18 maggio 2022

INTORNO ALL' OPERA DI DANILO DOLCI e alla STORIA DI GIUSEPPE ODDO

 



Sull'ultimo numero della rivista STUDI STORICI SICILIANI, insieme a tanti interessanti articoli e studi sulla storia della nostra Regione, trovate anche la mia recensione dell'ultimo volume de IL MIRAGGIO DELLA TERRA IN SICILIA. DALLO SBARCO ALLEATO ALLA SCOMPARSA DELLE LUCCIOLE (1943-1969)   di Giuseppe Oddo che ripropongo di seguito. (fv)


GIUSEPPE ODDO, Il miraggio della terra in Sicilia. Dallo sbarco alleato alla scomparsa delle lucciole (1943-1969). Prefazione di Salvatore Nicosia, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2021, 633 pp, 25,00 euro.


Giuseppe Oddo ha dato un titolo felice alla sua monumentale storia delle lotte contadine in Sicilia: IL MIRAGGIO DELLA TERRA IN SICILIA. Con questo quarto volume, sottotitolato Dallo sbarco alleato alla scomparsa delle lucciole, mette a fuoco anni cruciali (1943-1969) della nostra storia che hanno determinato, in gran parte, quello che siamo diventati.

Come ci ha insegnato Antonio Gramsci, sviluppando un'idea di Benedetto Croce, ogni storia è storia contemporanea: presente e passato sono strettamente legati tra loro; e, così come il passato getta le sue luci e le sue ombre sul presente, quest'ultimo spesso proietta i propri problemi sul passato. Sta tutta qui la difficoltà di fare storia del presente. Luci e ombre sono inseparabili e occorre tanto discernimento per vedere e capire come siamo arrivati al punto in cui ci troviamo. Saper maneggiare con cura il rapporto dialettico tra passato e presente è il compito più difficile di chi si occupa di storia contemporanea.

L' autore del libro non è uno storico accademico che, asetticamente e imparzialmente, analizza i documenti del tempo. G. Oddo, proprio negli stessi anni del suo racconto, è stato un dirigente sindacale regionale della CGIL che ha contribuito, nel bene e nel male, a fare la storia che narra. Il suo modello è Francesco Renda, alla cui Storia della Sicilia più volte rimanda. D'altra parte anche Renda è stato un dirigente politico e sindacale prima di diventare storico. Pertanto appare legittimo trovare parziali e discutibili alcuni loro giudizi.

Sono stato invitato a soffermarmi sul capitolo conclusivo del libro in questione, intitolato In marcia con Danilo Dolci verso un nuovo mondo, interamente dedicato all'analisi del lavoro del Gandhi siciliano. Giuseppe Oddo mette a fuoco i primi vent'anni (1952-1972) di attività del Dolci e del suo Centro Studi e Iniziative nella Sicilia occidentale, tenendo presente il contesto storico e sociale di quegli anni. E' la prima volta che un protagonista del movimento sindacale siciliano presta tanto spazio e attenzione a Danilo Dolci.

Scrive Oddo: “A partire dalla seconda metà degli anni ’50 l’iniziativa politica e sindacale della sinistra s’incontra e a volte si fonde, nella Sicilia occidentale, con l’animazione socioculturale di Danilo Dolci. 1 

D' Non        Non a caso la prima grande iniziativa di Dolci in Sicilia, il famoso sciopero alla rovescia del febbraio 1956, viene ideato e messo a punto nei locali della Camera del Lavoro di Partinico, come riconosce lo stesso Danilo nel suo Processo all'art. 4.2 Oddo, d'altra parte, ha ragione di ricordare che non è stato Danilo Dolci ad inventare gli scioperi alla rovescia. Negli anni cinquanta del secolo scorso il movimento sindacale italiano si servì frequentemente di questo strumento, soprattutto nelle regioni meridionali 3 Eppure lo sciopero ideato per sistemare la trazzera che collegava Partinico a Trappeto, puntualmente descritto dal Dolci in uno dei suoi capolavori, pubblicato da Einaudi tre mesi dopo i fatti (una sorta di anticipazione degli odierni istant books)4, ha fatto conoscere al mondo intero l'assurdo arresto dei promotori dell'iniziativa e l'immediato successivo processo. 


