Serena Sileoni, Starlink, le tre domande da farsi
La Stampa,
11 gennaio 2025
Cosa fa paura di Elon Musk? Abbiamo bisogno delle sue
tecnologie? Possiamo fidarci di lui? Le implicazioni di un eventuale accordo
commerciale tra l'Italia e Musk per l'uso dei suoi satelliti girano intorno a
queste tre domande, che è opportuno porsi dal momento che la Presidente Meloni
ha confermato interlocuzioni tra il governo e Space X in una fase ancora
istruttoria. Musk ha già superato le tre metamorfosi del cammello, del leone e
del fanciullo che secondo lo Zarathustra di Nietzsche si devono attraversare
per diventare un superuomo. Vive in una realtà morale, economica e
probabilmente psicologica tutta sua, oltre i limiti delle convenzioni, dei
valori riconosciuti, delle paure comuni.
Basterebbe questo a spaventarci: non sappiamo esattamente
fino a dove arrivi la sua immaginazione ma conosciamo il tasso di successo
della sua inventiva e crediamo, o almeno molti di noi credono, che disponga di
mezzi che nemmeno i governi hanno. Tuttavia, Stati e persone dovrebbero
comprare beni e servizi non per empatia con chi li fornisce, ma perché – e
veniamo alla seconda domanda – ne hanno bisogno. I satelliti di Musk possono
servire a fini sia civili che istituzionali. Quanto ai primi, i ritardi e gli
intoppi del piano banda ultralarga nelle aree bianche e dell'Italia a 1Giga,
con i loro 2 miliardi di investimenti pubblici più 5, 29 miliardi di Pnrr,
parlano da soli: i fallimenti propri non possono essere colpe altrui, né le
nostre esigenze possono rimanere al palo per le inefficienze e gli sprechi di
denaro pubblico. Mentre gli investimenti pubblici arrancano per portare
internet veloce in tutte le case, i satelliti di Starlink consentono di avere
l'alta velocità anche in una barca in mezzo al mare. Più complicate però sono
le implicazioni dell'uso istituzionale.
Lo sviluppo di soluzioni satellitari per la difesa è uno
degli ultimi programmi di Space X, Starshield, con cui Musk si impegna a
assicurare servizi di comunicazione efficienti, protetti e sicuri, utili ai
governi e alle istituzioni, in particolare nel settore della difesa. La
domanda, appunto, è se ne abbiamo bisogno.
Secondo il rapporto Draghi, l'Europa rappresenta solo il 10%
di tutti i circa 6. 500 satelliti che si prevede di lanciare dal 2023 al 2032.
Chiaramente, questa dipendenza tecnologica influisce sulla nostra sicurezza,
economica e generale, ma la questione è se esiste un'alternativa domestica in
grado di sanare questa vulnerabilità. Sempre Draghi riferisce che, mentre noi
accumulavamo ritardo, i satelliti di Space X hanno consentito all'impresa di
soddisfare il 40% delle proprie esigenze e il 30% di quelle istituzionali
americane, oltre a garantirsi una quota di mercato per uso commerciale e un
volume di contratti governativi. Capacità di innovazione e tempo sono un
tutt'uno, in questi settori: alla fine del 2024, l'Agenzia spaziale europea ha
annunciato che sarà in grado di lanciare una sua costellazione di satelliti,
IRIS, per garantire comunicazioni governative sicure e ininterrotte, oltre che
per offrire servizi commerciali avanzati. Se tutto andrà bene, però, non lo
farà prima del 2029 e per un numero non superiore a 300 satelliti. Intanto,
Space X in soli cinque anni ha mandato in orbita più di 5000 satelliti. Se
davvero vogliamo integrare le nostre capacità tecnologiche, come ha detto
Crosetto alla Camera, non dovrebbe quindi essere un ostacolo che i satelliti
siano di un'azienda di un signore che vive in America. D'altro canto, a livello
aggregato europeo, sempre il rapporto Draghi informa che il 78% della spesa per
appalti è a favore di fornitori al di fuori dell'Ue, di cui il 63% negli Stati
Uniti. Se vogliamo mettere in discussione quella scelta, perché ci viene
chiesto di renderci autonomi e perché così abbiamo deciso, dobbiamo capire
quali sono le tecnologie di cui abbiamo bisogno e quali quelle già disponibili.
Il problema, quindi, sta nella terza domanda: possiamo
fidarci di Musk, come di un "normale" fornitore americano, anche
ammesso che ci facciano paura le idee e i modi? La combinazione tra la sua
imprevedibilità e il suo potere in questo momento forse non hanno precedenti,
nemmeno tra i tycoon dell'editoria, del tech, della finanza, dall'evocato Soros
a Bloomberg, da Zuckerberg a Bezos. Può influenzare l'informazione e può
finanziare (pericolosi) progetti politici. Può e già lo fa come altri lo hanno
fatto prima. Ma, al fianco di Trump, fa sorgere il dubbio se il suo potere
privato possa sostituirsi alle istituzioni, almeno fino a quando il Presidente
e il deep state americano lo accetteranno. Il suo attivismo politico o
para-politico ha però una caratteristica non secondaria: è palese e sfrontato.
Successi e insuccessi della politica sono sempre influenzati da chi ha i soldi
e i servizi di informazione. Film e star di Hollywood, ad esempio, sono stati
tra i principali alleati di (certa) politica americana.
Le nuove potenzialità dei social per le campagne elettorali
sono state comprese dal democratico Obama, primo tra tutti. Tuttavia nessuno al
pari di Musk, mostrando un entusiasmo simile a quello di un bambino in un
negozio di caramelle, ha fatto presagire un uso sovversivo di un enorme potere
privato, al fianco di un enorme potere pubblico (quello del Presidente Trump).
Ma avere un'idea di chi si ha di fronte è due volte un vantaggio. In primo
luogo, e in generale, consente all'opinione pubblica di orientarsi nel capire
chi influenza cosa e perché. In secondo luogo, e nello specifico, consente ai
contraenti di andare preparati ai tavoli negoziali. Bizze e progetti personali
a parte, se mai l'ipotesi Starlink divenisse concreta, cosa che il ministro
Crosetto non ha negato limitandosi a negare solo che vi sia già un accordo, non
dovrà essere un prendere o un lasciare.
Nessun commento:
Posta un commento