

“è nell’intenzionalità dell’educazione – questa vocazione che essa ha come azione specificatamente umana di ‘indirizzarsi’ verso sogni, ideali, utopie e obiettivi – che si trova quella che ho definito la natura politica dell’educazione. La qualità di essere politica che è inerente alla sua natura. In realtà la neutralità dell’educazione è impossibile. Ed è impossibile non perché lo decidono insegnanti ‘facinorosi’ e ‘sovversivi’. L’educazione non diventa politica poiché lo decide questo o quell’educatore. Essa è politica”[24].

L’educatore critico – colui che ha preso coscienza di ciò – non potrà trasformare il Paese ma potrà dimostrare che il cambiamento è possibile attraverso la diretta testimonianza del suo modo di essere presente nel mondo, del suo gusto di vivere, della sua speranza in un mondo migliore, del suo rispetto verso le differenze[25] e della sua solidità nel modo di far capire agli educandi che “possono compiere un’esperienza profonda assumendo se stessi come soggetti: come esseri sociali e storici, che pensano, che comunicano, che trasformano, che creano, che realizzano sogni, che sono capaci di indignarsi perché capaci di amare”[26]. Ne consegue che l’esperienza scolastica è necessario sia vissuta in modo credibile. Una scoperta del pedagogista brasiliano, molto semplice ma anche molto reale, è che le persone apprendono solo ciò che giudicano importante per la loro vita. Molto di ciò che si apprende a scuola si dimentica, questo è chiaro, perché non era importante per risolvere problemi nel proprio contesto.

Però c’è una frase di Freire che poche persone comprendono:

“nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo”.

È qui la chiave: noi uomini impariamo e conserviamo solo ciò che è stato mediato dal mondo; non è stato il maestro, né il programma di studi, né i libri. Il processo di consapevolezza critica è questo: di ciò che mi hanno spiegato gli insegnanti, quello che mi è rimasto è ciò che mi aiuta a risolvere i problemi del mio mondo. Per un educatore la vera questione non risiede dunque nelle tecniche, nei metodi e negli strumenti – che senza dubbio sono importanti – ma nel comprendere la sostanza, il senso del processo educativo che a sua volta richiede molteplici tecniche per raggiungere un obiettivo particolare. E ancora, comprendere che la pedagogia critica freiriana non mira, né si limita, al solo intellettuale ma implica un procedimento pratico e teorico che cambia, muovendosi e reinventandosi in funzione del contesto in cui agisce[27]. Per questo, per un educatore, considerare le tecniche come qualcosa di prioritario significa perdere di vista il fine ultimo dell’educazione.

Prassi pedagogica: coerenza tra teoria e pratica per la formazione del cittadino

Entrando nel vivo della prassi pedagogica – testimoniata dallo stesso Freire in un tempo di vita che gli ha permesso di divenire un “viandante del mondo”, come egli amava dire – ci riproponiamo le stesse domande che lui riportava in Pedagogia degli Oppressi: “cosa significa educare? […] Chi educa chi? Quali rapporti esistono tra educazione e società e tra educazione e cambiamento?”[28]. A fronte di tali interrogativi è importante soffermarsi su un aspetto da lui ritenuto essenziale: collegare sempre, coerentemente, teoria e pratica, il che implica un rapporto nuovo con i contenuti dell’educazione, che devono essere letti, interpretati e insegnati attraverso una curiosità critica, all’interno di una relazione dialogica con i propri studenti[29]. Che succede però quando la teoria freiriana che un insegnante ha approcciato incontra la realtà dei suoi alunni? Come evitare la frustrazione di un docente che ha provato tutte le ricette e sente di aver fallito? Come insegnante, avere questa consapevolezza del necessario collegamento tra teoria e pratica, significa entrare in aula e diventare un essere critico e indagatore, inquieto davanti al compito di creare le possibilità per la produzione e la costruzione della conoscenza[30]. Ne consegue l’attivo e reciproco coinvolgimento tanto degli alunni quanto di chi insegna e introduce il principio dell’autenticità nell’insegnare. In questo modo gli educandi si percepiscono a fianco dell’educatore perché vedono che in lui è costantemente vivo quel processo di formazione e produzione del sapere. Educatore e educando diventano soggetti dello stesso processo per cui non c’è insegnamento senza apprendimento. “I due termini si spiegano a vicenda e i loro soggetti, pur con tutte le differenze che li connotano, non si riducono alla condizione di essere oggetto l’uno dell’altro”[31]. Un approccio siffatto esige anche il rispetto nei confronti dei saperi degli educandi; impone il dovere di stabilire un’intimità tra i contenuti di insegnamento e le esperienze sociali che gli allievi hanno come individui, attraverso un collegamento tra contenuti didattici e realtà concreta.

