Andrea Colombo, Il sogno neomissino e la scommessa americana
il manifesto, 10 gennaio 2025
In conferenze stampa inutilmente fluviali come quella
di ieri c’è quello che i presidenti del consiglio dicono. Quella di turno ha
detto pochissimo. C’è poi quello che i premier non dicono ma che spesso è anche
più eloquente.
Giorgia Meloni è stata ben attenta a non farsi scappare una
sillaba critica nei confronti del futuro presidente americano che proclama di
volersi prendere, tra le altre cose, un pezzetto d’Europa. Non è che volesse
minacciare qualcuno. Rispondeva casomai alla minaccia cinese, il pericolo
giallo. Lanciava un messaggio a Pechino e ognuno nella messaggistica ha il suo
stile.
Infine c’è quello che, intenzionalmente o meno, i leader
bersagliati dalle domande dei cronisti fanno capire. A proposito di rapporti
con Elon Musk e con il già citato Donald Trump la presidente italiana ha fatto
capire anche troppo. In una kermesse sonnacchiosa, priva dell’abituale grinta
salvo che si trattasse di azzannare giornalisti, la premier si è svegliata e ha
sfoderato gli artigli solo quando gli incauti hanno messo in mezzo il tycoon.
L’uomo più ricco del mondo, con tutti e due i piedi nella comunicazione, forte
di una flotta di satelliti in continua crescita che quasi tutti gli eserciti
del mondo se la sognano mette becco ogni santo giorno nella politica di Stati
europei che considera prossima terra di conquista? Be’ che male c’è a esprimere
le proprie opinioni? Quella tutto è tranne che ingerenza politica. Soros,
piuttosto, che non si limita a parlare ma apre i cordoni della borsa: lui sì
che minaccia: «Musk non è un pericolo per la democrazia: Soros sì».
Giorgia chiama, Elon, che non perde di vista il quadro
italiano nemmeno per un attimo, si affretta a rispondere. Rilancia le parole
della cara amica, aggiunge lapidario commento: «E Soros sta per essere
sconfitto». Accorrono all’appello anche i Patrioti, che dovrebbero essere i
duri traditi dalla moderata Giorgia invece duettano che è una meraviglia: «Musk
è libero di dire la sua. L’establishment europeo guardi piuttosto a Soros». Ce
ne fosse uno che sfugge al gioco della torre e conclude che i tycoon di qualsiasi
colore andrebbero tenuti a bada e a distanza.
La premier è abile, chi non lo ha ancora capito farebbe bene
a cambiare mestiere. Quando si arriva al nodo Starlink è cauta: giusto
un’istruttoria, conclusa la quale entrerà in ballo chi di dovere, il Consiglio
di Difesa, il Parlamento. Ma sia chiaro che la sola alternativa è fra Starlink
e il nulla, quindi amici cari fate un po’ voi. Se avesse detto che l’accordo è
già nell’ordine delle cose avrebbe fatto prima. Magari mezza parola sulla
necessità di darsi da fare per evitare che Iris2, il sistema europeo, arrivi al
traguardo quando sarà troppo tardi avrebbe modificato il senso del messaggio.
Non c’è stata.
Quando dal tycoon che gioca con la politica si passa a quello
che ormai la politica la fa da professionista, il presidente degli Stati uniti
rientrante, la premier italiana diventa cerimoniosa. Il rapporto con lui chissà
se si può definire privilegiato (magari!) ma certo è molto solido. Col vecchio
Joe era già un idillio ma vuoi mettere averci a che fare con uno che la pensa
come te su tutto: «Con due leader conservatori la convergenza può essere
rafforzata».
Per due anni e mezzo Giorgia Meloni ha puntato le sue fiches
politiche sulla capacità di accreditarsi presso centrali occidentali attestate
su posizioni opposte alle sue, tanto a Washington quanto a Bruxelles. I tempi
stanno per cambiare. Ora gli occhi della premier sono puntati oltre Atlantico,
tanto in termini di rapporti politici quando economici. Musk è molto più del
proprietario di un’azienda con il quale tocca trattare perché altro il mercato
non passa. È il tycoon al quale offrire una testa di ponte per la conquista
dell’Europa in cambio di corposi investimenti di ogni tipo. Trump non è solo un
presidente degli Usa affine nella visione di fondo: è l’alleanza che, se
realizzata davvero, può mettere le ali al sogno neomissino della premier. Una
cosa la noiosa conferenza stampa di ieri ha reso chiara: il secondo tempo del
governo Meloni sarà sensibilmente diverso dal primo.
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