Il libro, r d        Il libro, ristampato da Sellerio nel 2011, contribuì in modo decisivo a creare il “caso Dolci”: vecchi e nuovi amici scrissero lettere ai giornali, manifesti di protesta, appelli; gruppi di intellettuali costituirono comitati di solidarietà; al Parlamento vennero presentate diverse interrogazioni. Giustamente Oddo dedica molte pagine alla ricostruzione dei fatti e comprende bene l'originalità del lavoro di Danilo citando opportunamente un passo di una delle migliori monografie dedicate di recente all'anomalo sociologo:


«Dolci ha           "Dolci ha combattuto la miseria, la mafia, il sistema clientelare, ma il suo merito più grande è stato quello di aver fatto una cosa semplice, che dovrebbe essere naturale in una realtà sociale non alienata: ha aiutato la gente ad incontrarsi, discutere insieme dei problemi comuni, aprirsi, comunicare. È tutta qui la sua maieutica reciproca, espressione filosofica per dire una cosa essenziale come il mangiare e il respirare».5


L’esperienza del carcere ha insegnato tanto a Dolci ed è stata decisiva per capire meglio la realtà siciliana e guadagnarsi la fiducia dei tanti poveri cristi cui aveva dedicato il libro Banditi a Partinico (Laterza 1955). E, non a caso, il Processo all'art. 4 si apre e si chiude con le parole di due giovani incontrati all’Ucciardone. Non si dimentichi che, dopo venti giorni di carcere, a Danilo venne negata la libertà provvisoria perché la sua condotta era considerata “un indizio manifesto di una spiccata capacità a delinquere”. Lo stesso Danilo, circa vent’anni dopo, nel ricordare quei giorni dirà:


              " lo stesso giorno dell’arrivo all' Ucciardone mi fu mandato dagli altri carcerati pane, tante olive e tanto formaggio che potevano bastare per tre mesi. Una solidarietà così immediata nasceva dal fatto che lì sapevano che avevo fatto da padre ai loro figli. E mi offrivano quello che avevano. Non ho mai lavorato tanto come durante quel periodo: le mie giornate erano pienissime, perché volevo documentarmi su tutto quanto accadeva nel carcere, soprattutto sulle torture che molti carcerati avevano subito." 6

       Dell’arringa difensiva finale di Piero Calamandrei meritano di essere ricordate                   queste parole che ci sembrano ancora attuali :

                “Nelle democrazie europee(…) il popolo rispetta le leggi perchè ne è partecipe e fiero: ogni cittadino le osserva perché sa che tutti le osservano: non c’è una doppia interpretazione della legge, una per i ricchi e una per i poveri. Ma questa è, appunto, la maledizione secolare che grava sull’Italia: il popolo non ha fiducia nelle leggi perché non è convinto che siano le sue leggi. Ha sempre sentito lo Stato come un nemico. [...]. Da secoli i poveri hanno il sentimento che le leggi siano per loro una beffa dei ricchi: hanno della legalità e della giustizia una idea terrificante, come di un mostruoso meccanismo ostile fatto per schiacciarli, come di un labirinto di tranelli burocratici predisposti per gabbare il povero e per soffocare sotto le carte incomprensibili tutti i suoi giusti reclami”. (AA.VV. , Processo all’art. 4, Einaudi 1956, p. 30)

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Nacque con questo Processo del 1956 il «caso Danilo Dolci», che farà gridare allo scandalo non pochi alti prelati e, segnatamente, il direttore de La Civiltà Cattolica di quegli anni, Calogero Gliozzo, che Oddo cita ampiamente7, rilevandone il carattere fazioso ed astioso. Ma, secondo me, avrebbe fatto meglio a ricordare l' incredibile Lettera pastorale del Cardinale Ernesto Ruffini che, la domenica delle Palme del 1964, fece leggere in tutte le chiese siciliane producendo effetti ben superiori a quelli di un articolo pubblicato su una rivista letta soltanto da pochi. Impressiona ancora oggi la violenza con cui si apriva la Lettera del Cardinale:


In questi ultimi tempi è stata organizzata una congiura per disonorare la Siciliae tre sono i fattori che maggiormente vi hanno contribuito: la mafia, il Gattopardo, Danilo Dolci. Una propaganda spietata, mediante la stampa, la radio, la televisione ha finito per far credere in Italia e all'estero che di mafia è infetta largamente l'isola, e che i siciliani, in generale, sono mafosi, giungendo così a denigrare una parte cospicua della nostra patria, […].Dolci è giunto in Sicilia per iniziare quella campagna apparentemente benefica, che doveva tanto corrompere in molti paesi d'Europa il vero volto della Sicilia.8


Lo scontro con il cardinale Ruffini ebbe una grande risonanza negli anni sessanta del 900 e contribuì non poco a legare Danilo al fronte laico e socialcomunista del tempo.