Scrive Freire in Pedagogia dell’autonomia:

“è davvero un peccato che venga trascurato il carattere socializzante [della realtà concreta] della scuola, quel tanto di informale presente nell’esperienza che in essa si vive, sia come momento di formazione che di deformazione. […] In fondo ci sfugge un fatto: è stato apprendendo in forma socializzata che donne e uomini – storicamente – hanno scoperto che è possibile insegnare. Se ci fosse chiaro che è stato apprendendo che abbiamo intuito la possibilità di insegnare, comprenderemmo facilmente l’importanza delle esperienze informali nelle strade, nelle piazze, nel lavoro, nelle aule delle scuole, nei cortili dove si gioca, laddove i diversi gesti di alunni, personale amministrativo, insegnanti si incrociano con il loro carico di significati”[32].

Questo è ciò che caratterizza l’educazione che Freire definisce “problematizzante” che si oppone fortemente a un altro tipo di educazione, oggi ancora molto diffuso, la cosiddetta “educazione bancaria” o “depositaria”. Ecco l’educazione ‘depositaria’, in cui l’unico margine di azione che si offre agli educandi è ricevere i depositi, conservarli e metterli in archivio. […] In questa concezione […] dell’educazione […] chi rimane confinato in archivio sono gli uomini. Archiviati, perché fuori da una ricerca, fuori della prassi, gli uomini non possono ‘essere’”[33].  La sua critica non è però rivolta alla lezione espositiva, che considera necessaria nella pratica di insegnamento[34] ma al ruolo che acquisisce l’educatore quale unico proprietario del sapere che riduce l’educazione al tentativo di fare degli uomini esattamente il loro contrario, esseri addomesticati cui viene negata la vocazione ontologica a essere di più[35]. Nell’intervista sopracitata rilasciata da José Eustáquio Romão, alla domanda: “Cosa dovrebbe fare il professore freiriano?” risponde che molti critici della scuola freiriana contestano l’assenza di curriculo e temi ma non si accorgono che in questo tipo di scuola il curriculo accademico non è prefabbricato e impacchettato dai docenti e imposto agli studenti ma è elaborato congiuntamente con loro, a partire proprio dall’indagine di quelli che sono i temi generatori del mondo degli alunni. Secondo il professor Romão il curriculo prefabbricato non funziona, il rischio di fallimento è molto elevato; a titolo esplicativo afferma: “gli studenti non hanno la motivazione di apprendere perché i corpi cadono con una accelerazione di 14 Newton per secondo; A chi interessa questo? Però, come docente posso provare a far rivivere agli studenti l’esperienza di Newton nel loro sistema simbolico, perciò devo prima esplorare questo loro sistema e capire dove si produce il fenomeno fisico e poi renderlo esperienza concreta. Freire diceva che se per alfabetizzare gli operai, le parole generatrici erano alcune, per alfabetizzare i piantatori di canna da zucchero le parole generatrici sarebbero state altre, diverse. Lavoro con lo stesso apprendimento, che è la lettura-scrittura, però i contenuti e le strategie sono diverse perché gli universi dei loro sistemi simbolici lo sono”[36]. Cosa fa dunque un educatore critico? “ricostruisce la ‘conoscenza’ dell’oggetto attraverso la ‘conoscenza’ degli alunni”[37], il loro uragano interno, la loro inquietudine, ansietà e frustrazione. Ne consegue che il contenuto di un programma curricolare non può derivare dalla scelta esclusiva dell’educatore ma sarà il risultato della ricerca dell’educatore e degli educandi nella realtà, che va intesa come ambiente di mediazione, e nella coscienza che essi ne hanno. “Il momento di questa ricerca dà inizio al dialogo dell’educazione come pratica della libertà. In altre parole, nel processo formativo immaginato e praticato da Freire, ci si discosta da quel pericolo sempre presente che vede la scuola e il mondo della formazione arrogarsi per ‘diritto divino’ il compito di cancellare dalla memoria e dal corpo cosciente degli alunni i loro linguaggi che nel profondo non sono altro che comportamenti, sentimenti e percezioni del mondo con i quali arrivano dentro le pareti delle aule[38]. Questo ‘diritto divino’, di lunga tradizione, si osserva ancora oggi nella crisi della disciplina – che denuncia il rischio di caduta nella indifferenza conformistica – vissuta nella pratica pedagogica come verbalismo astratto. Altro invece è la disciplina intesa come condizione intrinseca di comunicazione coerente di sé, di socializzazione non prevaricante, di costruzione educativa come progetto storico-civile[39]. La disciplina come pratica educativa che rispetta la soggettività dialogica e creativa degli esseri umani, quella che li considera portatori di una coscienza in rapporto intenzionale col ‘mondo’. “In questa prospettiva l’educazione si fa ‘problematizzante’, supera perciò la dogmatica e predefinita struttura oppressiva educatore/educandi e assume l’intima caratteristica della dialogicità, che reimposta creativamente e, in modo sempre nuovo, sia la relazione interpersonale-sociale sia il rapporto con il mondo e con i contenuti”[40]. L’educazione diviene allora prassi trasformativa che si incarna nel continuum tra azione e riflessione per una nuova cittadinanza. Il 17 novembre del 1990, durante il I Seminario Statale su Ciudadania e Alfabetizaçao[41]tenutosi presso l’Università Federale di Alagoas, in Brasile, Paulo Freire, riflettendo sul tema della cittadinanza, si chiese:

“Cittadinanza è solamente l’aggettivo che qualifica l’uomo e la donna di un certo luogo del mondo? Cosicché la cittadinanza brasiliana è quella di chi nasce in Brasile; la cittadinanza francese appartiene a quelli che nascono in Francia. No, cittadinanza non è un mero ‘aggettivo’ che qualifica una persona in funzione della geografia. È qualcosa di più. La cittadinanza si riferisce direttamente alla storia delle persone e ha a che vedere con qualcosa di molto più esigente, che è l’assumere la propria storia”[42].

Con questo Freire vuole sottolineare che la cittadinanza implica il diritto di assumere la storia socialmente, da una prospettiva individuale ma sempre verso un agire collettivo. L’alunno-cittadino acquisisce, grazie all’educazione, consapevolezza del proprio potere decisionale e pertanto della propria responsabilità e corresponsabilità sociale e civile, tendendo così alla realizzazione della sua persona attraverso la compartecipazione con gli altri[43]. Si tratta, infatti, di un concetto strettamente connesso a quello della ‘partecipazione’ e partecipare vuol dire avere una voce, ovvero il diritto di chiedere, criticare, suggerire, in definitiva assumere una presenza critica nella storia. A partire da queste considerazioni si comprende in maniera chiara la relazione tra educazione e cambiamento postulata da Freire nella sua opera: l’educazione, strumento limitato, umile, che non può tutto, è indispensabile per la creazione, l’applicazione e la coltivazione del senso di cittadinanza[44]Nella prassi pedagogica la sfida dell’educatore sarà quella di elaborare programmi e metodi di insegnamento, sforzandosi di inserire la scuola nella comunità, a partire dal linguaggio e dai temi generatori dei suoi alunni. Servendosi dell’interdisciplinarietà avrà l’obiettivo di creare l’esperienza di una realtà globale che prende forma all’interno della vita di tutti i giorni degli studenti, della comunità e degli insegnanti stessi.