Più attenta ed accurata risulta la ricostruzione delle grandi lotte del Centro Studi e Iniziative di Partinico e di Roccamena per l'acqua e la costruzione delle dighe. Su questo punto Oddo è ben documentato e non manca di rilevare la frattura che si venne a creare, all'interno dello stesso Centro Studi, tra Danilo Dolci e Lorenzo Barbera. Quest'ultimo racconterà in due suoi bei libri - La diga di Roccamena, Laterza 1964 e I Ministri dal cielo. I contadini del Belice raccontano, Feltrinelli 1980 - la dura lotta contro i mafiosi e i politici democristiani della zona.


Parziale e lacunosa appare, invece, la ricostruzione dell'impegno antimafioso di Danilo Dolci. Colpisce, in particolare, il silenzio di Oddo sul duro scontro che il sociologo ebbe con Bernardo Mattarella, che Danilo racconta nel suo Chi gioca solo, Einaudi 1965. Questo volume affronta di petto quello che Danilo amava chiamare sistema di potere clientelare-mafioso. Il libro, come tanti altri dell'anomalo sociologo, è frutto di quell'originale lavoro di ricerca e di animazione sociale che Dolci definiva autoanalisi popolare. Peraltro va detto che, una parte della ricca documentazione raccolta in Chi gioca solo, Danilo l'aveva già consegnata nel novembre del 1963 alla neonata Commissione parlamentare antimafia.

Come è noto Danilo Dolci, subito dopo la pubblicazione del libro,venne querelato per diffamazione dagli Onorevoli Mattarella, Messeri e Volpe. Il processo, celebrato per direttissima, andò male per Dolci dal momento che i testi convocati dalla difesa del sociologo disertarono l'udienza o smentirono di avere fatto le dichiarazioni citate da Dolci. La condanna per l'autore di Chi gioca solo venne confermata nei successivi gradi di giudizio. E il libro, che aveva avuto un successo straordinario e tradotto perfino in inglese, venne ritirato dalla circolazione. Questa esperienza lasciò un segno indelebile nella vita e nell'opera di Danilo Dolci che, non a caso, a partire dalla metà degli anni anni settanta spostò la sua attenzione dall'impegno politico-sociale a quello pedagogico.


FRANCESCO VIRGA


Note


            1. ODDO Giuseppe, Il miraggio della terra in Sicilia. op. cit. pag. 572.

22 DOLCI DanilPr  2 D. DOLCI, Processo all'art. 4, Einaudi 1956 (I ed.) , Sellerio 2011 (nuova edizione)


3 ODDO Giuseppe, op. cit. p. 578.

4 L'Editore Einaudi cominciò a preparare la stampa di Processo all'art. 4 - la cui prima edizione uscì nell'agosto del 1956 - mentre era ancora in corso il processo agli organizzatori dello sciopero.

5. A. VIGILANTE Antonio, Presentazione di RAGONE Michele, Le parole di Danilo Dolci, Anatomia lessicale-concettuale, Foggia, 2011, pag. 8.


6 G. SPAGNOLETTI Giacinto, Conversazioni con Danilo Dolci, Mesogea, Messina 2013, pp.85-86 [ Prima edizione Mondadori 1977]

7 C. GLIOZZO Calogero , Danilo Dolci e gli intellettuali francesi, in La Civiltà Cattolica, anno 109, 1958, pp.300-302. Articolo ripreso da Oddo nelle pp.576-577.

8 ERNESTO RUFFINI , Il vero volto della Sicilia. Lettera pastorale del 1964


1 commento:

  1. Pippo Oddo
    Grazie, Franco. Ho gradito moltissimo la tua recensione su una materia che conosci come pochi altri studiosi. Un fraterno abbraccio, amico mio.

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