L’invito ad un dialogo critico

L’eredità freiriana che oggi conosciamo con il nome di ‘educazione popolare’ ha attraversato diverse tappe storiche, conoscendo fasi di crisi e di riscoperta. Le principali critiche riguardano un eccesso di attivismo, una scarsa sistematizzazione delle metodologie educative e rigorosità nell’analisi politica[45]. D’altronde, porre le idee di questo intellettuale di frontiera davanti a nuove sfide lanciate dai contesti socio politici, è forse il regalo più grande che può essergli fatto per seguitare a dar vita al suo pensiero nella continuità della dinamica storica. Ci siamo chiesti se ci sia ancora spazio per Freire, oggi e nel futuro e abbiamo focalizzato la riflessione sul quel ‘dove, come, con chi e quando’ può l’educazione, partendo dai suoi stessi limiti. Una delle riflessioni che sicuramente possiamo trarre dall’incontro stimolante con Paulo Freire consiste nel poter apprezzare la dimensione del nostro essere inconclusi e, per questo, valerci della riflessione e dell’analisi permanente sulla nostra pratica di educatori e educatrici per cercare di appropriarci poco a poco dei saperi che realmente ci costituiscono come insegnanti coscienti e critici del nostro fare quotidiano. Freire fa della riflessione sulla pratica il punto di riferimento per apprendere ad essere educatori e così, postula nella curiosità la possibilità di conoscere, comprendere, criticare e trasformare. Nel frattempo, senza tracciare un percorso in anticipo per noi, ci delinea una dimensione che ci spinge ad un’azione consapevole e critica per superare la curiosità puramente ingenua, che chiama curiosità epistemologica[46]. Più in generale, nel suo vivere eticamente, Paulo Freire, ci ha offerto una teoria politica che ci da la possibilità di tornare ad essere coscienti del nostro ruolo di soggetti etici della storia, pertanto capaci di farci portatori, attraverso azioni culturali, di un’utopia liberatrice[47]. Possiamo inoltre affermare che “l’attualità del suo pensiero deriva non soltanto dalla sua validità, ma anche dal fatto che il contesto storico attuale non è così radicalmente diverso da quello nel quale Paulo Freire ha sviluppato le sue idee”[48]. “Nelle società democratiche del mondo globalizzato le forme di oppressione non scompaiono, ma assumono forme sottili e ubiquitarie particolarmente insidiose da riconoscere e contrastare”[49]. Queste forme si ritrovano, tra le altre, nell’eccesso di flessibilità, incertezza, precarietà della contemporaneità[50]. Con le parole di Nanni:

Sono ancora molte le situazioni che non si possono far passare sotto silenzio all’interno della società della globalizzazione, del benessere e della prestazione efficace: i nuovi poveri presenti anche nelle società del sovra-sviluppo, la triste sorte delle masse […] che migrano e circolano in Occidente, ridotte a forza-lavoro a basso costo, il dilagare delle ‘guerre dei poveri’ nei molti Paesi tenuti dalla comunità internazionale in stato di sfruttamento, di soggezione e di fame. La pedagogia di Freire può spingere ad una speranza impegnata, nella coscienza dei limiti personali e nel rispetto ‘dialogante’ delle diversità; può spronare a uscire dal mutismo interiore e dalla omologazione massificatoria e mass-mediale e a ritrovare la capacità di lettura critica della realtà e la voglia di impegnarsi nel proprio mondo e nella storia di tutti[51].

La pedagogia di Freire restituisce dignità all’educazione, quale motore di creatività critica per le nuove generazioni, restituendo prima di tutto dignità agli educandi, accompagnati da educatori ‘apprendisti’ fortemente connotati da un costante atteggiamento di ricerca[52]. Vita e opera di quello che abbiamo conosciuto come uno dei più grandi intellettuali di frontiera potrà servire da stimolo a proseguire nel compito collettivo, di costruzione e ricostruzione sociale, nel quale l’educatore ha un peso e, a lungo termine, un ruolo decisivo[53]. A distanza di cento anni  dalla sua nascita, Paulo Freire “è ancora urgentemente attuale perché la sua prospettiva si connota come un modo profondo, raffinato e complesso di pensare l’umano e il rapporto tra io-mondo diventando, in un secondo momento, proposta pedagogica ed educativa”[54]. Tale ricchezza ci spinge verso la sua stessa re-invenzione, ispirando scelte valoriali e metodologiche, strategie educative e modelli di intervento[55].


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Tagliavia A., L’eredità di Paulo Freire: vita, pensiero, attualità pedagogica dell’educatore del mondo, EMI, Bologna 2011.

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Vittoria P., Critical Education in Paulo Freire: Educational Action for Social Transformation, in “Journal of Phenomenology and Education”, 22(51), 2018.


[1]1 A. Ardito, Paulo Freire educatore interculturale, in “Ricerche di Pedagogia e Didattica”, 2007, cit. p.2.

[2] A.  Tagliavia, L’eredità di Paulo Freire: vita, pensiero, attualità pedagogica dell’educatore del mondo, EMI, Bologna 2011.

[3] M. Gadotti, B. Bellanova, F. Telleri, (a cura di), Leggendo Paulo Freire: sua vita e opera, Società Editrice Internazionale S.p. A., Torino 1995, cfr. p. 13.

[4]A. Tagliavia, L’eredità di Paulo Freire: vita, pensiero, attualità pedagogica dell’educatore del mondo, cit. p. 20.

[5] P. Vittoria, Critical Education in Paulo Freire: Educational Action for Social Transformation, in “Journal of Phenomenology and Education”, 2018, 22, https://doi.org/10.6092/issn.1825-8670/8459, cit. p. 38.

[6] Ivi, p. 39.

[7] M. Gadotti, C. Nanni, F. Colombo (a cura di), Paulo Freire: pratica di un’utopia, Editrice Berti, Piacenza 2003, cit. p. 8.

[8]  A. M. A. Freire [Nita], Presentación a pedagogía de los sueños posibles. In P. Freire, Paulo Freire el maestro sin recetas. El desafío de enseñar en un mundo cambiante, Siglo Veintiuno Editores, Buenos Aires, Argentina 2016, cit. p. 34.

[9] M. Gadotti, B. Bellanova, F. Telleri, (a cura di), Leggendo Paulo Freire: sua vita e opera, cit. p. 29.

[10] Ivi, p. 6.

[11] P. Freire P., Paulo Freire, cartas a quien pretende enseñar, Siglo Veintiuno Editores, Argentina 2018, p. 63.

[12] Ivi, p. 75.

[13]  Ivi, p. 77.

[14]  M. Gadotti, B. Bellanova, F. Telleri, (a cura di), Leggendo Paulo Freire: sua vita e opera, cfr. p. 2.

[15]  José Eustáquio Romão – Direttore fondatore dell’Istituto Paulo Freire del Brasile – ha lavorato con Paulo Freire dal 1986 fino alla sua morte, nel 1997, e con lui ha visitato le aree più povere del Brasile per lottare per la democratizzazione e l’universalizzazione dell’insegnamento.

[16] V. Saura, Hay que reinventar a Paulo Freire en la educación superior, 2018, url: https://eldiariodelaeducacion.com/blog/2018/10/21/hay-que-reinventar-a-paulo-freire-en-la-educacion-superior/ (consultato il 7 marzo 2021).

[17] P. Vittoria, Critical Education in Paulo Freire: Educational Action for Social Transformation, cfr. p. 40.

[18]  “Diritti umani e educazione liberatrice” (traduzione a cura di chi scrive). La conferenza è stata realizzata nel 1998 all’interno del Ciclo di Conferenze sui Diritti Umani, su invito della Commissione di Giustizia e Pace dell’Arcidiocesi di San Paolo, nella Facoltà di Diritto de la Universidade de São Paulo (USP) Largo de São Francisco, Brasile.

[19]  P. Freire, Paulo Freire el maestro sin recetas. El desafío de ensenar en un mundo cambiante, Siglo Veintiuno Editores, Argentina 2016, p. 43.

[20]  P. Freire, Pedagogia dell’autonomia: saperi necessari per la pratica educativa, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2014,  p. 66.

[21] Ibidem.

[22]  S. Colazzo, Attualità vs. inattualità di Freire, in Paulo Freire pedagogista di comunità: libertà e democrazia in divenire, in Paulo Freire pedagogista di comunità: libertà e democrazia in divenire, a cura di P. Ellerani, D. Ria, (pp. 19-25), Università di Salerno, Salerno 2017, cit. p. 24.

[23] Ibidem.

[24]  P. Freire, Pedagogia dell’autonomia: saperi necessari per la pratica educativa, p. 91.

[25]  P. Freire, L’educazione come pratica della libertà, Arnaldo Mondadori Editore S.p.A, Milano, 1973.

[26]  P. Freire, Pedagogia dell’autonomia: saperi necessari per la pratica educativa, p. 39.

[27] P. Vittoria, Critical Education in Paulo Freire: Educational Action for Social Transformation, in “Journal of Phenomenology and Education”, 2018, 22, https://doi.org/10.6092/issn.1825-8670/8459, cfr. p. 43.

[28] P. Freire P., Pedagogia degli oppressi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002,  p. 15.

[29] G. Milan, Alla scoperta di Paulo Freire nella pedagogia attuale, http://www.giovaniemissione.it/centro-documentazione-freire/1430/alla-scoperta-di-paulo-freire-nella-pedagogia-attuale/, cfr. p. 5  (consultato il 14 aprile 2021).

[30] P. Freire, Pedagogia della speranza: un nuovo approccio alla pedagogia degli oppressi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2014,  p. 43.

[31]P. Freire, Pedagogia dell’autonomia: saperi necessari per la pratica educativa, cit., p. 25.

[32]Ivi, pp. 40-41.

[33]  P. Freire, Pedagogia degli oppressi, cit., p. 58.

[34]  Per il pedagogista brasiliano la lezione frontale non è di per sé negativa se non si limita necessariamente ad essere trasferimento di conoscenze. È il caso della lezione espositiva che sfida gli allievi a partecipare insieme all’insegnante all’analisi dell’esposizione appena conclusa. In questo modo gli educandi si interrogano, approfondiscono e partecipano aggiungendo un loro contributo all’esposizione iniziale. “Un lavoro di questo genere non può essere considerato nocivo o tradizionale, nel senso negativo del termine. Infatti, in questo caso, la relazione della conoscenza non si esaurisce nell’oggetto della conoscenza ma si allaccia all’altro soggetto, diventando una relazione soggetto-oggetto- soggetto”. Ivi, p. 58.

[35]  M. Castiglioni, Perché Paulo Freire, nell’educazione di oggi?, in Paulo Freire pedagogista di comunità: libertà e democrazia in divenire, a cura di P. Ellerani, D. Ria, (pp. 73-87), Università di Salerno, Salerno 2017, cfr. p. 77.

[36]  V. Saura, Hay que reinventar a Paulo Freire en la educación superior, 2018, url: https://eldiariodelaeducacion.com/blog/2018/10/21/hay-que-reinventar-a-paulo-freire-en-la-educacion-superior/.

[37]  M. S. Manfredi, Il brasile e la pedagogia freiriana, url:www.paulofreire.it, p. 6 (consultato il 27 gennaio 2021).

[38] P. Freire, Paulo Freire el maestro sin recetas. El desafío de ensenar en un mundo cambiante, cit.,p. 121.

[39] Centro Nazionale di documentazione ed analisi sull’infanzia e l’adolescenza, Un volto o una maschera? I percorsi di costruzione dell’identità. Rapporto 1997 sull’infanzia e l’adolescenza. Istituto degli Innocenti, Firenze 1997, cfr. p. 17.

[40] G. Milan, Alla scoperta di Paulo Freire nella pedagogia attuale, url: http://www.giovaniemissione.it/centro-documentazione-freire/1430/alla-scoperta-di-paulo-freire-nella-pedagogia-attuale/, cit. p. 5.

[41]  “Cittadinanza e alfabetizzazione” (traduzione a cura di chi scrive).

[42]  P. Freire, Paulo Freire el maestro sin recetas. El desafío de ensenar en un mundo cambiante, cit., p. 107.

[43]  S. A. Scandurra, Dalla pedagogia degli oppressi alla pedagogia degli uomini: Krisis ed Ehtos della democrazia, in Paulo Freire pedagogista di comunità: libertà e democrazia in divenire, a cura di P. Ellerani, D. Ria, (pp. 143-152), Università di Salerno, Salerno 2017, cfr. p. 150.

[44]  P. Freire, Paulo Freire el maestro sin recetas. El desafío de ensenar en un mundo cambiante, cit., p. 107 e ss.

[45] J. C. Méndez-Rendón, La ética como fundamento del hombre sujeto en el pensamiento pedagógico de Paulo Freire, in “Paulo Freire. Revista de Pedagogía Crítica”, 2020.

[46]  P. Freire, Paulo Freire el maestro sin recetas. El desafío de ensenar en un mundo cambiante, cit.,pp. 178-179.

[47] Ivi, pp. 15-16.

[48]  M. Gadotti, B. Bellanova, F. Telleri, (a cura di), Leggendo Paulo Freire: sua vita e opera, cit. p. 3.

[49]  P. Ellerani, D. Ria (a cura di), Paulo Freire pedagogista di comunità: libertà e democrazia in divenire, Università di Salerno, Salerno 2017, cit. p. 5.

[50]  E. Borgna, La fragilità che è in noi, Enaudi, Torino 2014.

[51]  C. Nanni, Che cosa ha prodotto Paulo Freire in noi educatori italiani e nella nostra cultura?, in M. Gadotti, C. Nanni, F. Colombo (a cura di), cit. pp. 36-37.

[52]  M. Gadotti, Il messaggio di Paulo Freire. Dieci punti per una riflessione, in 3° Forum Internazionale Paulo Freire Re-inventando un messaggio, Milano, 25 maggio 2002, cfr. p. 9.

[53]  M. Gadotti, B. Bellanova, F. Telleri, (a cura di), Leggendo Paulo Freire: sua vita e opera, crf. p. 3.

[54]  M. Castiglioni, Perché Paulo Freire, nell’educazione di oggi?, cit. p. 74.

[55]  N. Valenzano, Paulo Freire e l’educazione popolare: la prospettiva dell’educazione di comunità, in “Formazione Lavoro Persona”, 2021, url: https://forperlav.unibg.it/index.php/fpl/article/view/562, cfr. p. 38.


L’autrice

Irene Culcasi è dottoranda di ricerca in Contemporary Humanism – Educazione, presso l’Università LUMSA di Roma in co-tutela con la Pontificia Universidad Católica de Chile. Membro fondatore della European Association of Service-Learning in Higher Education (EASLHE). Vice Presidente di Comparte, organizzazione senza scopo di lucro che opera nelle aree rurali del Petén, Guatemala, in ambito educativo e ambientale. Categorized in : Numero 10 / 2021


Pubblicato con il titolo completo Un dialogo critico con Paulo Freire: l’eredità di un maestro senza ricette, in “Educazione Aperta” (www.educazioneaperta.it), n. 10 / 2021.

 

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